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Martina

Ero come caduta in un sogno, eppure mi sembrava così reale. C'ero io a 10 anni, Fabio litigava con la sua ex, che poco dopo uscì di casa fingendo di piangere come sempre. Lo faceva per far sentire in colpa mio padre, mi domandavo come facesse, davvero bastavano due finte lacrime per far cedere una persona che ti vuole bene?

A me non era mai successo, non piangevo mai, ma non perché mi sentissi debole, ma perché loro mi dicevano di non farlo, perché tanto alla fine a cosa portava piangere? A niente, nessun problema si sarebbe risolto, ma semplicemente accantonato per un po'. Si sa, le cose tornano a galla prima o poi.

"Papà.." sussurrai entrando nella cucina, dove l'uomo era seduto a capo della tavola, posta nel centro della stanza "Martina vai nella tua stanza! Non ti ho detto di uscire." urlò scattando in avanti facendo cadere la sedia su cui precedentemente era seduto. Rimasi in silenzio "Perché mi odi?" domandai senza esprimere emozioni, ma ricordavo bene che cosa stavo provando. Fabio avanzò verso di me, senza rispondermi, ed una volta arrivato davanti a me, le sue cinque dita si stamparono sul mio volto, con una violenza tale da farmi girare il volto. "Va in camera tua." quasi ringhiò spingendoni fuori da quella stanza.

Inizialmente ero intenzionata a ritornare in quella stanza, ma era troppo tardi, l'ira scorreva veloce nelle mie vene e ne percepivo ogni minima palpitazioni di essa. Alzai di poco lo sguardo portandolo sullo specchio, che era in quello stretto e lungo corridoio, notando che la vena sul mio collo era ormai gonfia. Mi girai di colpo sferrando un pugno sul viso di Fabio, il quale inizialmente si coprì il naso per poi alzare lo sguardo guardandomi scioccato, ma quello non mi fermò.

Mi scagliai conto di lui, iniziando a pestarlo pesantemente, a stento credevo a quello che stavo facendo. Volevo fermarmi, ma non riuscivo a fermarmi, il suo sangue sulle mie mani, mi incitava a continuare.

Mi fermai di colpo, come se mi fossi risvegliata da un lungo sonno, mi spostai da Fabio sedendomi accanto a lui, che quasi privo di sensi si lamentava. Non sapevo cosa fare, fissavo le mie mani piene di sangue in cerca di una scusa plausibile per quello che avevo fatto.

Guardai Fabio sul punto di svenire ed invece che cercare aiuto, scappai da quella casa, sperando fosse tutto un incubo, ma non lo era. Sapevo che non lo era, ma non volevo accettare quello che avevo fatto.

Restai fuori casa per due settimane, e durante quelle due settimane che conobbi Margherita. Margherita è stata la prima ragazza che ha cercato di capirmi, di aiutarmi a trovare una soluzione, la prima a cui ho concesso di entrare nella mia testa, nel mio orribile mondo. L'avevo conosciuta nello studio che di prima mattina andavo a lavare i vetri, per poter avere dei soldi tutti per me, dei soldi che mi servivano per andare dai miei fratelli, Fabio non mi avrebbe mai dato i soldi per andare dalla Barona a Cinisello Balsamo.

Dopo qualche giorno dal nostro primo "incontro", decisi di tornare a casa, dove trovai un Fabio disperato, con dei lividi sul volto, che piangeva, che non sapeva cosa fare... Non sapeva in che guaio si fosse cacciato entrando in quella relazione tossica.

Mi guardò, si alzò avvicinandosi a me, e prima che potessi porgergli le mie scuse, mi abbracciò. Era un abbraccio disperato, un abbraccio che però non riuscivo a ricambiare, i sensi di colpa mi mangiavano e non riuscivo a reprimerli. Chiusi gli occhi e quando li riaprì davanti a me ritrovai ancora una volta quegli occhi.

"BASTA" un urlo muto. Dalla mia bocca non usciva nessun suono, eppure a me sembrava di star urlando, urlando di dolore, o forse era più un urlo di disperazione, un urlo che chiedeva pietà. E solo in quel momento capì.

Il mio busto si alzò di colpo, i miei occhi, che si spalancarono terrorizzati, incrociarono subito quelli rossi di Diego, che mi guardava preoccupato. Girai lentamente lo sguardo su Fabio e rimasi in silenzio, nessuno in quella stanza osava parlare.

"È stato lui ad ucciderla" sussurrai confermando le supposizioni di Fabio e alzandomi mi avvicinai allo specchio del grande soggiorno. Aprì la bocca tirando fuori la lingua, e osservandola bene compresi perché percepivo sempre quel dolore alla bocca, che più che alla bocca era alla lingua. Le ipotesi che mi ero fatta su quella cosa viscida che aveva tra le mani, piena di sangue, erano ipotesi giuste. Ecco perché per anni non avevo mai parlato, ecco perché a sette anni non avevo mai spiccato parola, ecco perché mi vergognavo di aprire la bocca e parlare.

Lo so manco da tanto, ma dovete sapere che ogni tanto prendo dei grandi bassi e non riesco a scrivere. Ho provato almeno cinquanta volte a scrivere questo capitolo e solo dopo 27 giorni di crisi sono riuscita a scriverlo decentemente. Spero che vi piaccia, e si è un capitolo molto importante, soprattutto verso la fine. E niente, sto già lavorando al 15esimo capitolo :) 💙

Dove sei?/MarracashDove le storie prendono vita. Scoprilo ora