15. All'ospedale

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Quando Cherry si svegliò, si trovava in una stanza bianca. Quel bianco era un colore pulito, ma non asettico, grazie alla luce del sole che si rifletteva su una parte delle pareti, penetrando a strisce attraverso le tapparelle che schermavano la finestra.

Un bip ritmico, in qualche modo piacevole, proveniva dalla sua sinistra.

Non sapeva perché si trovasse lì, non ricordava nulla. Sentiva qualcosa che gli impediva di muovere la testa e sollevò la mano per toccare una fasciatura un po' rigida sul collo. Perché qualcuno le aveva fasciato il collo?
Si sforzò di ricordare. Forse era stata attaccata da Bloodhound e Werhunter? Era stata rapita? Non le veniva in mente niente. Si guardò intorno e non riconobbe il luogo in cui si trovava: non era mai stata prima in una camera di ospedale e non ne aveva mai neppure vista una in televisione.

Qualcuno passò nel corridoio.

«Ehi! Scusate!» Esclamò Cherry, con voce arrochita «Che posto è questo?».

Una donna che indossava una divisa bianca si affacciò alla porta e la guardò con sollievo.

«Ti sei svegliata, finalmente!» Esclamò

«Mi sono svegliata, sì» Cherry sospirò «Dove mi trovo?»
«Sei all'ospedale, cara» l'infermiera entrò nella stanza, lasciando fuori il carrello che stava spingendo

«All'ospedale? Cosa è successo?»

«Non ti ricordi niente?»

«No. Almeno credo» la ragazza aggrottò le sopracciglia «Non mi ricordo niente. No. Mia madre è stata avvertita del fatto che mi trovo qui?».

Silenzio per qualche secondo. La faccia dell'infermiera si fece triste:

«Tesoro, non ricordi davvero nulla?»
«No» Cherry provò a scuotere la testa, ma per qualche motivo quel movimento la disturbava, facendole pizzicare il lato della gola, perciò lasciò stare

«Non preoccuparti, tesoro. Vado a chiamare la dottoressa Cosmos».

Cherry aggrottò le sopracciglia. Non aveva idea di chi fosse la dottoressa Cosmos, ma ecco che l'infermiera la lasciava di nuovo da sola. Sospirò. Con la coda dell'occhio vide che accanto a lei c'era un oggetto alto e sottile: era una stecca di metallo che reggeva il sacchetto di una flebo la quale, fortunatamente, non era attaccata al suo braccio.

Attese per qualche minuto, stropicciandosi nervosamente le mani. Sentiva voci che parlavano lontane, nel corridoio o in altre stanze. Doveva alzarsi in piedi? Poteva alzarsi? Ci provò e ci riuscì, ma si sentiva piuttosto debole, non come se si fosse appena svegliata, ma come se avesse camminato per sette o otto ore sotto un sole cocente. Si avvicinò alla finestra e alzò le tapparelle per guardare fuori. C'era un piccolo giardino con un paio di panchine e più lontano un parcheggio con diverse automobili e un grosso, enorme bidone della spazzatura blu scuro. Dal bidone della spazzatura spuntava la testa di un procione. Cherry sorrise.

«Ti sei persino alzata!» Disse una voce alle sue spalle «Quindi stai meglio!».

La ragazza si voltò di scatto e vide una donna piccina, alta poco più di un metro e sessanta, che era appena entrata nella stanza. Non indossava un camice bianco.

«Non sto... molto bene» Confessò Cherry «Mi sento intontita. E stanca. E non mi ricordo come sono finita qui»

«Sì, l'infermiera me l'ha detto. Siediti. O sdraiati se vuoi. Dobbiamo parlare. Io sono la dottoressa Rosie Cosmos, molto piacere!».

Il tono della donna era amichevole, come pure il suo sguardo. Portava i capelli lunghi, di un castano intenso e pulito, e aveva una carnagione chiarissima che ben si sposava con i suoi occhi blu. Molte persone avevano iridi azzurre, ma gli occhi della dottoressa Cosmos erano davvero blu, di un'intensità penetrante, e Cherry non ricordava di aver mai visto prima qualcosa del genere.

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