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«Ooh, you make me live
Whenever this world is cruel to me
I got you to help me forgive
Ooh, you make me live now honey
Ooh, you make me live»

Alle sette, quando la Terra è intenta a compiere il suo moto sostanziale attorno al centro della nostra galassia ed il Sole proietta la sua luce perpendicolarmente, siamo riuniti nella mensa per un pasto più sostanziale del consueto biscotto passeggero.

Kat, Adrian, Jason e Cameron sono disposti con noi su metà della tavolata: l'ultimo dei nominati è immerso in un'intensa lettura di un tomo della biblioteca che tratta delle fisica quantistica, un argomento affascinante, ma alquanto soporifero durante un banchetto. Gli altri tre, invece, animano una conversazione esaltata sull'idea, poco condivisa, che le ragazze potrebbero fare il primo passo in una relazione, dato che il Medioevo è terminato da un pezzo.

Hayley si schiera sotto la bandiera di Katherine e Jason, ritenendolo un gesto avventato per una ragazza, un pensiero piuttosto tradizionalista, nonostante ritenga da anni che il romanticismo del secolo scorso sia defunto. Contrariamente, io sostengo le ipotesi di Adrian: non siamo dame in pericolo che hanno bisogno del conforto di un cavaliere, possiamo essere delle guerriere e, nella stessa maniera, possiamo anche avere la spregiudicatezza di cominciare un dialogo a doppio fine.

A nessuno, all'interno del salone rettangolare, importa di noi: siamo finalmente divenuti invisibili alle critiche ed alle confessioni rubate, a scopo di farne un articolo per il giornale scolastico. C'è confusione nell'ambiente riscaldato dai termosifoni, troppo trambusto perché sia una giornata comune alle altre, tuttavia non sono certa di voler conoscere il motivo di questo disordine.

Assaggio un pezzetto di crostata ai lamponi, una gioia per il palato, mentre la mia mente è concentrata sul frizzante dialogo in atto a meno di un metro di distanza.

Dalla parte opposta della tavolata rispetto alla sottoscritta, non c'è nessuno, eppure qualcuno pensa in fretta di risolvere la questione dello spazio vuoto: dopo mesi da persona taciturna, Ryan diviene un estroverso di natura, buttandosi a capofitto sulla minuscola sedia.

Fa ruotare lo schienale anteriormente e si accomoda a gambe larghe con le braccia incrociate sulla spalliera in pura plastica; rimane immobile nella sua posizione da disubbidiente, fissandomi con una specie di muta sfida negli occhi. Si augura che la mia rabbia si scateni integralmente contro di lui, mettendo a soqquadro il caos che aleggia nell'aria; invece, attingendo alla fonte mansueta del mio animo, appoggio i gomiti sul tavolo, prendendo in analisi i suoi lineamenti.

Appare deluso dal mio comportamento, ma ciò che più lo scuote è l'accorgersi solo ora, da parte dei suoi migliori amici, della sua presenza comparsa all'improvviso: non ne capisco la ragione, dal momento che è una celebrità in questo luogo e, quando si mostra in pubblico, gli altri non possono far altrimenti che infliggergli delle pacche sulla schiena.

-Sei tornato tra noi, Casanova- Adrian è il solo che può farsi beffe di lui.

-Non per molto, devo solo parlare con lei- mi indica con un cenno del capo.

Il suo migliore amico si volta verso il gruppo, fremente all'idea di conoscere i dettagli, ed esibisce un'espressione furba.

Ryan, intanto, riporta gli occhi su di me, increspa le labbra in sorriso e continua la sua dichiarazione. -Mi devi ancora un appuntamento-

-Cosa?- scrollo le spalle, negando attraverso una smorfia del viso. -Questa bambina non ti deve proprio niente- dichiaro, appellando alla mia stessa persona e riprendendo in esame il vocabolo da lui espresso non molte ore addietro.

-Lo credi? Dai un'occhiata al tuo polso- eseguo l'azione da lui suggerita e rammento: era la tassa richiesta in cambio della restituzione del bracciale in argento, che ora è stretto sul mio avambraccio.

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