Capitolo 15

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Trascorremmo il sabato in barca, nell'ozio assoluto, a bere birra e mangiare sandwich, a fare l'amore e ascoltare la musica dal mio iPod. Non affrontammo argomenti spinosi e ci godemmo la reciproca compagnia, l'azzurro increspato del lago, l'orizzonte infinito e pallido del cielo.
A casa, si stagliava su di noi l'ombra minacciosa dei nostri genitori. Mio padre stava pensando di concorrere per la poltrona di sindaco. Ma era soprattutto Kyle quello che doveva stare in guardia. La candidatura presidenziale del padre esponeva ogni aspetto della famiglia Calloway, anche il più insignificante, all'attenzione dei

media. Kyle e io dovevamo evitare di essere colti in posizioni compromettenti, o a fare o dire cose che potessero gettare un'ombra sul signor Calloway.
Sul lago, in quell'angolo remoto, non eravamo sottoposti ad alcuna pressione. C'eravamo soltanto noi.
Domenica il tempo peggiorò, così trascorremmo la giornata in casa a guardare dei film. Andammo a cena nell'unico ristorante carino della zona, distante un'ora di automobile, un locale italiano abbastanza pretenzioso dove i Calloway erano conosciuti. Salutarono Kyle e ci assegnarono subito un tavolo, nonostante i turisti in attesa.
Cenammo conversando piacevolmente, ma consapevoli che non potevamo più rimandare. Dovevo sbrigarmi ad accettare la proposta di Syracuse, o chiedere ai nostri genitori di usare le loro conoscenze per farmi entrare a Stanford con Kyle. Non c'era più molto tempo. Avevamo tergiversato troppo, con grande dispiacere delle rispettive famiglie, e ora non potevamo più rimandare. Era agosto e l'anno accademico era alle porte.
Tentai svariate volte di sollevare l'argomento, ma Kyle sembrava sempre prevenirmi, come se intuisse cosa stavo per dire. Rientrammo immersi in un silenzio carico di tensione. Kyle guidava tenendo la mano nella tasca dei suoi cargo e mi lanciava occhiate furtive, intense, con un'espressione impenetrabile sul volto. Ci fermammo davanti al cottage e restammo in auto, fissando le prime grosse gocce di pioggia che cadevano sul parabrezza e ascoltando il vento che ululava. I pini enormi che circondavano la casa si curvavano e oscillavano, preannunciando un brutto temporale. Ebbi un tuffo al cuore, quando vidi un albero piegarsi quasi a metà, percosso dalle raffiche, e per un istante ebbi paura che potesse spezzarsi e cadere. A giudicare dalla direzione in cui soffiava il vento, si sarebbe abbattuto sul cottage e sulla nostra auto.
Kyle aveva il viso imperlato di sudore, nonostante l'aria fresca. Stringeva il volante, accarezzando la pelle del rivestimento, un gesto che faceva soltanto quando era nervoso o sconvolto. Aspettai, perché sapevo che avrebbe parlato, non appena si fosse sentito pronto.

