Capitolo 23

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Nel POV
Attenzione capitolo un po' spinto, se aveste eventuali problemi,saltatelo

Il mio  corpo urla. Mi sciolgo tra le sue braccia. Il fuoco brucia nelle vene. Mi dibatto tra il senso di colpa e il desiderio di una tregua.
Gliel'ho detto. Ho detto a Colton qual è il segreto che mi consuma. Ho pianto. Ho singhiozzato per ore. Ore e ore. Non so nemmeno quanto. E mio Dio, è stato liberatorio. Ma il senso di colpa rimane. Lo so, è ridicolo. Lo so, ma non riesco a liberarmene.
E adesso è tutto amplificato dalle braccia robuste di Colton, strette intorno a me. Non riesco ancora a capacitarmi della bellezza aspra, selvaggia e virile di quest'uomo. Due anni senza vederlo per ritrovarmelo davanti – che canta quella canzone, tra l'altro – più muscoloso che mai. Di una bellezza indecente. Al funerale era già grosso, il fisico possente sacrificato nella giacca del completo elegante. Ma quando lo avevo visto suonare, su quella panchina di Central Park, ero rimasta senza fiato. I capelli corvini gli ricadevano sugli occhi, accarezzandogli la nuca, arruffati e trasandati: perfetti. Gli occhi non erano cambiati. Due zaffiri che ti trafiggevano da parte a parte. Ma il suo corpo? Oddio. I tatuaggi trasformano il suo torace in un affresco vivente, poesia in immagini lungo le costole; sulla spalla destra un drago che sputa fuoco su un ideogramma, le fiamme che divampavano sulla schiena e sfumano in un sole dorato, tipo rosa dei venti. Sul braccio sinistro il profilo sinuoso di una pin- up, altre parole sul fianco opposto, in latino, mi pare. Note musicali sugli avambracci, poi stelle, soli, teschi e tibie incrociate, croci di ferro che spuntano e si mescolano e si uniscono al resto dei disegni.
È un'opera d'arte in carne e ossa. Un capolavoro di virilità, tutto muscoli guizzanti, forti, robusti e possenti.
Mi fa paura. Emana un'energia violenta, una brutalità sanguigna. Ha ridotto Dan una poltiglia. Ne ha prese un bel po' anche lui, ma sembrava completamente indifferente al naso rotto, ai colpi alle costole e al petto, ai tagli sul viso. Dan era un mostro assetato di sangue e Colton lo ha fatto a pezzi senza problemi.
È stata la cosa più incredibile che abbia mai visto, e anche la più terrificante. Pareva mosso da una furia primitiva, così intensa e devastante che aleggiava nell'aria, densa e palpabile. Lo sguardo era quello di un guerriero lucido e freddo, implacabile, nella sua gelida ira.
Non riesco a resistergli.
E anche lui mi vuole, ma non ha intenzione di cedere. E lo capisco.
È il fratello del mio fidanzato. Che è morto. È semplicemente... sbagliato.
Come vi siete conosciuti? Oh, al funerale di suo fratello. Suo fratello minore, il mio primo amore.
Fantastico.
Ma con lui mi sento al sicuro. È come se mi tirasse fuori la verità da dentro. Come se mi tirasse fuori il dolore. Colton la conosce, la disperazione. Molto bene. Ci convive. E anche con il senso di colpa.
Ha dei segreti e voglio scoprirli. Tutti.
Voglio la sua bocca su di me. Le sue mani. Ne ho bisogno. Con lui mi sento viva. Al sicuro. Protetta, considerata. Ucciderebbe chiunque provasse a farmi del male. E non è un modo di dire. Stava per uccidere Dan. Avrebbe potuto. Ma preferisco non saperlo.
Voglio sapere perché vive da solo a New York, visto che suo padre è un membro del Parlamento. Perché è stato costretto ai combattimenti di strada per sopravvivere. Perché è finito in una gang.
Voglio sapere perché si ostina a non baciarmi. Perché si ritrae ogni volta, perché crede di non meritarmi, di essere una persona cattiva. Cattiva, quando invece è la persona più incredibile che abbia mai incontrato. È così pieno di talento. Per non parlare della sua

voce profonda, roca e intensa, del modo fantastico in cui suona la chitarra, della passione che ci mette.
Quella canzone. Quella che mi ha cantato, senza accompagnamento. La cosa più bella che abbia mai ascoltato. Così straziante, nella sua tristezza. La solitudine, la malinconia di quella canzone mi hanno lacerato l'anima. Credo che non abbia nemmeno un titolo, credo che non l'abbia mai cantata a nessuno, prima d'ora.
E adesso? Sono tra le sue braccia, avvinghiata. Vorrei voltarmi e rannicchiarmi accanto a lui, lasciarmi inondare dalla forza e dal calore del suo corpo. Questa posizione – sdraiati su un fianco, la mia schiena contro il suo torace, il suo braccio abbandonato sui miei fianchi – è quasi innocente. Quasi.
Voglio di più. Ho il coraggio di prendermelo? Decido di sì.
Mi volto e Colton si muove, allenta la presa e sospira, nel sonno. Una specie di gemito, che mi fa sorridere. Affondo il viso nell'incavo del suo collo, gli poso una mano sulle costole e la faccio scivolare sulla schiena. Respiro il suo profumo, permetto che il calore del suo corpo mi riscaldi. Oddio. Ci deve essere un errore, perché sembra tutto talmente perfetto. Non voglio mai più dormire in un'altra posizione. Infilo l'altro braccio sotto il cuscino e mi perdo, nel rifugio della sua mole. Sento la vena del suo collo pulsare contro il mio naso e conto i battiti, in attesa del sonno.
Che arriva, dolcemente. Senza incubi. Senza scarpe nere, senza macchie di fango, senza rivoli di sangue. Soltanto il sonno e la mano di Colton sul mio fianco. Forse sono stata io, a mettercela, non saprei. E va bene, lo ammetto. Mi piace da impazzire. Forse sbaglio, ma è più forte di me.
Ho deciso che voglio lasciarmi tutto alle spalle. Il tempo guarisce le ferite, giusto? Be', forse di tempo ne è passato a sufficienza e adesso è tempo di andare avanti, di dimenticare. Tempo di avere qualcosa che mi renda felice, dopo tutta questa agonia.
Mi sveglio lentamente, come affiorando alla superficie di un lago dopo essermi immersa nei suoi abissi. La prima cosa che sento è il cuore di Colton, che batte forte e ritmato nel mio orecchio. Oddio,
adoro questo suono. Poi mi accorgo del suo corpo, forte e accogliente, sotto di me. Gli sono praticamente addosso, il busto sul suo torace, una gamba sulla sua. E infine mi accorgo della mia mano.
Sul suo addome. Cioè... non proprio. È un po' più in basso. Parecchio più in basso. E stringe una parte del suo corpo che non sta dormendo. Anzi. È piuttosto sveglia. È enorme. Grosso. C'è la mia mano, lì sopra. Le mie dita.
Oh, cavoli.
Il suo respiro è un fruscio lieve, regolare. Quindi sta ancora dormendo.
Il fatto è che non ho nessuna voglia di togliere la mano. Voglio toccarlo. È passato così tanto tempo e al solo pensiero del suo corpo, sento una contrazione al basso ventre, una fitta di desiderio.
È più forte di me. Faccio scivolare il palmo verso il basso, poi verso l'alto. Lui si muove, solleva i fianchi e si rilassa. Lo faccio di nuovo. Piano, dolcemente, senza vergogna. Lo divoro con gli occhi, mentre contrae gli addominali e mi irrigidisco quando spinge in su ancora i fianchi. Sospira, si lascia sfuggire un gemito ferino, primordiale. Ha il respiro affannato, poi è percorso da un fremito.
Guardo in basso. Intravedo la sua carne, tenera. Mi inumidisco le labbra. Sono una svergognata. È sbagliato, stupido, volgare. Ma non mi fermo. I pantaloncini si sono abbassati sui fianchi. Ora l'estremità, rosea, spunta da sotto la cintura.
Guardo il suo volto ruvido, bellissimo e innocente e rilassato, nel sonno. Deglutisce, gira il viso di lato, solleva appena il bacino assecondando le mie carezze. Non so che cosa sto facendo, né perché, né come andrà a finire. È ancora immerso in un sonno profondo e fa lunghi respiri regolari, russando leggermente, in modo adorabile.
Ha una mano sul petto, mentre con l'altra mi tiene stretta a sé. E adesso la sua mano scivola lungo la mia schiena, per fermarsi sul mio culo. Sì. Mi piace. Mi sposto un po', in modo che mi prenda il gluteo sinistro.
Cosa sto facendo? Sono proprio fuori di testa. Si è sottratto ai miei baci per non approfittarsi di me mentre ero in lacrime e adesso
sono qui che lo molesto nel sonno, alla ricerca di un brivido da quattro soldi, godendo della sua mano sul mio fondoschiena.
È un grosso errore, ma gli abbasso un po' i pantaloncini. Adesso gli vedo la testa del pene, rosea e spessa, il minuscolo orifizio sulla punta, la scanalatura alla base del glande. Chiudo gli occhi e mi dico di smettere. Non funziona. Tocco la carne con il pollice, mordendomi le labbra. È morbida, vellutata. Non resisto e sposto la mano lungo l'asta, trattenendo a stento un gemito di piacere. Lo accarezzo.
Mi mordo le labbra, più forte, per assicurarmi che non sia solo un sogno. La fitta di dolore mi conferma che sono sveglia. Sveglia, e decisamente una poco di buono senza princìpi. Cioè, dopo Kyle non ho più toccato nessuno in questo modo. Ho baciato qualche ragazzo, nel tentativo di voltare pagina, di placare l'urgenza del desiderio, soffocato da tanto tempo. Ma non è mai scattata la scintilla con nessuno. Niente di niente. Dan ci ha provato e io mi sono sforzata di lasciarmi andare. Non ci sono mai riuscita.
Non posso parlare di scintilla, con Colton. No, perché è qualcosa di molto, molto più intenso. Sento il fuoco che divampa soltanto a guardarlo. Toccarlo, sentire le sue mani su di me, anche in maniera innocente, scatena una tempesta dei sensi.
Ma quello che sto facendo ora? Accarezzarlo con un gesto così intimo e sensuale? Brucio di desiderio. Emano un calore talmente palpabile, che potrei tranquillamente accendere un fiammifero.
Non riesco a smettere. Continuo ad accarezzarlo. Su e giù, esplorando la consistenza della sua pelle attraverso il nylon dei pantaloncini. Adesso asseconda il mio ritmo, si sta svegliando. Geme, si inarca sotto le mie dita. Non posso fermarmi proprio ora. Sta per godere.
Premo il pollice sulla punta del glande, la massaggio con lenti movimenti circolari e lo sento irrigidirsi sotto di me. Lo guardo; lui apre gli occhi, confuso, poi ha un fremito, mentre viene. Un rivolo di liquido lattiginoso gli copre l'addome.
«Cosa?» La voce è assonnata e confusa. È stordito.
Ha appena avuto un orgasmo, ma è ancora duro. Infilo una mano lì sotto e lo prendo in mano, assaporando la sua liscia consistenza.
Mi guarda con aria interrogativa, la mente attraversata da mille dubbi.
«Mi dispiace», mormoro. «Quando mi sono svegliata, mi sono accorta che ti stavo toccando. Poi non sono riuscita a fermarmi.»
«Sto sognando?» mi chiede, sospettoso.
«Non direi.»
Guarda in basso, il liquido appiccicoso sul suo inguine. «Quindi
hai appena...» «Sì.»
«Mentre dormivo?»
Annuisco e non riesco a guardarlo in faccia. «Sì. Non lo so: mi dispiace. Io... non ho resistito. So che non dovevo, però...» Le parole mi muoiono sulle labbra, non ce la faccio a finire la frase. Traggo un respiro profondo e ci riprovo. «Era così grosso e invitante ed era così tanto tempo che non...»
«Nell», mi interrompe. «Sta' zitta.»
Io taccio.
«Guardami», mi ordina.
Obbedisco, controvoglia. «Mi dispiace», sussurro. «Ti ho detto di stare zitta.»
Il suo tono aspro brucia come uno schiaffo sul mio viso, ma tengo la bocca chiusa e aspetto.
«Non so proprio cosa dire. Pensavo che fosse un sogno.» I suoi occhi mi passano da parte a parte, azzurri e roventi come una fiamma ossidrica. «Vuoi sapere cosa stavo sognando?»
Faccio cenno di sì.
«Rispondi. Ad alta voce.» È un Colton che non riconosco. Arrogante, diretto. Non so se questi suoi modi imperativi mi infastidiscono o mi eccitano. Entrambe le cose, direi.
«Sì, Colton. Voglio sapere cosa stavi sognando.» Rispondo in tono dolce e remissivo, ma il mio sguardo tradisce la collera.
È imperscrutabile. «Te. Stavo sognando te, Nell.» Mi guarda, impassibile. «Sognavo che facevi proprio questo.»
«E com'era, nel sogno? Ti piaceva?» gli chiedo. Gli sfioro l'addome appiccicoso con la punta delle dita, languida.
Lui osserva le mie dita e ha un sussulto. «Ero combattuto. Desideravo che non fosse un sogno. Desideravo che fosse reale. Non avrei dovuto.»
Tento di ignorare il frastuono assordante del mio cuore. «Perché no?»
Lui si fa scuro in volto. «Per... per tutto.»
«Rispondi. Perché no?» Anch'io so essere prepotente, quando voglio.
«Perché eri innamorata di Kyle.»
«Non c'è più. Non è come tradirlo.» Non voglio ascoltare la voce della mia coscienza, perché una parte di me è consapevole che è l'esatto contrario. Sarebbe proprio come tradirlo. Eccome.
«Tocca a te parlare.»
«Per dire cosa?»
«Quello che ti passa per la testa.»
Gli sfioro l'ideogramma sul petto, il giallo-arancio delle lingue di
fuoco, l'occhio del drago. «Penso che sono una bugiarda. Che sarebbe una specie di tradimento. Come tradire il suo ricordo. Però... penso anche che sono tutte paranoie.»
Appoggia la testa al cuscino e si gira di lato, fissando il muro. Contrae la mandibola, nervoso; guardo l'ombra della barba sul suo viso, il fremito che percorre i suoi lineamenti decisi. «È un bel casino», mormora.
Scende dal letto e va in bagno. Inumidisce un asciugamano e si pulisce lo stomaco. Torna a letto, si sdraia accanto a me e mi guarda. «Però pensavo la stessa cosa», prosegue. «Che sono paranoie, eppure non riesco a non pensarci. Noi due insieme... sarebbe come uno schiaffo alla sua memoria. Ma è una fesseria, perché è morto e avrebbe voluto vederci felici.»
«Be', anche quello che hai appena detto è una fesseria. Se fosse vivo, mi vorrebbe accanto a sé.»
«Però non lo è.»
«Stiamo litigando, per caso?» gli chiedo.
Colton soffoca una risata. «Non ne ho idea. Perché lo hai fatto?
Ora non possiamo più tornare indietro.» «Lo so», ammetto. «Sei arrabbiato?»
Lui rovescia la testa all'indietro. «Arrabbiato? No. Non sono arrabbiato. Sono confuso. Ammettilo, è stato un po' da vigliacchi. Non so se lo volevo oppure no.»
«Lo so. Lo so. Mi dispiace tanto. Io... mi faccio schifo.»
