Capitolo 16

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Kyle era sotto il tronco, le gambe che si agitavano frenetiche nel fango e nella ghiaia. Urlai di nuovo, senza sentire nulla. Il grido mi rimase intrappolato in gola, scorticandomi le corde vocali. Percorsi il vialetto a quattro zampe, sorda al dolore lacerante, trascinandomi verso di lui. Raggiunsi i suoi piedi, scavalcai il tronco e mi feci largo tra grossi rami spezzati, simili a lance acuminate.
«Kyle? Kyle?» Il suo nome era una supplica disperata, sulle mie labbra.
Sollevò il torace e voltò il capo, per cercarmi. Aveva le guance imbrattate di fango. La fronte era sporca di sangue, che colava in rivoli lungo il naso, sulla bocca. Provai a scavalcare l'albero facendomi forza con un braccio solo, ignorando la corteccia che mi graffiava le ginocchia nude, la linfa che si incollava ai polpacci e alle cosce. Il mio vestito si incastrò a un ramo e si strappò, mostrando la mia pelle alla furia del cielo. Mi liberai, caddi con tutto il peso sulla spalla e sentii qualcosa spezzarsi nel braccio. Il male mi tolse il fiato, lasciandomi tremante, impotente. Aprii gli occhi e vidi quelli nocciola di Kyle. Batté le palpebre, lentamente, poi chiuse gli occhi, mentre un rivolo rosa gli offuscava lo sguardo. Respirava a fatica. Aveva del sangue all'angolo della bocca.
Mi voltai, facendo attenzione a non appoggiarmi al braccio rotto. Poi lo vidi. Non solo l'albero gli era caduto addosso, ma un ramo gli si era conficcato come una lama nel corpo. Gridai di nuovo, poi calò il silenzio. Allungai una mano e gli asciugai la pioggia dal viso, togliendogli il sangue dalla guancia e dal mento. «Kyle?» Questa volta fu solo un mormorio, roco e flebile.
«Nell... ti amo.»
«Andrà tutto bene, Kyle. Ti amo.» Mi alzai a fatica, mi puntellai contro l'albero e spinsi con tutta la forza che avevo. «Ti tiro fuori. Ti porto in ospedale. Andrà tutto bene... Andremo a Stanford insieme.»
L'albero si mosse, e Kyle gemette di dolore. «Fermati, Nell. Fermati.»
«No, devo... devo tirarti fuori.» Spinsi di nuovo, scivolai nel fango e andai a sbattere contro la corteccia.
Crollai a terra, accanto a lui, che allungò un braccio nel fango, aggrappandosi alla mia mano. «È inutile, Nell. Tienimi stretto e basta. Ti amo.» I suoi occhi cercarono il mio viso, come a volerlo imprimere nella mente.
«Ti amo, Kyle. Ci sposeremo, ti prego...» Le parole uscivano intervallate dai singhiozzi. Mi rimisi in piedi. Raggiunsi l'auto, ridotta a un mucchio di lamiere e vetri in frantumi, infilai un braccio nel finestrino rotto e presi la borsa. Una scheggia di vetro mi incise il braccio, ma la ignorai. Strinsi la borsa contro il petto con il braccio rotto, tirai fuori il telefono, feci scorrere un dito tremante sullo schermo per sbloccarlo, rischiando di farlo cadere mentre premevo il pulsante di chiamata. La borsa scivolò nel fango.
Una calma voce femminile lacerò il velo della mia disperazione. «Nove-uno-uno, posso aiutarla?»
«È caduto un albero... il mio ragazzo è intrappolato. Penso che sia gravemente ferito. Credo che un ramo... La prego, la prego mandi qualcuno ad aiutarci.» Riuscivo a stento a riconoscere la mia voce, deformata dal terrore e dal panico.
«A quale indirizzo, signorina?»

«Io non... non lo so.» Conoscevo l'indirizzo, ma non riuscivo a ricordarlo. «934...» Soffocai un singhiozzo e caddi a terra accanto a Kyle, mentre la ghiaia mi mordeva le ginocchia e il fondoschiena.
«Il suo indirizzo, signorina?» continuò la centralinista con voce calma.
«9341, Rayburn Road...» mormorò Kyle.
Riferii l'indirizzo alla donna. «Faremo arrivare qualcuno prima possibile, signorina. Vuole che resti al telefono con lei?»
Non riuscii a rispondere e lasciai il telefono. Lo fissai inebetita, mentre minuscole gocce di pioggia e fango picchiettavano sullo schermo. Raccolsi il telefono, come se potesse essermi di aiuto. Lo afferrai con la mano sbagliata. Avevo le dita insensibili e il sangue colò dal mio avambraccio, sgocciolando e imbrattando il display spento.
Kyle aveva lo sguardo vitreo, distante. Gli presi la mano e mi sdraiai accanto a lui. «Non lasciarmi», lo implorai esausta.
«Io... non ti lascio», mormorò. «Ti amo. Ti amo.» Sembrava che non conoscesse altre parole. Continuò a dirlo, e io insieme a lui, come se quella semplice frase potesse tenerlo in vita.
Il silenzio fu interrotto dall'ululato distante delle sirene.
Kyle emise una specie di rantolo, mi strinse la mano sfinito, già lontano. Aprì brevemente gli occhi, cercandomi.
«Sono qui, Kyle. Stanno arrivando i soccorsi. Non andartene. Non mollare.»
Mi guardò senza vedermi, e cominciai a singhiozzare.
Posai le labbra sulle sue, sporche di sangue. Erano fredde.
Ma eravamo sotto la pioggia, quindi era normale, no?
Per forza, erano fredde.
Lo baciai di nuovo. «Kyle? Baciami. Ho bisogno di te. Apri gli occhi.» Lo baciai ancora, ma le sue labbra erano gelide e immobili. «Svegliati. Apri gli occhi. Ti prego. Dobbiamo sposarci. Ti amo.»
Poi delle mani mi sollevarono da terra, portandomi via. Una voce disse qualcosa, ma il senso delle parole mi sfuggì. Si levò un grido. Ero io? Kyle era immobile. Troppo immobile. Ma non era morto. Non era morto. No. No. La sua mano era piegata, come se volesse tenere la mia, ma stavo scivolando via, trascinata dal vento. Spazzata via dal vento.

Poi sprofondai nel buio. Non provai più alcun dolore, anche quando mi sollevarono e mi fecero stendere su una barella, urtandomi il gomito. Altre voci mi fecero nuove domande, qualcuno mosse il mio braccio con cautela. Il male era come un tuono distante, adesso. Come la pioggia, fredda e remota.
Ti amo. Lo avevo detto ad alta voce?
Una mano cercò di aprirmi le dita chiuse. Stavo stringendo qualcosa. Vidi un viso paffuto, di mezza età, sopra di me. Muoveva le labbra, pronunciando parole silenziose. Chiusi le palpebre e mi lasciai avvolgere dall'oscurità, poi le sollevai e tornò la luce. Espirai. Poi un'altra volta.
Perché respirare, se Kyle non c'era più?
Che senso aveva continuare a vivere?
Mi posarono una cosa fredda, dura e trasparente sulla bocca e sul naso, e ripresi a respirare, mio malgrado. Guardai il mio pugno chiuso. Allentai la presa e vidi una fede d'argento con un diamante che scintillava. Tentai di infilarlo all'anulare della mano sinistra. Non appena mi avessero dimesso dall'ospedale, mi sarei precipitata da Kyle e glielo avrei detto: Ti amo e sì, voglio sposarti. Prima, però, dovevo mettermi l'anello. Una mano robusta, con le nocche ricoperte da una peluria scura, lo prese e me lo infilò al medio della destra, quella sbagliata. L'argento si macchiò di rosso e strofinai la mano sul vestito bagnato. La macchia scomparve.
Un viso gentile, due occhi azzurri in un viso paffuto. Le labbra si muovevano, senza dire nulla. Mi porse qualcosa, un telefono. Era il mio telefono? Premetti il pulsante tondo. Comparve Kyle, bellissimo, le labbra contro le mie, mentre ci scambiavamo un bacio. Era il mio telefono. Guardai l'uomo. Sembrava confuso. Come se volesse qualcosa da me. Indicò il telefono e parlò. Mi si stapparono le orecchie e tornai a sentire.
«Signorina? Chi dobbiamo avvertire?» Aveva la voce profonda e roca.
Lo fissai. Avvertire? Chi dovevo avvertire? Perché?
«Mi sente?»
«S-sì. La sento», risposi flebile, lenta.
«Come ti chiami, tesoro?»

Il mio nome? Lo fissai di nuovo. «Nell. Mi chiamo Nell Hawthorne.»
«Riesci a chiamare i tuoi genitori, Nell?»
Oh. Voleva che telefonassi ai miei genitori. «Perché?»
Il suo volto si contrasse in una smorfia, poi chiuse gli occhi e li
riaprì, come per trovare coraggio. «C'è stato un incidente. Sei ferita.»
Mi osservai il braccio, che pulsava debolmente. «Incidente?» Cercai di fare chiarezza nella mia mente, ma era offuscata, annebbiata. «Dov'è Kyle? Devo dirgli che lo amo. Che lo voglio sposare.»
Poi mi ricordai ogni cosa. L'albero che si schiantava al suolo.
Io, paralizzata dalla paura.
Kyle, i suoi occhi distanti, sempre più lontani. Il silenzio fu squarciato da un grido. Da un gemito. Il telefono mi
cadde di mano e qualcuno parlò, in lontananza.
Alla fine sprofondai nel buio più totale.
Il mio ultimo pensiero fu che Kyle era morto. Kyle era morto. Mi ha
salvato la vita, e ora è morto. Scoppiai in un pianto convulso, disperato, e il mio cuore si ruppe in mille pezzi.

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