Mi guardò, fece un bel respiro e tolse la mano dalla tasca dei pantaloni. Finalmente compresi, e mi mancò il fiato. Oddio. Stava per farmi una dichiarazione. No, no. Non ero pronta.
Aprì la mano e, come avevo previsto, vidi una scatolina nera. Sopra, a lettere dorate, c'era scritto Kay Gioielli. Mi morsi il labbro e tentai di stare calma.
«Kyle? Io...»
«Nell, io ti amo.» Aprì la confezione con mano tremante. All'interno c'era un anello con uno minuscolo brillantino, semplice e bellissimo. E terrificante. «Non voglio trascorrere un solo attimo della mia vita senza di te. Non mi interessano il college, il football e il resto. Ci sei soltanto tu. E il nostro futuro. Insieme.»
Prese l'anello e me lo porse, tenendolo tra pollice e indice. La pioggia picchiava sul parabrezza e il vento ululava come un demone scatenato, soffiando così forte che l'auto dondolava. Perché adesso? mi chiesi. Perché ora? In un'auto, nel mezzo di un temporale? Perché non al ristorante? O al falò in riva al lago, dove avevamo così tanti ricordi? Avevo il cuore in gola e le lacrime agli occhi, la vista offuscata, confusa.
«Nell, mi vuoi sposare?» mi chiese Kyle con voce rotta dall'emozione.
«Oddio, Kyle», esclamai, alla ricerca delle parole giuste. «Ti amo, davvero. Ma... così presto? Io non... non lo so. Insomma, abbiamo solo diciotto anni. Ti amo e verrò con te a Stanford. Papà può farmi entrare anche all'ultimo...» Lo osservai sconsolata poi strinsi forte gli occhi, di fronte all'espressione ferita di Kyle.
«Un attimo...» Mormorò confuso, guardando l'anello. «Mi stai dicendo di no?»
«È troppo presto, Kyle. Non è che non ti amo, però...» Poi fui travolta da mille dubbi.
Non avevo mai frequentato nessuno, a parte lui. Non che ne sentissi l'esigenza. Ma ero talmente giovane. Non mi ero mai allontanata dai miei genitori per più di una settimana. Non avevo mai vissuto lontano da casa. Questa era la prima volta che andavo da qualche parte senza di loro. Volevo vivere la mia vita. Volevo crescere. Non ero pronta per il matrimonio. Ma non riuscivo a

parlare. Mi limitavo a scuotere la testa, mentre le lacrime cadevano, sempre più fitte. Aprii la portiera e scesi, ignorando le grida di Kyle. Dopo poco ero bagnata fradicia, ma non mi importava.
Kyle mi stava inseguendo. Non stavo scappando da lui, ma da quella situazione. Mi bloccai, mentre i tacchi alti affondavano nella ghiaia bagnata.
«Non capisco, Nell.» La sua voce era tesa, emozionata, ma non riuscivo a capire se quelle sul suo viso fossero lacrime, o soltanto pioggia. «Credevo... credevo che fosse scontato.»
«Lo è, ma non ancora.» Mi asciugai la faccia e feci un passo verso di lui. «Ti amo. Ti amo con tutto il cuore. Ma non sono pronta per un fidanzamento ufficiale. Non siamo pronti. Siamo solo due ragazzini. Ci siamo appena diplomati.»
«Lo so che siamo giovani, però io voglio te. Voglio solo te. Potremmo andare a vivere in un appartamento per studenti sposati e... stare insieme. Ogni giorno, insieme.»
«Possiamo farlo comunque. Possiamo prendere un appartamento. Magari non subito, ma presto.» Mi voltai, frustrata perché non riuscivo a esprimere ciò che sentivo. «Kyle, è troppo presto. Non capisci? Nemmeno io voglio stare lontana da te. Ti seguirò a Stanford. Ovunque tu vorrai. Ti sposerò, ma non adesso. Prendiamoci qualche anno. Vediamo come va con il college e il lavoro. Cresciamo un po'.»
Poi fu Kyle, a voltarsi. Si passò una mano sui capelli bagnati, diffondendo nell'aria una nube di goccioline. «Mi sembra di sentire i nostri genitori. Sembri tuo padre. Con lui ho già parlato, per tua informazione. È per questo che ci hanno permesso di venire al cottage. Mi ha detto che non era sicuro che fossimo pronti e pensava che avessimo bisogno di un po' di tempo per maturare, ma visto che sei legalmente adulta, non avrebbe sollevato obiezioni, nel caso in cui tu avessi accettato.»
Aveva smesso di piovere, ma il vento soffiava più forte che mai. Gli alberi ondeggiavano come steli d'erba. Nonostante il frusciare del vento, udivo i tronchi gemere e scricchiolare. Un lampo squarciò il cielo notturno, poi un altro. Echeggiò il boato di un tuono, così forte

