Chapter VIII : "La storia di Sofì"

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"Vuoi dirmi che succede?" Lauren le accarezzava i capelli. Camila sembrava così piccola tra le sue braccia e piagnucolava così forte sul suo maglione che la ragazza dagli occhi verdi non aveva il coraggio di allontanarla. "Camila..." la sua mano si era appoggiata alla nuca della ragazza, mentre con l'altra la stringeva. Dopo di che, chiuse da sola la porta alla sua spalla e la strinse più forte aspettando che quella crisi di pianto terminasse.

"Se n'è andata" disse Camila quando si allontanò. Respirava più o meno in modo regolare e il suo viso era meno dolente e più impassibile perché non sentiva più le parole e i passi di Sofì.

"Chi?" Lauren si spaventò.
Chi era morto? Il padre? La madre? Eppure anche se le sue supposizioni non centravano con la figura immaginaria della bambina che aveva visto Camila, era vicina alla chiave della storia.

"Sofì, mia sorella. A volte ho allucinazioni" aveva il volto più calmo, così lei stessa fece cenno di accompagnarla verso il bagno, dove Camila sciacquò il viso.

"Mi dispiace. Vuoi che chiami Allyson? Sicuramente riesce a gestire meglio il tuo stato"

"No, voglio te"

Camila non fece caso al peso e all'importanza delle sue parole perché lei non aveva controllo su di sè: se voleva dire una cosa, la diceva, e nella maggior parte delle volte non ci faceva caso.

Lauren la fissò a bocca semiaperta dal riflesso dello specchio, mentre Camila continuava a risciacquare per bene il viso. Poi sospirò, perché per quanto cercasse di accontonare il suo dolore, la sua mente ancora ritornava a ricordarle la delusione per il bacio dato dalla più piccola.

"Laur" sapeva benissimo il perché dell'assenza di quel verde nei suoi occhi solitamente chiaro e brillante. "Era solo un modo per mandarti via da me ma non mi sono voluta approfittare di te" asciugò le mani con asciugamano e si dedicò a lei. "Io mi fido di te, okay? Ho chiamato te perché... non lo so. Se avessi dovuto pensare a chi affidare il mio dolore per il resto della mia vita, la prima persona che mi sarebbe venuta in mente, saresti stata tu. Non mia madre, Allyson o mio padre, ma tu. E sembra egoistico ma... è la verità" le sue mani aveva preso delicatamente le sue, e le aveva accarezzato in un modo così piacevole che per entrambe fu inutile ignorare quella bella sensazione allo stomaco.

"Tranquilla, Camila. Mi vuoi parlare di tua sorella? Magari ti senti meglio" non voleva proprio soffermarsi sull'effetto che stava iniziando a farle Camila.

La castana chiuse gli occhi, incerta su cosa dire e fare, ma poi respirò profondamente e riaprì le palpebre con un sorriso a fior di labbra.

"Certo"

Andarono in camera e si accomodarono sul letto prima che Camila si prendesse qualche minuto per raccontare.

"Io avevo sette anni, lei cinque. Frequentemente mia madre era a lavoro e lo stesso papà, quindi io badavo a mia sorella perché per la mia età ero anche fin troppo responsabile, quindi i miei si fidavano" l'ultima parola fu accentuata dal suo sottotono per la nostalgia. "Però, in quel periodo, si stavano creando problemi nell'azienda di mio padre: c'era qualcuno che rubava i soldi e poi lasciava in ufficio dei bigliettini di minaccia, ma nonostante i numerosi investigatori, non si era saputa ancora l'identità della persona. Eppure, nessuno avrebbe mai immaginato che la situazione potesse degenerare fino a quel punto" giocò con le mani di Lauren. Erano così morbide che avrebbe voluto tenerle per sè tutto il giorno. Era sciocco?. "Quel giorno, io e Sofì eravamo a casa sole. Lei era rimasta in corridoio per raccogliore i suoi giocattoli che le avevo chiesto di mettere dentro la cesta della nostra camera, mentre io l'aspettavo nell'atrio giocherellando con il mio telefono. Poi, visti una figura salire piano le scale e sapevo benissimo che non fosse nè mamma nè papà perché era robusta e teneva qualcosa di affilato in mano. Fissava Sofì, e quando la sua figura fu più chiara lo riconobbi: era James, uno degli amici più stretti di mio padre. La prima cosa che feci fu nascondermi in camera sperando che lui non mi avesse vista. Mi nascosi dentro l'armadio, nel mentre le mie mani tremavano, quindi non riuscivo a digitare nemmeno il numero di mamma sul cellulare, ed ero troppo presa dal panico per ricordarmi che lo avevo registrato"

Durante il discorso fu inevitabile far scorrere qualche lacrima sul viso.

"Sofì urlò e io avevo già capito, e non puoi immaginare quanto mi stesse mancando l'aria per le lacrime e l'ossigeno insufficiente dentro quel posto. Lui era entrato in camera, ma sicuramente, non avendomi trovata, se ne andò e corse via"

"Camila mi dispia-" voleva far capire che il dolore lo aveva condiviso con lei, anche abbastanza, perché sentiva pure l'angoscia fino alla gola.

"La cosa più brutta sai qual è? Che io la sentì urlare il mio nome e quando andai da lei... lei aveva ancora aveva gli occhi aperti, ma io non riuscì a muovere un singolo muscolo mentre gli allarmi della casa suonavano con largo ritardo perché sicuramente James aveva manipolato tutto per bene. Sofì mi chiedeva aiuto e soffocava le parole tra un singhiozzo e l'altro ma io non riuscivo a fare nulla perché ero concentrata sull'emorragia allo stomaco" il suo tono si era abbassato, come se ciò potesse servire a giustificare il suo comportamento. "Avrei dovuto perdere il controllo, fare come la pazza, chiamare l'ambulanza, chiamare mia madre, uccidere James, piangere, correre verso la casa più vicina e urlare aiuto..." i suoi occhi erano pieni di lacrime e il suo tono si era notevolmente alzato per le numerevoli possibilità che aveva quel giorno per poter tenere sua sorella in vita. "Da quel giorno chiedo scusa dieci volte prima di andare a dormire, vedo Sofì in camera, i miei nonni non mi fanno gli auguri e non vengono più, e i miei genitori sono acidi. Quando ho litigato con mia madre prima di chiamare Ally, era perché l'avevo abbracciata e lei mi aveva dato uno schiaffo"

Lauren non riuscì a dire niente, nemmeno una parola, ma poi si prese di forza per lei.

"Non è colpa tua" quella frase fece scoppiare in una mare di lacrime Camila.

Lo diceva Lauren, quindi Camila avrebbe dovuto crederle, ma non ci riusciva.

"No, no, Camila non è colpa tua" raccolse le sue lacrime con i pollici, tenedole il viso. "Tu eri una bambina, cosa potevi saperne? Loro erano gli adulti e dovevano stare con voi" si era completamente dedicata a lei. Le stava dedicando il cuore, l'anima, l'attenzione e le sue parole. "Tu sei innocente"

Lo disse in una maniera così calma che Camila si sentiva come un carcerato che dopo aver dimostrato la sua innocenza in tribunale, era fuori, libero, nuovo, vivo.

Ho perso il controllo ➳ CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora