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«Never opened myself this way
Life is ours, we live it our way
All these words, I don't just say
And nothing else matters»

Un viottolo oscuro e lugubre, un'arcata monumentale a sesto acuto a fronteggiare la scena, i mattoni incrociati della quale volgono verso l'alba, in attesa di manifestarsi: questo è il panorama che ci sfoggia dinnanzi.

La ghiaia si scosta al passaggio dell'auto, provocando un rumore scricchiolante, tuttavia ben accolto dalle mie orecchie: un suono provocante, desideroso di rammentare quanto peso opprima gli sfortunati sassolini capitati sotto le gomme del mezzo, oramai sprovvisto di benzina.

Nulla si muove al cospetto della facciata esterna: esiste solo l'alta composizione di mattoni, neri come le tenebre logorate dal tempo e l'arco della chiesa, il quale cade in entrambi i lati sull'estremità di due colonne ioniche, dal fusto scanalato ed una superficie marmorea levigata sul solco centrale.

Una chiesa abbandonata è il misterioso sito, che risveglia le memorie del ragazzo che ho accanto.

Appare dell'analoga bellezza e armonia di una chiesa rinascimentale, quelle che spesso mi capitava di osservare in Italia per la loro sintonia architettonica, nonostante non sia plausibile attribuirla a quel periodo.

Sul terreno che circonda la scalinata principale, composta da a malapena tre gradoni, qualche filo d'erba verdognolo spicca nel panorama grigio e fosco dell'ambiente sacro, come se qualcuno, dall'alto di quel cielo stellato, volesse mostrare la realtà di un Universo che, in verità, non conosciamo.

Lo spettacolo soprannaturale consiste nell'equilibrato gioco di colori, un'equivalenza che bilancia l'oscurità della notte con lo splendere di una nascita, l'origine di qualcosa di inspiegabile.

I suoi occhi brillano, dinnanzi a questo luogo, al di sotto di un ammasso di astri: pare attratto da una forza impalpabile, sconvolto dalla figura di un Natale passato. Il suo corpo non reagisce immediatamente nella medesima maniera, difatti osservo le sue membra paralizzate ai fianchi, con l'atteggiamento di qualcuno in attesa di essere carbonizzato vivo.

Mi accosto a lui, desiderando soltanto stringere una sua mano tra le mie: ha bisogno di conforto, necessita di quell'affetto che lui stesso nega di poter condividere. Non mi è mai parso tanto insicuro, tanto indifeso quanto l'orfano che non è mai stato: se non me lo avesse già specificato, sarei tentata di credere che i suoi genitori abbiano fatto una fine similmente tragica a quella dei miei.

Qual è il suo segreto?

Cosa nasconde di così pericoloso o spaventoso?

Sino ad ora, ero abbastanza certa che "il bello e dannato" delle favole fosse un'enorme menzogna, messa in piedi dagli stessi ragazzi, forse atleti pieni di sé, convinti che il mondo sia il loro trono regale.

Il suo sguardo si solleva su di me in una smorfia malinconica, la quale si trasforma in un sorriso smorzato, comunque idealmente splendido, che fa crollare ogni mia certezza: non è pronto ad attraversare il viale dei ricordi, nemmeno per sporgersi nell'abisso e calarsi dirimpetto a coloro che lo rappresentano.

Non posso fare a meno di comprenderne le cause, le ragioni inesorabili di questa tortura infernale.

-Credi nell'Inferno?- la domanda fuoriesce languida dalle mie labbra, temendo, perciò, di spaventarlo, a causa delle stranezze che frullano nella mia mente confusa.

-La dannazione eterna?- la sua bocca rallenta per qualche secondo, in corrispondenza dell'ingresso. -Mi stupisci ogni giorno di più-

La sua mole avanza sotto la chiave di volta, tirandosi dietro la mia mano, il mio braccio e tutta la mia immagine; il suo gesto è docile, la stretta debole suggerisce il suo stato d'animo altrettanto sconfortato: la sua maschera è caduta, o meglio sta per essere calata dalle sue stesse dita.

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