che lo sentii nello stomaco, poi le gocce ricominciarono a cadere, gelide e pungenti.
«Ti amo, Kyle.» Avanzai di un passo verso di lui. «Per favore, non essere arrabbiato. È solo che...»
«Credevo... credevo che lo volessi anche tu.»
«Entriamo in casa, per favore. Parliamone con calma. Qui è pericoloso.» Allungai una mano, ma lui si ritrasse.
Il cielo fu di nuovo solcato da un lampo, questa volta più vicino, talmente vicino che mi si rizzarono i capelli e intorno si diffuse il crepitio dell'energia elettrica e l'odore pungente dell'ozono. Gli alberi si piegarono, mentre le raffiche di vento erano così intense da far dondolare l'auto e spostarmi di lato.
Superai Kyle sconsolata, dirigendomi al cottage. «Io vado dentro. Tu puoi restare fuori e rischiare la pelle, se vuoi.»
Poi nell'aria esplose un boato assordante. Non era un tuono. Era più simile al rumore di un cannone, come uno schianto, un fuoco d'artificio scoppiato a distanza ravvicinata. La paura mi investì, stringendomi le viscere in una morsa. Mi paralizzai sul primo gradino della veranda, alzai lo sguardo, e vidi la morte venirmi incontro.
L'albero si era spezzato. Il pino gigantesco stava crollando verso di me, al rallentatore. Udii il tetto cedere sotto il suo peso, i rivestimenti sbriciolarsi, i mattoni disintegrarsi. Non riuscivo a muovermi. Vedevo soltanto il tronco, fradicio e nerissimo che si stagliava contro il cielo, i suoi aghi verdi che oscillavano scomposti.
Kyle gridò qualcosa alle mie spalle, ma le sue parole furono portate via dal vento, dal terrore cieco che si era impadronito di me. Ero pietrificata. Dovevo fuggire, ma le gambe non volevano saperne. C'era soltanto l'albero, e non potevo fare a meno di osservarlo immobile. Non riuscivo nemmeno a gridare.
Poi qualcosa di duro mi colpì sulla schiena, scaraventandomi di lato. L'albero cadde al suolo con uno schianto assordante. Finii a terra e l'impatto mi tolse il respiro, facendomi esplodere le orecchie, mentre annaspavo alla ricerca di un po' di ossigeno. Ero riversa su un fianco, con un braccio piegato in posizione innaturale sotto di me. Poi un'ondata di dolore mi travolse e una fitta bruciante mi attraversò il braccio. È rotto, pensai. Mi girai a fatica a pancia in su, lanciando

un grido mentre quel movimento maldestro scatenava un'altra fitta lancinante. Guardai il braccio e vidi il sangue, rosso e viscido, mescolarsi alla pioggia e al fango. Qualcosa di bianco e aguzzo sporgeva dal gomito. Fui costretta a girarmi di nuovo per vomitare.
Poi ebbi una folgorazione.
Kyle.
Mi voltai a fatica, mettendomi in ginocchio, il braccio premuto
contro lo stomaco. Gridai più forte del vento e dei tuoni. In mezzo alla radura c'era l'albero, simile a un gigante caduto. Il cottage era parzialmente distrutto, il lato destro nascosto dal tronco. Anche la Camaro di Kyle aveva i vetri in frantumi, tetto, cofano e abitacolo schiacciati. I rami erano spuntoni e schegge che si conficcavano nel terreno, una cortina di aghi verdi oscurava il terreno e il cielo e il mondo.
Notai una scarpa abbandonata sul terreno. Nera, elegante. Era di Kyle, letteralmente strappata via dal suo piede. Quell'immagine – la suola nera, il cuoio fradicio di pioggia, una macchia di fango sulla punta – sarebbe rimasta impressa per sempre nella mia mente.

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