«No. Non dirlo nemmeno. Io non sono meglio di te. Ti ho spogliato mentre dormivi e...»
«Volevi soltanto che fossi comoda», lo interrompo.
«Volevo soltanto vedere il tuo corpo. Volevo vedere il tuo culo meraviglioso. Accarezzarti.»
«Però non mi hai... non hai fatto quello che ho fatto io.»
Si sfrega la guancia con la mano libera, perplesso.
«Stiamo facendo una gara? A chi è più stronzo?» gli chiedo.
Dentro di me, però, sono sbalordita. Colton voleva vedere il mio «culo meraviglioso». Ho sempre pensato che fosse troppo grosso. È una mia insicurezza. Come per la maggior parte delle ragazze. Corro ancora come una pazza, perché è uno dei pochi momenti in cui mi libero dei sogni e dei ricordi e degli incubi e del senso di colpa che mi opprime. Come quando sono ubriaca e quando suono. Ma per quanto corra, il mio culo è sempre grosso, il mio seno resta ingombrante.
«Vincerei su tutta la linea, senza dubbio», risponde Colton. «Il tuo è stato un momento di debolezza, credo. Io sono stronzo ventiquattrore al giorno.»
«Ti sbagli.» Avvicino il mio viso al suo. Potrei baciarlo senza sforzo. «Non è stato un momento di debolezza. Ma un lunghissimo istante di desiderio. E tu non sei uno stronzo.»
«Cosa vuoi, Nell?»
«Te l'ho già fatta io, questa domanda, ricordi?»
«Quindi nessuno di noi due sa cosa vuole?» I suoi occhi scrutano
i miei, mentre con la mano disegna arabeschi sui miei lombi.
«No. Sì. Io lo so, cosa voglio, ma non so se è giusto oppure no. E so benissimo di esserci arrivata nel modo sbagliato. Quindi ti chiedo
scusa.»
«Mi stai dicendo che non ti penti di quello che hai fatto, ma avresti
preferito farlo mentre ero sveglio?» Continua a sfiorarmi, ma più in basso.
Io inarco leggermente la schiena. Quel tanto che basta. Lui se ne accorge. Vedo le sue pupille dilatarsi, le narici fremere, le labbra contrarsi.
«Esatto», replico.
Ammettiamolo: l'ho fatto perché lo volevo. Con tutta me stessa. Ma ha ragione da vendere, quando afferma che ora non possiamo più tornare indietro. Perché è tutto diverso. L'ho sentito gemere di piacere. Ho sentito il suo corpo sotto il mio. La sua mano sul mio fondoschiena. E so che lo vuole almeno quanto me, e questo ci dilania.
Lo guardo negli occhi, mentre la sua mano scivola più in basso. Trattengo il respiro, quando mi sfiora i glutei. Prima di andare a letto ho tolto i jeans, quindi indosso soltanto un perizoma di seta. Un triangolino di stoffa gialla che nasconde a malapena la mia nudità, cingendomi i fianchi, scomparendo tra i miei glutei. Ho tolto anche il reggiseno, e indosso soltanto una T-shirt viola.
Lui sfiora il perizoma, mi accarezza i fianchi e continua a guardarmi negli occhi, intanto, lentamente, mi stringe il gluteo sinistro. Vedo le mie emozioni riflesse nei suoi occhi: mi desidera, ma è combattuto.
«Ti perdono», mi dice, sollevando un angolo della bocca in un sorriso malizioso. «In fondo è stato un sogno fantastico.»
Esplora la fessura del mio sedere. La sua mano si posa sull'altro gluteo, poi scivola in basso, accarezzandomi prima una coscia, poi l'altra. Dio. Adesso risale lungo la schiena nuda, sotto la maglietta. Le sue dita. Lingue di fuoco che lambiscono la mia pelle. Poi si insinua sotto il mio braccio, sulle costole, a cercare il seno. Sposto il braccio, sfioro il suo torace, indugio un istante sulla sua spalla, poi faccio quello che sogno da tanto e gli accarezzo la guancia ispida. In questo modo gli apro un varco, così lui fa scivolare la mano verso l'alto, a toccarmi il seno, schiacciato contro il suo petto.
«Cosa stiamo facendo, Nell?» mormora con voce roca.
«Non ne ho idea. Però mi piace.»
«Anche a me.» Mi stringe a sé.
Ora sono su un fianco, la testa appoggiata al palmo della mano,
la gamba sulle sue cosce, l'altra mano sul suo sterno. Non ci sono
più ostacoli a separarci. La maglietta è sollevata e l'orlo lascia intravedere i miei seni. Lo sfido in silenzio, immobile, con lo sguardo fisso nei suoi occhi, di un azzurro da togliere il fiato.
Lui accetta la sfida. Prima mi posa una mano sulla pancia e per un attimo credo che scivolerà verso il basso, invece risale fino all'orlo della T-shirt. Avevo già il fiato corto, ma adesso ho la gola chiusa, i polmoni che bruciano, il cuore che batte all'impazzata.
Poi la sua mano ruvida, gentile ed enorme si insinua e si chiude intorno al mio seno. Non respiro da almeno trenta secondi. Oddio. È una sensazione così meravigliosa. È virile, forte. Ho un seno generoso, ma sembra fatto per stare nelle sue mani. Il suo palmo ruvido mi graffia il capezzolo e sussulto, elettrizzata.
«Colton...» Chino la testa e appoggio la fronte sulla sua spalla. «Guardami, Nell», mi dice, in tono dolce, ma deciso.
Obbedisco. Ha uno sguardo languido e intenso.
«Siamo a un bivio, adesso. Se non lo vuoi, devi dirmelo ora. Puoi
alzarti e andartene. Dimenticherò tutto. Sarò comunque tuo amico. Ma dimmelo subito. Perché da questo momento in poi, si va fino in fondo.»
Deglutisco. Mi mordo il labbro e distolgo lo sguardo.
«Cazzo, no. Non farlo», esclama con la voce spezzata.
Non capisco. «Non fare cosa?»
«Quell'abitudine che hai. Di morderti le labbra. Mi fa impazzire.
Provaci di nuovo, ed è finita. Ti salto addosso.» È così rude, adesso, così brutale e aspro che vibra contro di me e mi solletica il bassoventre.
«Buono a sapersi», ribatto.
Lui toglie la mano. «Deciditi, Nell. Fino in fondo, oppure fingiamo che non sia mai successo niente.»
«Fino in fondo?» La mia voce è dolce e tremante.
«È una domanda? O un'affermazione?»
«Io... Colton, non potrei mai... però noi...» balbetto in modo
sconclusionato. Affondo i denti nel labbro inferiore senza rendermene conto e Colton si lascia sfuggire un gemito. «Te l'ho già detto. Non... Non farlo. Mi fa perdere la testa. Mi sto trattenendo a stento e tu cosa fai? Ti mordi di nuovo il labbro.»
«Perché ti fa impazzire in questo modo?» gli domando per prendere tempo.
Tempo per cosa, poi. So benissimo cosa voglio. Ma Colton... è ancora talmente diretto e autoritario, e questa cosa mi intimidisce, mi rende insicura e spaventata. Non ci capisco più niente. Prima gli metto le mani addosso mentre dorme, poi esito, quando mi dice chiaro e tondo che mi desidera. Sono proprio da manicomio.
«Non lo so», mi risponde. «È un riflesso istintivo. Quando ti mordi il labbro mi viene voglia di prenderlo e leccarlo e succhiarlo come un ghiacciolo. Voglio mordere le tue labbra e leccarle e baciarle fino a farti perdere la testa, fino a farti urlare di piacere.»
Be'... l'idea mi piace. Nervosa? Non più.
Sento di nuovo quella strana cosa dentro il petto: il cuore che si gonfia fino a esplodere, che martella nelle orecchie e fa le capriole e so che ho deciso. Mi mordo il labbro un'ultima volta.
«Cazzo. Te la sei cercata, tesoro.» La sua voce è il ringhio di un animale assetato di sangue.
Non mi rendo nemmeno conto di quello che accade. Un secondo prima stiamo parlando, l'istante dopo mi prende e mi bacia con violenza e, mantenendo la promessa, afferra il mio labbro inferiore e lo succhia, lo lecca. Sono frastornata e sconvolta dall'intensità folgorante di quel bacio, poi mi sciolgo, tra le sue braccia. E mi trasformo in un oceano sotto di lui, perché all'improvviso è dolce, mi prende il viso tra le mani, mi guarda, poi mi bacia piano, in modo così intenso e coinvolgente che io... mi perdo. La sua bocca brama la mia, la reclama, rubandomi il cuore, prendendomi l'anima.
Non è la prima volta che ci baciamo, ma ogni bacio è più bello del precedente. Ogni bacio è unico e indimenticabile. Mi si stringe il cuore, quando mi rendo conto che i baci di Kyle non erano nulla, in confronto. Nulla. E questa consapevolezza mi fa male. È un dolore così tenero, profondo e strano, che non so come gestirlo.
Un bacio... e sono sua. Completamente. In quel momento capisco che gli appartengo, come ha detto lui. Come sia successo, non lo so. Vorrei tanto saperlo, però.
«È la tua ultima occasione, bambolina» mormora, solleticandomi l'orecchio con il respiro. «Dimmi che non lo vuoi.»
Lo respingo e leggo la sofferenza del rifiuto nei suoi occhi, prima di poterlo rassicurare. Fa per scendere dal letto ma lo trattengo per un braccio. Mi sfilo la maglietta. Colton mi divora con gli occhi, inumidendosi le labbra.
«Al contrario», sussurro senza fiato. «Ne ho bisogno.»
Ha una strana luce negli occhi. È lo sguardo di un animale selvatico.
Oddio, ci siamo.
«Togliti il perizoma e allarga le gambe.»
«Chiedimelo per favore», ribatto, chiamando a raccolta tutto il mio
coraggio. Non sono più la fragile, vulnerabile Nell, per fortuna.
Lui mi fissa. Io non obbedisco, testarda. Lui scuote la testa, come se non credesse alle sue orecchie. Poi prende il perizoma e me lo strappa di dosso. Disinvolto, senza fare nessuna fatica. Due dita sul
triangolo di seta e zac! sparito. Sono nuda. Un gioco da ragazzi.
«Mi piaceva, quel perizoma», protesto.
