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aziraphale aveva solo sette anni, quando vide suo padre uscire di casa per non tornare piú. erano sempre stati una famiglia con ben pochi legami, ma quell'azione rendeva tutto piú reale.

sua madre, poi, aveva completamente smesso di essere presente. era lí, con loro, ma era come se non ci fosse.

gabriel aveva imparato a prendersi cura di michael e aziraphale, il che aveva causato una grande perdita in tutta la sua adolescenza. perdita di tempo, che avrebbe potuto utilizzare per uscire con determinate persone, impegnarsi nello studio per diventare poi avvocato. e, certo, lo aveva fatto pesare ad entrambi i fratelli, ma si era comunque preso cura di loro, e quello doveva valere qualcosa.

aziraphale aveva avuto una relazione difficile con sua madre fin da prima che suo padre se ne andasse. la rispettava, seguiva ogni suo ordine, ma faceva fatica a capire le sue motivazioni per molte cose. e fu proprio quello a terminare la loro relazione, completamente.

il ragazzo, appena quindicenne, tornó a casa, quel giovedí pomeriggio, dopo essere uscito con alcuni suoi amici. sua madre era, come al solito, chiusa in camera sua. non si sprecó neanche ad andarla a salutare, sapendo bene che, come risposta, avrebbe ottenuto solo il silenzio.

peró, quel giorno, la donna decise di farsi viva. uscí dalla stanza mentre il piú giovane dei suoi figli, aziraphale appunto, stava scavando nel frigo, alla ricerca di qualcosa da mangiare.

"solo quello sei bravo a fare" aveva mormorato lei, appoggiandosi al mobile del fornello, roteando gli occhi. aziraphale tiró su con il naso, ignorandola. ormai gli insulti erano una routine, e nessuno veniva risparmiato.

"hai uno strano odore. non ti sarai mica drogato, vero?" domandó la donna, dopo qualche minuto di silenzio, dove aziraphale si era finalmente deciso a prendere la confezione di affettati misti in fondo al frigo.

"e anche se fosse? che c'é, hai paura che mi sballi troppo e finisca per realizzare la vita di merda che sto vivendo?" chiese di rimando il ragazzo, alzando un sopracciglio e svitando il tappo del succo di frutta, unico liquido bevibile rimasto in casa.

la donna non la prese bene. raddrizzó la schiena, avvicinandosi al figlio e alzando una mano, come se volesse picchiarlo. alla fine, decise di posargliela sul fianco, stringendo la presa fino a che aziraphale non si scansó, soffiando l'aria fra i denti stretti.

iniziarono a litigare. nessuno dei due si ricordava bene su cosa fosse la discussione, probabilmente concentrava anni di parole ingoiate e lingue morsicate in alcune urla.
da parte di aziraphale, non sarebbero bastate cento discussioni per far uscire tutto quello che provava e pensava.

ce l'aveva con sua madre perché gli aveva lasciati andare, cosí come aveva fatto con suo padre. appena l'uomo se n'era andato aveva deciso di lasciar perdere tutto, come se i suoi figli potessero giá cavarsela da soli, imparando tutto attraverso errore dopo errore, ricevendo come ricompensa solo urla e rimproveri.

ce l'aveva con lei perché era troppo brava a scaricare la colpa sugli altri, a giudicare i suoi figli per cose che avrebbe potuto evitare, se solo fosse stata presente.

ce l'aveva con lei perché, alla fine, ancora le voleva bene, e ancora cercava conforto in lei, ricevendo in cambia solo commenti mirati a rafforzare le sue insicurezze. eppure, dopo tutto quello, aziraphale tornava sempre, con delle scuse, le portava da mangiare a letto, si assicurava che la casa fosse in ordine, lasciava che i suoi due fratelli si divertissero mentre lui si occupava delle faccende domestiche.

ce l'aveva con lei perché, nonostante tutto quello, quando si prendeva del tempo per sè stesso, gli veniva puntato il dito contro, gli diceva che non avrebbe dovuto, che doveva solo rimanere in casa, darle soddisfazioni.

e quel pomeriggio, aziraphale voleva solo essere un quindicenne normale, che usciva con i suoi amici, tornava a casa, studiava un po' e poi parlava della sua giornata alla sua famiglia. voleva ascoltare michael raccontare del gossip che succedeva al liceo, non sentirla borbottare qualcosa riguardo alla banca che non voleva lasciarle dei soldi. voleva litigare scherzosamente con gabriel per qualcosa di stupido, non urlargli contro perché aveva perso il lavoro, un'altra volta, e ora si ritrovavano da punto a capo. 

quindi urló tutto quello che poteva in faccia alla madre, per poi uscire di casa, con addosso solo dei pantaloni troppo larghi per lui, un cardigan, e il cappotto color crema di suo padre.

nei cinque anni seguenti, visse in molti centri d'aiuto per ragazzi senzatetto, sentendosi in colpa ogni volta. lui un tetto ce l'aveva, era solo che non gli andava di tornarci.

l'unico che fu capace di convincerlo del contrario, fu il suo primo ragazzo, oscar. aveva qualche anno in meno di lui, ma era in grado di parlare come qualcuno di molto piú grande. riuscí a convincere aziraphale che, anche se aveva una casa, nel senso proprio della parola, non significava che lí dovesse sentirsi a casa. poteva farlo solo dove stava bene, dove poteva rilassarsi e vivere senza paura.

anche quel periodo della sua vita finí, e, a vent'anni, aziraphale si trovó un lavoro, una casa. faceva ripetizioni di inglese dove poteva, a volte il babysitter, oppure aiutava la sua vicina di casa, una vecchia signora di colore, a fare le pulizie nel condominio dove vivevano e in quelli attorno.

eppure, ancora gli mancava qualcosa.

per puro caso, incontró ligur, una sera, in un bar. i due presero a parlare, poi aziraphale accettó da lui qualche droga. lo fece senza pensare, perché gli andava. non sentiva piú la presenza della madre sulle sue spalle, e voleva provare ad essere libero di fare quello che voleva, per un po'.

una sera, poco dopo il suo ventidueesimo compleanno, accettó un accordo con ligur. il mattino dopo non si ricordava già piú le condizioni, fatto com'era. eppure, l'uomo di colore lo aveva giá segnato nel suo quadernetto nero e, anno dopo anno, continuava a tornare per chiedere il riscatto. aziraphale continuava a negarlo, maggiormente perché non sapeva di cosa stessero parlando.

verso i ventotto anni, dopo l'ennesimo crollo nervoso, aziraphale decise di smetterla con le droghe, con l'alcohol (aveva iniziato a bere a ventitré anni, inutile dire che, nel tempo di pochi mesi, era diventato un bisogno), con i falsi antidepressivi che prendeva in prestito da ligur e i suoi amici.

prese appuntamento da uno psicologo e, finalmente, inizió a capire come fare a risolvere i suoi problemi, a venire a patto con il passato per poi lasciarlo andare.

a volte, durante i primi anni, sentiva il bisogno di bere o di andare a bussare alla porta di ligur, ma alla fine decideva sempre di chiamare il suo psicologo, parlavano un po' per telefono e quello bastava a distrarlo.

inizió a prendere nuovi lavoretti intorno ai trent'anni, come postino, come cartolaio ed, infine, come libraio.

gli erano sempre piaciuti, i libri, e fare il libraio sembrava il lavoro adatto a lui.

verso i trentacinque anni, quindi, aprí la sua libreria. inizió a farsi una vita sua, finalmente, una vita vera.

a trentasei anni, sentí di essere pronto a finire la terapia. aveva cambiato psicologo due anni prima, per motivi che non aveva capito bene, ma giá dall'ultima seduta con con lui sapeva di stare meglio.

e a trentasette anni riallacció i rapporti con gabriel e michael.

ora, dieci anni dopo, pensava di aver finalmente trovato la casa di cui parlava oscar.
lui, aziraphale fell, il ragazzino di sette anni che pensava di morire prima dei diciotto, era riuscito ad arrivare ad avere la vita che voleva.

oh beh, piú o meno. il fantasma, di certo, era stato una sorpresa.

heya folks
capitolo piú lunghetto ma algnak credo vi faccia piacere
rapidissimo background su aziraphale la vostra girl ci ha provato enniente

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