Capitolo 17

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Passata una settimana, tra lavoro e diverso stress, riuscii a trovare un pomeriggio libero. Stesso pomeriggio che avevo promesso di passare assieme a mio figlio. Come giusto che fosse, voleva trascorrere il suo tempo in compagnia mia e di Niccolò e come se non bastasse, dovevamo dirigerci a casa di quest'ultimo. Erano anni che non mettevo piede in casa di Niccolò e tornarci mi avrebbe sicuramente fatto tornare alla mente tutti i ricordi passati. Ad ogni modo accettai e mi preparai per passare quel pomeriggio con loro due. Daniele si preparò e portó con lui uno zaino in cui mettere i libri di scuola. Purtroppo proprio in quella giornata aveva ricevuto una miriade di compiti e non poteva permettersi il lusso di non farli. Così decise di portarli a casa di suo padre, in modo che riuscisse a farli lì.

-"Che palle sta scuola"- lo sentii imprecare mentre infilava l'ultimo libro in cartella.

-"Daniele!!"- lo rimproverai improvvisamente facendolo saltare per lo spavento. Misi le braccia sui fianchi e lo guardai adirata.

-"Cosa abbiamo detto riguardo le parolacce?"- domandai con un indice a mezz'aria. Lui sbuffó e mise lo zaino sulle spalle.

-"Si lo so, mamma"- disse spazientito superandomi e raggiungendo la porta di casa per uscire. Alzai gli occhi al cielo e presi la borsa, chiavi e telefono. Uscimmo entrambi di casa ed in poco tempo raggiungemmo l'abitazione del moro. Non appena arrivai di fronte la porta di casa sua chiusi gli occhi e feci un enorme respiro. Nel frattempo che compievo quella azione Daniele aveva già suonato il campanello. Niccolò non ci fece aspettare tanto tempo, tanto che notai subito la sua figura. Immediatamente le mie gote si colorarono di un colore rosso vivace. Notai da subito che non indossava la maglia e assistere dopo tanto tempo ad un scena del genere non fece altro che mettermi a disagio. Con i miei occhi indagatori fissai l'intera superficie coperta ancora di più, col tempo, dai tatuaggi. Percorsi tutti i loro contorni con lo sguardo per poi accorgermi che era anche leggermente dimagrito. Subito dopo, alzai la testa e guardai i suoi occhi. Sentii diversi brividi percorrere la spina dorsale. Non sapevo se quei brividi fossero causati dal fatto che io indossavo una maglietta leggera e sentissi freddo oppure a causa del suo sguardo. Daniele, per fortuna, portò entrambi alla realtà ed abbracciò suo padre.

-"Papà ma non ti fa freddo? Saranno una decina di gradi fuori"- commentó sorpreso suo figlio fissando il corpo mezzo nudo del padre. Lui ridacchió e poi stampó un bacio sulla sua guancia.

-"Si lo so. Mi stavo solo vestendo"- disse facendo spallucce e tornando a guardare me. Daniele, senza dir altro, entrò in casa lasciando me e Niccolò sull'uscìo.

-"Ciao, Aurora"- mi salutó facendo un piccolo sorriso e mettendo una mano tra i capelli.

-"Ciao, Niccolò"- provai a dire senza balbettare in alcuna maniera. Il moro non disse altro e si fece da parte per farmi entrare.

-"Non c'è la strega, vero?"- domandò Daniele facendo spuntare un sorriso sul volto del padre. Cosa c'era di così divertente per lui sentire disprezzamenti verso la sua donna? Non riuscivo a capacitarmi.

-"Se parli di Silvia no. Lei non c'è"- rispose Niccolò per poi prendere tra le mani una felpa di colore scuro. La indossò e finalmente riuscii a respirare in modo regolare. Mi guardai attorno e notai i piccoli e diversi cambiamenti avvenuti in quella casa. Non era cambiato molto. Era rimasta sempre la solita casa accogliente e calda. Non c'era più il disordine di una volta. Vestiti sparsi per terra e oggetti ovunque, ormai, erano solo un ricordo. In giro c'erano elementi che facevano intuire che ci fosse la presenza di una donna: Silvia. D'altronde convivevano e per come era Silvia non mi sorpresi del fatto che non ci fosse più caos in quella casa. Nonostante tutto, lo stesso odore buono e pungente di Niccolò non era mai sparito. Chiusi gli occhi per un attimo e rimembrai tutti i momenti avvenuti tra quelle mura. Proprio quando tutto era magnificamente perfetto. Gli riaprii di nuovo e provai ad ignorare tutta quella malinconia che aveva iniziato ad assalirmi.

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