«Allora dovevi ascoltarmi.» Sento le sue dita sfiorarmi il ventre,
che si contrae, e scendere sul pube e lungo le cosce, serrate. «Adesso allarga le gambe e grida quanto ti pare. Qui non ti sente nessuno.»
«Co... oh.» Non ho nemmeno il tempo di reagire, che affonda la lingua tra le mie cosce.
Le spalanco. Appoggio i talloni sul letto e divarico le ginocchia. Sono senza pudore.
«Sì, Nelly. Così», mormora tra le mie gambe. «Dio... sei dolce come il miele.»
Muoio di vergogna, ma è solo un istante. Poi ci sono soltanto i miei gemiti di piacere, che non trattengo. Perché... non ho mai provato niente del genere. Mai. Mi dimeno sul letto, inarco la schiena, muovo il bacino assecondando le sue carezze. Infila un dito dentro di me e lo muove e io... esplodo. Le mie urla mi graffiano la gola, stringo i denti, sospiro.
«Ti fidi di me?» La sua voce mi coglie di sorpresa e sono così concentrata sul mio piacere che non capisco.
«Co... cosa?»
«Ti. Fidi. Di. Me?» Continua a muovere le dita, a frugare, esplorare.
«Sei dentro di me. Quindi sì, mi fido.»
«Ti consiglio di prendere un cuscino e morderlo.»
«Perché?...» gli domando, ma non finisco la frase. «Oh... cazzo!» Ride, compiaciuto. Ha due dita dentro di me, ora, e un altro dito
è... Oddio. Non ci credo, non capisco, è impossibile, eppure lo ha messo proprio lì. In quell'orifizio stretto e nascosto.
Affondo i denti nel cuscino. Precipito in un vortice di lussuria sfrenata. Non riesco a contenerlo. Si disperde in mille rivoli e non sono nemmeno venuta. O forse sì. Forse è questo che si prova, e per me è la prima volta. Soffoco le grida nel cuscino e inarco la schiena. Infilo le dita tra i suoi capelli, spingendolo contro di me, senza vergogna.
Lo imploro.
Di fare cosa? Non lo so.
«Colton... Colton... ti prego... oh, mio Dio...»
Di fermarsi? Di non fermarsi, nemmeno per respirare? Non lo so. È un'intrusione discreta, la sua, solo la punta del dito che fruga in
quel posto proibito. Ma è una sensazione che mi lascia stordita. «Cosa... cosa mi stai facendo?» gli chiedo.
«Ti faccio venire. Accarezzando il tuo culetto innocente.» Poi
torna a leccarmi e succhiarmi e mi sfugge un gemito. «Ti sto preparando.»
«Preparando per cosa?» Lo voglio sapere. Dio, se lo voglio. È possibile provare qualcosa di ancora più intenso?
«Vieni e lo scoprirai.»
«Non sono venuta?»
Lui ride. «Oh, no, non ancora.» Allunga una mano e all'improvviso
è ovunque. Mi strizza un capezzolo e lo massaggia, continuando a esplorarmi, a leccare e a succhiare... «Adesso. Vieni.»
È un ordine che non mi dà scampo. È un'esplosione che mi disintegra, un oceano che mi inonda e grido e piango. Piango. Nel vero senso della parola.
Poi... lo vedo che risale verso di me, come un predatore. Ha la barba umida, sul mento. Del mio piacere. Avvampo.
È enorme. Tutto muscoli e linee ampie e spigoli taglienti; è così grande, ed è sopra di me. Il suo corpo mi impedisce la vista del mondo intero. Ci sono solo i suoi tatuaggi e la sua pelle, e quegli occhi azzurri e i capelli neri e lucidi. Poi abbasso lo sguardo e lo vedo. Il suo... Il suo cazzo.
Mi piace, questa parola. Non la uso mai. Ho cominciato a usare parole volgari dopo la morte di Kyle. Non mi importava niente. Il sesso? Sparito. Non faceva più parte della mia vita. Ho imprecato come uno scaricatore di porto, ho bevuto, ma il sesso non riuscivo proprio a concepirlo. Mi sono tuffata nello studio e ho lavorato per papà e non sono uscita con nessuno, non ho fatto niente, mi sono trasformata in un fantasma. Ho lavorato. Ho studiato. Ho suonato. Un morto vivente, un guscio vuoto, consumato dal senso di colpa.
Adesso... sono viva. Così viva. E mi piacciono le parole volgari.
Sono sfacciata. E mi piace. In parte perché il senso di colpa provocato da ciò che stiamo facendo è un nuovo tipo di dolore, e il dolore mi concentra. Mi rende lucida.
Ma tornando al suo cazzo. È... magnifico. Lo avevo già intravisto. Ma così da vicino... sapere che è tutto per me... non riesco a respirare e mi tormento il labbro.
«Non avere paura. Farò piano.» La sua voce è dolce.
Pensa che sia spaventata. E all'improvviso, lo sono. Terrorizzata. Da morire. Dopodiché un altro pensiero si affaccia alla mia mente e sono travolta dal senso di colpa e dalla vergogna e dalla disperazione.
«Nell? Cosa c'è? Perché piangi?» Si sdraia su un fianco e mi sfiora il viso con il naso. «Merda. Merda. Lo sapevo. Ho esagerato. Maledizione.» Si porta una mano alla fronte.
«No...» Mi limito a dire con il petto straziato dai singhiozzi. «No... Tu non c'entri...»
«Allora di cosa si tratta?»
«Be', in parte c'entri, è vero.» Faccio un respiro profondo e affondo le unghie nell'avambraccio. Funziona. Il dolore mi calma. «Sei tu, ma non... non è quello che pensi.»
«È comprensibile, accidenti», borbotta.
«Mi dispiace. Mi dispiace.» Annaspo e mi strattono i capelli, tirando finché non mi fanno male. «Significhi molto, per me. Significhi così tanto. Molto più di chiunque altro. Molto più di... di Kyle.» E ricomincio a singhiozzare.
«Cristo.» Ora è vicino a me e mi sta guardando, anche se non riesco a vederlo, dietro il velo salato delle lacrime. «Nell, è tutta colpa mia. Lo so che ho detto che questa era l'ultima possibilità, ma... chiudiamola qui, va bene? Non avere paura. Ti prego. Sono proprio uno stronzo. Senti, il tuo benessere viene prima di tutto, capito? Mi dispiace, non volevo farti pressione.»
Rido, tra i singhiozzi. «Sei proprio un idiota.»
Lui si irrigidisce, si paralizza. «Cosa? Come mi hai chiamato?» Nella sua voce c'è un gelo mortale.
Lo guardo e mi accorgo che è livido di rabbia; ha la mandibola contratta, i muscoli del collo in tensione. «Colton, io... volevo soltanto dire che non ho paura, non ne ho per niente. E ho detto che sei un idiota perché ti comporti come se mi avessi messo pressione. Non è così. Ti ricordo che sono stata io a cominciare.» È talmente furioso che sta tremando, una reazione che mi confonde e mi terrorizza. «Mi dispiace... io non volevo. Ti prego... io.»
«Sta' zitta un secondo, ho bisogno di calmarmi.»
Annuisco.
Passa qualche minuto e riprende a parlare, con voce più calma.
«Ho un problema, con quel termine. Quando mi chiamano idiota, o stupido. O cose del genere. Ritardato, cretino, stronzate simili. È un tasto dolente, per me. Non dirlo mai più, nemmeno per scherzo. Chiaro?»
«Sì. Ho capito. Mi dispiace. Non sei un idiota. Sei fantastico. Sei... così tante cose. Almeno, secondo me. È...»
«Non c'è bisogno di esagerare, adesso», mi interrompe.
Non posso fare a meno di guardarlo, di chiedermi cosa gli sia successo, per renderlo così suscettibile. Qualcuno deve aver insultato la sua intelligenza in modo metodico. E il fatto che sia ancora un problema, mi fa credere che probabilmente la causa sia una sola. Ma non ce li vedo, i signori Colton, a comportarsi così. Con Kyle erano sempre premurosi, affettuosi e gentili. Severi, a volte, soprattutto quando si trattava di difendere l'immagine della famiglia dalla pubblicità negativa, ma li capivo.
«Non stavo esagerando», dico piano. «Ti ho spiegato perché all'improvviso mi sono messa a piangere come una ragazzina.»
«Lo sei», ribatte.
«Sì», ammetto. «Ma non avevo mai pianto, prima che tu mi tormentassi e mi spingessi a parlare di certe cose. E intendo proprio mai.»
Colton mi guarda. «Non hai mai pianto? Nemmeno per Kyle?» «No.»
«Non hai mai elaborato il lutto?» mi domanda incredulo. «Elaborare il lutto?» Che idea assurda. Lo afferma come se fosse
una cosa scontata.
Solleva la testa dal cuscino e mi osserva. «Sì. Il lutto. Sai,
attraversare tutti gli stadi della perdita.» Si lascia cadere di nuovo sul cuscino, massaggiandosi la radice del naso. «Ovviamente non lo hai fatto. Non mi sorprende che tu sia così incasinata.»
Mi copro il viso con un braccio per nascondere il fastidio e il dolore e le lacrime che mi riempiono gli occhi. «È morto. L'ho elaborato.»
Colton sbuffa. «No. Non hai elaborato proprio un cazzo. Sei un'autolesionista, Nell.»
«Non mi taglio da settimane.» E intanto mi tormento le cicatrici con il pollice.
Mi prende le mani e me le apre a forza, sfiorando le linee bianche con un dito. È un gesto tenero che mi riscalda il cuore e mi fa venir voglia di piangere. Ha uno sguardo così malinconico.
«Bene.» Mi fissa severo, deciso. «Se ti tagli ancora, mi arrabbierò. E quando dico che mi arrabbierò, sono serio. Vorrei risparmiarti la vista di un tale spettacolo.»
Sì, lo vorrei tanto anch'io. Però non gli rispondo. Non posso prometterlo. Non mi taglio da un po' di tempo soltanto perché ho Colton nella testa e la sua presenza è un motivo più che sufficiente a distrarmi e a distogliere la mia mente dall'impulso di sanguinare fino a non sentire più niente.
Ma lui non è stupido. Mi prende il mento tra due dita e mi costringe a guardarlo. «Promettimelo, Nell.» Quegli occhi. Così azzurri. «Promettilo, cazzo. Basta tagli. Se ti accorgi che stai per farlo, chiamami e arrivo. Affrontiamo il problema insieme, intesi?»
Vorrei poter mantenere la promessa. Non posso. Non capisce quanto ne ho bisogno. È una cosa che odio, davvero. Dopo essermi tagliata mi sento ancora più in colpa e non fa che peggiorare la situazione. È come un'abitudine a cui non sono in grado di rinunciare; ma non è un semplice vizio di cui mi vergogno, come fumare o imbottirmi di farmaci. So che mi capisce, perché anche lui ha lo stesso impulso, eppure non si accorge di quanto sia radicata in me questa esigenza.
Non gli ho risposto. Fisso il soffitto e tremo. Voglio prometterglielo. Voglio guarire, voglio smettere di incidermi i polsi, gli avambracci.
Colton si mette seduto; è ancora nudo, il suo pene non è più eretto e lo guardo affascinata. Mi offre un diversivo, un sollievo momentaneo. Mi afferra, mi solleva e sono tra le sue braccia, costretta a sostenere i suoi occhi furiosi.
«Ti ho detto di promettermelo, Nell.»
«No!» mi dibatto e riesco a scendere dal letto, il più lontano possibile dalla sua pelle calda e dai suoi muscoli e dalla sua espressione arrabbiata e penetrante. «No! Non puoi dirmelo, non puoi chiedermelo. Non capisci! Non puoi entrare nella mia vita e stravolgerla come se niente fosse.»
«Invece sì.» La sua voce è calma, intensa.
È ancora sul letto e mi sta fissando. Sto frugando tra il mucchio di vestiti sul pavimento alla ricerca di qualcosa da mettermi, ma non riesco a trovare la mia maglietta, né i pantaloni, così prendo una T- shirt di Colton. Mi arriva a metà coscia ed è morbida e ha il suo odore, e mi stordisce e mi rassicura al tempo stesso.
«No. Non puoi. Non mi conosci neppure. Non hai idea di quello che ho passato. Non sai come mi sento.»
«Hai ragione. Ma ci sto provando.»
«Perché?»
«Perché non dovevano lasciarti da sola ad affrontare questo. Non
dovevano permetterti di fingere che andasse tutto bene. La morte di
Kyle è una ferita aperta. Non è mai guarita, non si è mai rimarginata. È come un ascesso infetto, Nell. Ti sta avvelenando l'esistenza. Hai bisogno di aiuto. Devi permettermi di darti una mano.»
«Non posso... non posso.» Corro fuori dalla stanza, in cucina.
Devo bere, o tagliarmi. Colton sta portando tutto in superficie: il dolore, i ricordi. Sta lentamente tirando fuori lo schifo che ho seppellito dentro di me. Lo sa e lo sta facendo apposta.
In tutto questo tempo sono stata brava a reprimere e soffocare la mia disperazione e ogni volta che ha minacciato di venire fuori, ho bevuto finché non si è di nuovo depositato giù in fondo, o mi sono tagliata, lasciando che sgorgasse dalle mie vene, piuttosto che piangere o gridare o prendermela con il mondo intero.
So che tiene del whisky da qualche parte, ma non lo trovo. Deve essere nel pensile in alto, ma non ci arrivo. Salgo sul bancone, allungo un braccio e perdo l'equilibrio. Cado a terra e l'impatto mi toglie il respiro.
Sta tornando a galla. Come quando mi ha fatto piangere, quando mi ha fatto ammettere che ho ucciso Kyle. Il senso di colpa è straripato e mi ha fatto male, trapassandomi il cuore con la sua lama tagliente.
Ma questo?
Questo è il dolore. Il senso di perdita. La consapevolezza che Kyle non c'è più. Lo so, ovviamente, lo so benissimo. Ma questo è il dolore. Il lutto. La solitudine. È peggio del senso di colpa. Ho sempre saputo che il senso di colpa era sbagliato. Il senso di colpa che non riesco più a giustificare, né a scacciare. Che non riesco più a spiegare, né a cancellare. Sto trattenendo a stento i singhiozzi, il cuore e lo stomaco stretti in una morsa.
No.
No.
Devo soffocarlo.
Ha scacciato il senso di colpa. Ma non posso fare niente per il
dolore e la perdita. Non voglio. È troppo. Mi distruggerà.
Un cassetto che sbatte, posate che tintinnano. Sono io, che mi muovo come un automa, rovistando tra i coltelli. Che importa, se si arrabbia. Non me ne frega niente. Rumore di passi. I suoi. Mi ha dato qualche minuto per calmarmi, credo, ma ora vede cosa sto facendo.
Troppo tardi.
Accolgo la sofferenza come una liberazione. Guardo con perversa soddisfazione il rivolo rosso che scende lungo il mio avambraccio. Il coltello non era molto affilato, così ho affondato la lama. È un taglio profondo.
«Cosa cazzo...» Colton, in pantaloncini, si precipita verso di me, furioso, spaventato. «Nell... cazzo!»
Non perdo tempo a rispondergli. Mi gira la testa. Sanguino. Abbasso lo sguardo e vedo la macchia rossa, che si allarga. Ho spinto un bel po'. Troppo. Bene. Il dolore svanisce e sgocciola sul pavimento sbrecciato.

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