Flashback
Era un giorno importante quello, doveva fare una bella, ma sana figura, non voleva che i lividi e le manate fossero ben visibili sulle sue braccia, era terrorizzato dal giudizio di insegnanti e compagni, l'ambiente in sé straripava di pregiudizi e stupidità sulla sua condizione sociale.
Decise di indossare la giacca di Seojun con un paio di risvolti imprecisi, pettinò i ciuffi ribelli, come solitamente faceva, sputando sui palmi, nessuno gli aveva ancora insegnato a dismettere quei modi ineleganti.
Le scarpe possedevano i lacci originali, laceri e rimediati con scotch e fili bianchi, sulla lacca nera era un po' come guardare la luna rispecchiarsi sul fondo di un pozzo in campagna.
L'ultimo tocco alla sua divisa, impeccabile ai suoi occhi per i bottoni nuovi cuciti dal fratello e la bandiera immobile sul taschino.
Se era così sgargiante la sua compostezza perché nella sua classe lo chiamavano "Pezzente" oppure "Lacci diversi"? Perché la perfezione secondo quei piccoli cervelli si rifletteva in quello che indossava o in quello che mangiava? Per meglio dire non mangiava.
-Jungkook, riusciamo a portarti alla premiazione, ma dobbiamo tornare appena ti hanno dato l'attestato. Lo sai che quello non ci dedica nemmeno due ore del suo tempo...- il maggiore gli si avvicinò e l'immagine del corvino ruoto nello specchio -...mi ricordi me alla tua età, lo so che un paio di bottoni non risolvono lo sfacelo di questo abito, ma ehi fa figura chi lo porta e tu sei proprio bello, il più bello tra tutte quelle capre che ti ritrovi come amici...- gli diede una pacca -...ti aspetto in macchina, prendi tutto il necessario-
-Arrivo subito-
Prese la cravatta e pensò che avrebbe potuto approfittare dell'esperienza di Seojun per completare la sua opera in cotone, ma il maggiore se ne era andato e così si arrese al quarto tentativo e all'aggrovigliamento dell'accessorio.
Non voleva disturbarla, erano parecchi anni che quella stanza la teneva prigioniera più che occupata, ma la voleva vedere ed inoltre era l'unica che potesse aiutarlo in quel momento.
Gli dicevano di starle lontano perché aveva qualche difficoltà ad accettarlo, perché era affetta da qualche sindrome o semplicemente per il motivo che fosse stanca.
Il tempo era trascorso e con esso anche la memoria della donna era andata scomparendo, forse aveva i capelli simili ai suoi, un paio di occhi anch'essi a mandorla, un corpo minuto e perfino cagionevole, almeno così credeva.
Scese le scale della cantina e un po' insicuro afferrò la chiave sotto il vaso di azalee, il nascondiglio che suo padre credeva fosse possibile chiamare ancora in quel modo.
Appena entrò vide una schiena curva e avvolta in tele variopinte e sottili ravvivate dalla danzate fiamma della cera deforme.
-M...ma...- sospirò -...mamma- rimase pietrificato sul posto.
-Demonio, liberalo, demonio- ripeteva senza sosta in un lessico appartenente alle lingue morte, gerarche del latino.
-Mamma sono io, ti volevo chiedere...- cercò il sostegno della parete strisciando verso il volto dell'interessata, urtò un paio di talismani e barattoli in vetro effervescenti.
Quel posto era la perfetta rappresentazione della casa della strega che popolava i suoi incubi, aveva 8 anni e ancora tanta immaginazione per confondere la realtà con la fantasia.
-Mamma scusa se ti disturbo, tu l'hai sempre messa a papà...puoi metterla anche a me?- fece penzolare la cravatta davanti agli occhi bassi di sua madre.
-Demonio, salva mio figlio angelo- la capigliatura nera copriva gli occhi e scopriva invece lo scarno collo, le unghie erano rovinate e anche sul dorso delle mani campeggiavano rughe precoci per i suoi trentacinque anni.
Le cornici che tappezzavano le mura ritraevano una splendida creatura che sembrava essersi estinta con la nascita del suo secondogenito, ora non c'erano cornici di lui e il sorriso femminile, tranne un veloce negativo, mai sviluppato, subito dopo la sua venuta al mondo, pochi secondi prima che i medici le sottraessero il pargolo per un tentato strangolamento.
Quell'inusuale comportamento fu dovuto ai farmaci secondo i camici bianchi e non alla pazzia di un post-concepimento.
Con le lunghe e sottili dita disegnava stelle sataniche intorno alle candele circondate dalla spiaggia di sabbia, spostava e scuoteva vecchie zampe di coniglio e carapaci di tartarughe.
Il bambino non capiva tutti quei gesti insensati, eppure erano dovuti alla sua presenza.
La gioventù era sfiorita nel corpo di una vecchia megera che leggeva i tarocchi, ecco la fine fatta da sua madre, una bellezza sepolta sotto la magia e la superstizione.
Le ciocche oscillavano per i movimenti che la testa seguiva, comandata da preghiere ed esorcismi sconosciuti.
Ad un tratto, dopo un'altra serie di spostamenti, il volto della donna apparve, liscio e segnato da orme di stanchezza, assomigliava a quello di una bambina capricciosa.
-Jungkook, sei tu- sorrise con difficoltà per aver perso l'abitudine di una gesto tanto semplice.
-Mamma- ricambiò gioioso di quella reazione affettuosa nel rivederlo, credeva di esserle antipatico, ma a quanto sembrava la sfuriata era passata- Mamma, mi sei mancata, allora mi puoi dare una mano con questa?-
-Certo...- prese la cravatta e la posò -...ma prima siediti qui con me, tua madre...- gli strinse le mani ghignando euforica ed osservandolo -...certo che ti aiuterò amore mio-
"I'm backkk, scusate per le due settimane, in cui oltretutto non ho scritto quasi nulla per tutto quello che è successo. Se ce la faccio d'ora in poi dovrei aggiornare una volta a settimana, LO SO, prima ogni tipo 2/3 giorni e adesso dopo 7, ma c'è la scuola amori miei ahahah ed è così per tantissimi. Ad ogni modo, ecco la mamma di Jungkook, ehehe chissà che gli combinerà. Ovviamente tutto questo viene prima del flashback di suo padre ( Seojun infatti è ancora vivo ).
Ma passiamo alle cose serie......quanto è figo J-hope in chicken noodle soup 😍😍🐔...
Alla prossima❤️"
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ROOM 351 || Vkook
Fanfiction~My 3rd BTS story~ Dove Jungkook è un malato mentale e riesce a controllare Taehyung attraverso l'amore e la paura. ••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••••• -Ok lo ammetto, il dolore mi affascina, mi sorprende per quello che...