Alvise

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Il cuore mi batte forte.

È passata una settimana da quando sono stato al Limbo. Un'intera settimana a pensare alle sue carezze, ai brividi che hanno attraversato il mio corpo, sera dopo sera disteso nel mio letto a pensarlo. A immaginarlo sotto le coperte con il ragazzo che ho visto con lui la volta prima, perché mi sembra ovvio che al momento quel ragazzo gli dia quello che non riceve da me. E come potrebbe riceverlo se io sono ancora fermo a decidere sul da farsi? Come dargli torto? E questa cosa mi manderà via di testa ancora di più. Maledetta gelosia.

Indosso un paio di jeans che ho trovato sepolti da un mucchio di vestiti che mi stanno un po' larghi senza badarci più di tanto. Una felpa nera semplice, scarpe, giacca ed esco facendo un saluto frettoloso a mia mamma quando sono già sulla porta per non farmi fermare, dato che di sicuro nutrirà qualche dubbio nel vedermi uscire di pomeriggio e per di più senza pattini. Non che se mi vedesse con i pattini non gli verrebbero in mente pensieri strani, ma almeno avrei una scusa per uscire.

Decido di lasciare a casa la bici preferendo camminare per respirare un po' di aria fresca, nella speranza che mi aiuti a schiarirmi le idee. Non so nemmeno io cosa sto andando a fare in libreria, potrei inventarmi la scusa di dover comprare un libro, ma lo capirebbero anche i muri che come pretesto sarebbe proprio pessimo.

La verità è che ho solo voglia di vederlo, anche se solo per due minuti.

Non mi basta più pensarlo, ho bisogno di respirarlo, di viverlo.

E senza neanche rendermene conto sono già davanti la vetrina del negozio.

Salgo i due scalini e apro la porta senza ripensarci. Il campanello in bambù annuncia la mia entrata e un calore che proviene dall'interno, misto al profumo di libri freschi di stampa, mi avvolge subito facendomi sentire coccolato.

Faccio qualche passo, poi mi fermo. Come se improvvisamente avessi paura d'andare avanti.

"Salve".

Mi giro di scatto preso alla sprovvista. Non mi ero nemmeno accorto che subito dopo l'entrata c'era il bancone con dietro un signore dall'aria simpatica.

"Buonasera". Saluto educatamente, supponendo sia il proprietario. E ora?

"Cercavi qualcosa? Qualcuno?".

Sul suo viso appare un sorriso sornione, come se conoscesse già la risposta che gli darò.

"Qualcuno forse?". Butto lì incerto.

"Sei un collega di Sebastiano?".

Nella mia testa, mentre i piedi percorrevano la strada, avevo provato a immaginare qualsiasi scenario che mi si potesse presentare davanti. Ma di certo quello che in realtà sto vivendo ora non ha niente a che vedere con quello che avevo pensato, perché questo signore è a conoscenza che Sebastiano ha un secondo lavoro e molto probabilmente sa anche di cosa si tratta dall'espressione che ha dipinta in volto.

"No signore. Non sono un collega, sono... un amico?". Rispondo incerto.

"Caro ragazzo, lo chiedi a me se sei suo amico?".

Porca miseria. Il suo sguardo indagatore mi mette in soggezione e mi porta a comportarmi come uno stupido. Posso dichiararmi suo amico? Beh, penso proprio di sì, cavolo.

"Come ti chiami?".

"Alvise, signore".

Lo vedo illuminarsi nell'udire il mio nome e noto il suo viso accendersi come se davanti ai suoi occhi ci fosse l'albero di natale di Rockefeller Center e non un ragazzo che in questo momento potrebbe benissimo passare per uno straccione dato gli abiti fuori misura che indossa.

L'incrocio dei nostri passiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora