Stella

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Sono passati quattro mesi da quel giorno, ma ancora oggi ricordo benissimo la chiamata in piena notte da parte di mia mamma mentre mi urlava disperata che Alvise aveva avuto un incidente in auto. È stato il momento peggiore della mia vita.

Non l'avevo mai sentita così, nemmeno quando è morto papà. Dicono che la perdita di un figlio sia peggio della morte di un marito. Beh, credo che per mia mamma sia stato effettivamente così.

Quando arrivai all'ospedale ad accogliermi c'era lei con il camice sporco di sangue, sangue che scoprii solo in seguito che era sia di mio fratello sia di Luca, il suo migliore amico.

Quella notte era di turno in pronto soccorso e quando ha visto arrivare le ambulanze con i due ragazzi all'interno, ha completamente perso la testa.

Ho dovuto essere forte, cosa che non mi sentivo affatto, ma non potevo permettermi di crollare a mia volta.

Quando ha visto stesi sulla barella suo figlio e il suo più grande amico, ha iniziato a dare di matto per poi esplodere quando si è accorta che uno solo dei due ragazzi era in fin di vita mentre per l'altro, purtroppo, non c'era più niente da fare.

Ha voluto a tutti i costi chiamare lei i genitori di Luca. Continuava a ripetere che non poteva lasciare che fosse un estraneo a dargli quella notizia.

Luca e mio fratello erano praticamente cresciuti assieme e per tutti noi erano i gemelli siamesi. L'unica cosa che li distingueva era lo sport, per Luca il calcio, per Alvise il pattinaggio. Ma a parte questo si completavano in tutto e per tutto a vicenda. Uno ero lo Yin e l'altro lo Yang.

Passai tutto il primo mese in ospedale con mia mamma. Ci alternavamo per stare accanto ad Alvise, cercavamo di stare con lui il più possibile dato che le uniche altre persone che passarono a trovarlo furono i genitori del suo amico una volta assorbito il colpo e dopo aver capito le dinamiche dell'incidente.

Per tutto il tempo che abbiamo dovuto aspettare che uscisse dal coma farmacologico, per tutto il tempo in cui sono rimasta seduta su quella sedia scomoda accanto al suo letto, sono rimasta con il terrore e il brutto presentimento che qualcosa nell'operazione avesse danneggiato il suo cervello.

Una volta che tutti i valori erano rientrati nella norma e solo dopo essersi accertati che la ferita dovuta all'operazione si fosse rimarginata, lo svegliarono.

E Alvise era tornato ad essere il mio fratello di sempre.

Ammaccato, distrutto, ma sempre lui.

Il secondo momento più brutto di questo periodo arrivò quando, una volta svegliato e capito dove si trovava, i suoi occhi si trasformarono in tempesta intuendo la notizia che lo attendeva.

Da allora ha innalzato un muro creato di silenzi e sofferenza, che nessuno finora è riuscito ad abbattere. Per quanto ci sforzassimo a tappare i buchi lasciati da Luca, niente era più come prima. Tutto il suo mondo, che ruotava attorno al suo amico, era andato distrutto.

Ed è come se in quell'incidente fosse morto anche lui, come se la sua essenza, la sua anima, fossero rimaste intrappolate tra quelle lamiere accartocciate e a noi fosse stato restituito solo il suo involucro vuoto.

A volte mi chiedo se tra lui e Luca ci fosse stato qualcosa di più di una semplice amicizia, se magari tra i due non fosse nato anche l'amore, ma quando lo osservo ora mentre è assorto nei suoi pensieri, dal suo sguardo non traspare nulla a parte apatia. È come se non provasse nessuna rabbia, nessun dolore e nemmeno amarezza, niente di niente.

E tutto questo mi porta ad avere paura. Paura che non provando nessun tipo di emozione, nella sua testa frulli l'idea di raggiungere il suo amico non appena noi abbassiamo la guardia su di lui.

Ho provato a parlarne a mia madre, ma lei si ostina a dire che è normale, che è in lutto e che dobbiamo solo aspettare che passi questo brutto periodo, di avere pazienza e di stargli accanto.

Io non sono propriamente d'accordo, ma non saprei cos'altro fare.

È da quando è tornato a casa che se ne rimane a letto, esce a malapena dalla sua stanza per mangiare il minimo indispensabile per stare in piedi e per andare al bagno.

Solo pochi mesi fa invece dovevo entrare in camera sua per abbassare il volume della musica infernale che ascoltava, ora invece nella sua camera non vola una mosca e il silenzio ormai regna sovrano.

Ha lasciato il pattinaggio e chiuso qualsiasi contatto con l'esterno.

Non guarda la televisione e non usa nemmeno internet.

Non parla più neppure con me e a volte ho paura che la sua voce svanisca e non torni più.

Sono passati quattro mesi e io non so ancora come poterlo aiutare. Sento di essere una sorella inutile perché non so come parlargli e ho paura a dirgli qualsiasi cosa perché non vorrei mai che le mie parole lo ricollegassero a Luca in qualche modo.

Mia madre continua a dirmi di lasciarlo in pace, di lasciargli i suoi spazi, ma io non ce la faccio. Perché, se non so nemmeno io come affrontare questa situazione, come può sapere cosa fare lui?

Lei invece ha deciso di seguire alla lettera i suoi stessi consigli e per non vederlo così, per non vedere suo figlio soffrire, ha pensato di raddoppiare i turni in reparto, così il tempo che ora passa a casa è diminuito a dismisura.

Non so se questo faccia bene ad Alvise.

Ma d'altronde io cosa ne so di come si supera un lutto?

Ho paura.

Ho paura di perderlo e non so cosa fare.

L'incrocio dei nostri passiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora