14.

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«Come as you are, as you were

as want you to be

as a friend, as a friend

as a know enemy.

Take your time, hurry up

The choice is yours, don't be late

Take a rest as a friend

as an old

Memory...»

La melodia di turno attacca il suo concertino assordante ad una distanza fatale al mio timpano, tuttavia gli incubi mi hanno tirato giù dal letto mezz'ora prima del dovuto.

Delle parole rimbombanti, seguite dal suono di ossa che subiscono terribile violenze, il sapore amaro del sangue, un fendente di ferro in mezzo alla tortura. Alcun grido, alcuna frase dolente, sono fuoriusciti dalle labbra rosseggianti, a me appartenenti, che rammentano al mio corpo il disperato attacco di un giorno andato; ho tenuto tutto dentro, un'esclusiva per la mia mente offuscata da incredibili sensazioni tattili, ancora vivide al ricordo.

Appoggio i piedi sul pavimento gelido e sgrano gli occhi su un punto preciso della stanza: il letto della mia amica, sul quale le coperte si alzano ed abbassano con straordinaria pace, all'unisono con i suoi polmoni. Inspiro profondamente e mi alzo senza fare alcun rumore, o perlomeno quello è il mio intento nei confronti della ragazza che giace a pochi passi di distanza. La destinazione è chiara e d'obbligo, data la settimana di incidenti e catastrofi.

Le mani si collocano ai lati del lavandino e il mio sguardo si pone sullo specchio: i capelli in un disordine spaziale, occhiaie violacee si sottomettono ad una visione gonfia degli occhi, che stanno prendendo un colorito sanguigno, una mutazione che sta colpendo anche la tonalità già tenue della pelle oramai sbiancata.

Dopo aver tirato l'acqua calda per un lasso di tempo necessario, sottopongo a quel calore il mio corpo, augurandomi che sia una soluzione efficace per nascondere agli altri ogni turbamento. È un'aspettativa fin troppo elevata, dal momento che niente distoglierà l'attenzione di alcune persone dalla sottoscritta, inoltre l'unica cosa migliorabile è l'aspetto oleoso dei capelli; li asciugo in fretta, mentre rivolgo qualche altra occhiata all'oggetto riflettente, comprendendo la gravità della mia condizione: questa volta devo utilizzare il metodo supremo, temuto dalla mia personalità. Afferro il correttore dalla mensola: il tubetto è integro, nessuna traccia di effrazione precedente; con la poca maestria di cui il cielo mi ha dotata, copro, con più cura possibile, le parti visibili e maggiormente valutabili. Non ho mai utilizzato gran che questi "trucchi di mestiere", tuttavia mi rendo conto che sarebbe il caso di farne buon uso in un futuro poco promettente.

Non hanno del tutto l'effetto desiderato: la mia brutta faccia persiste nella sua inquietante espressività che mi accompagnerà per l'intero dì, eppure capisco di non poter agire diversamente. Ciò che mi ha profondamente segnato in codesto luogo, non può impedirmi di uscire e vivere. Ho già rinunciato a troppe soddisfazioni per lasciare che anche questa mi sorpassi: non ne uscirò incolume, di questo ne ho una divina certezza, però sono stata risparmiata da una crudele sorte e non sprecherò l'occasione per piangermi addosso, riflettendo su qualcosa che effettivamente non mi ha toccato.

Propongo a me stessa una gonna in jeans, una maglietta dei Led Zeppelin a maniche corte, accompagnata da una seconda sottostante con le maniche a rete, e le calze leggere e trasparenti, per affrontare le prossime ore con il medesimo atteggiamento combattivo; anche l'imponente libro di recitazione è al suo posto per partecipare prontamente alla guerra imminente. Con le solite calzature un po' logore sulla punta, esco dal nostro piccolo nascondiglio e mi incammino lentamente per il corridoio coperto da un tappeto vellutato rosso porpora. Il sole mattutino invade l'edificio con una fioca luce che si impadronisce degli spazi interni, attraverso le finestre già dischiuse a questo scopo.

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