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«It's more than a feeling (more than a feeling)
When I hear that old song they used to play (more than a feeling)
And I begin dreaming (more than a feeling)
'Til I see Marianne walk away»

Il tempo a nostra disposizione sta calando notevolmente, perciò continuo a trangugiare il cornetto in tutta fretta, insieme al cappuccino che rischia di ustionarmi la lingua.

Quando la tazza risulta vuota, raccolgo i miei effetti e sollevo la mia massa dalla postazione scelta, oramai pronta per questo lungo viaggio: il primo autobus, che avremmo potuto prendere, era programmato per le quattro del mattino, un orario inaccettabile che, tuttavia, molti tra i nostri compagni hanno ritenuto valido; il secondo è passato alle cinque e mezza, con qualche minuto di ritardo, mentre il terzo, quello su cui abbiamo l'obbligo di salire, stazionerà alle sette in punto di fronte alla fermata. La nostra fretta è, più che in altro modo, dovuta al fatto che, nel caso perdessimo questo, non ne passerebbero altri per almeno tre giorni.

I miei occhi ricadono, per una successione di secondi, sul medesimo individuo che ha pagato la mia colazione: credevo fosse partito in compagnia dei suoi migliori amici, eppure mi rendo conto di aver commesso un altro errore, poiché si trova a pochi metri da me ed, in attesa di un'altra lite, fissa lo spazio antistante come assorto nei suoi pensieri.

Azzero la distanza che ci separa, percorrendo quei pochi passi fatali che potrebbero indurre al solito circolo vizioso, per poi piantarmi alla sua sinistra, laddove è sparito poco fa uno sgabello.

-Mi sembrava di averti detto di uscire dalla mia vita- sbotto a braccia incrociate, spostando appena un piede in avanti e battendo un certo ritmo con la suola.

Lui, con una lentezza formidabile, si volta a metà, appoggia un gomito sul bancone e la mascella contratta sulla mano stretta a pugno. -Sì, lo hai fatto, ma, come vedi, ho deciso ancora una volta di non ascoltarti-

-E vorrei tanto sapere perché- aggrotto la fronte e stringo le labbra, affinché capisca che sia lui a dovermi dare spiegazioni.

-Ho passato una bella serata con te e quei baci hanno risvegliato qualcosa...qualcosa che credevo di aver perso tanto tempo fa- comincia con una delle scuse che, probabilmente, rifila ad ogni ragazza che gli presenta dinnanzi il giorno successivo ad una bella nottata, dal momento in cui si è ritrovata sola nel suo letto.

-Che cosa? La dignità?- lo incalzo, procurandomi un'occhiata trasversa.

-Stavo dicendo: il nostro appuntamento...-

-Non era un appuntamento- lo blocco, prima che possa formulare la frase in modo diverso.

-La smetti di interrompermi? Quello che era, comunque è stato strano, ma piacevole e mi dispiacerebbe lasciarci così prima delle vacanze- quindi vuoi finire quello che hai iniziato? Ormai l'hai presa come una sfida, non è così? Vorrei ribattere.

-Che vorresti che facessi? Che ti baciassi perché hai quasi ammazzato di botte il tipo che mi ha aggredita?- sbotto, invece, muovendo le mani in aria in cenni incomprensibili.

-Vorrei solo poterti dare il mio numero, sai per quelle lezioni di swing che ti avevo promesso- la sua voce rimane bassa, contrapponendosi alla grinta che sto assumendo in questa circostanza.

-Stai scherzando?- quasi spero che sia così.

-Ti sembro uno che possa scherzare?- no, a quanto pare preferisce prendersi gioco di me.

D'accordo, vorrà dire che giocherò anche io per l'ennesima volta.

Stendo il palmo della mano verso l'alto nella sua direzione e lui sembra comprendere al volo le mie intenzioni, poiché fruga animatamente nelle sue tasche alla ricerca del suo cellulare. Quando capta il materiale che compone quel piccolo oggetto, me lo passa, augurandosi che io non abbia cambiato idea.

Storm SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora