Chapter 37

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Unspoken, Aaron Smith.

"Posso parlarti?"

Ero seduta sul divano, davanti al notiziario che ormai continuava a fare supposizioni sulla causa della decimazione della popolazione mondiale.

Nessuno si curava di quel che diceva, era solo un modo per tenersi compagnia mentre si cercava un argomento di cui parlare.

Ma, come la sera precedente, non si trovarono particolari cose da dire, e ognuno se n'era andato per conto suo nella propria stanza.

Tutti tranne me e Steve.

Lui era seduto con i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate, il mento su di esse e lo sguardo basso.

Ma sentendo la mia domanda, i suoi occhi azzurri si rivolsero a me.
Il suo silenzio mi indicò che avevo tutta la sua attenzione.

"Io l'ho già detto a Tony. Cioè, ne abbiamo parlato prima di cena, ci siamo informati e abbiamo avuto una conferma, e ora lo dico a te.
Sì, perché c'è un problema. Un problema grosso. Credo di aver fatto una cosa stupida, ma veramente stupida."

Steve si sollevò e si mise seduto composto, con la schiena diritta, come se fosse ad un colloquio di lavoro.

"Dimmi."

Gli raccontai tutto. La lettera dei miei, il collegamento con il sogno, le rivelazioni di Friday, le supposizioni con Tony e la conclusione finale, cioè il fatto che potessi distruggere le gemme.

E poi gli confessai che su Titano avevo cercato di tenere la gemma per me: gli esposi il motivo, e gli dissi che volevo, ora più che mai, sapere qualcosa sui miei genitori.

E sapevo che la gemma era l'unica pista che possedessi. E che ora non possedevo più del tutto.

Steve restò zitto per tutto il racconto.
Pensai che alla fine mi avrebbe fatto un discorso dei suoi, così lo precedetti:
"Steve, so di aver sbagliato. So di sembrare un'egoista perché durante una guerra volevo davvero tenere la gemma per i miei scopi. Ma sapevo che, distruggendola, non avrei avuto più la possibilità di sapere qualcosa sui miei genitori, mentre tenendola intatta, avrei potuto scovarla in qualche altro modo, ma ora... be', ora è la stessa cosa. Sono stata un'idiota e un'egoista."

Il silenzio non durò a lungo.

"Grace. - prese la parola lui - Tutti sbagliano. Anche io ho fatto alcuni errori, ma mi hanno aiutato a crescere. E ora sono ciò che ho sempre sognato essere: quell'uomo che potesse mettere in guardia gli altri da alcuni errori, evitare di compiere le stesse scelte sbagliate, perché io stesso le ho provate sulla mia pelle."

Lo guardai, senza nulla da dire.
Perchè, in fondo, esiste qualcuno al mondo che riesce a rispondere ai discorsi profondi del Cap?

"Nessun rammarico, Grace. Non ti faccio alcuna colpa se hai sbagliato. Certo, ti sei presa un'enorme responsabilità, ma gli errori servono per migliorarsi.
Come si impara a rialzarsi se non si cade mai?"

A quel punto sorrisi.
Lo feci perché Steve era un libro aperto, qualunque cosa dicesse era per me un insegnamento, era sempre in grado di non farti sentire sbagliato.

Mi alzai dal divano per andare a letto.

"Grazie, Capitano." sussurrai, ma lui riuscì ad udirlo.

"Di cosa?" domandò.

"Di insegnarmi a vivere."

Mi voltai e gli sorrisi di nuovo, in segno di riconoscenza e di saluto per la buonanotte, quindi mi incamminai verso camera mia.

𝐀𝐕𝐄𝐍𝐆𝐄𝐑𝐒: 𝐓𝐡𝐞 𝐔𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚𝐭𝐮𝐦 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora