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«Living easy, living free

Season ticket on a one-way ride

Asking nothing, leave me be

Taking everything in my stride

Don't need reason, don't need rhyme

Ain't nothing I would rather do

Going down, party time

My friends are gonna be there too...

I'm on the Highway to Hell,

On the highway to hell,

Highway to hell,

I'm on the Highway to hell»

Apro gli occhi in un sobbalzo: un incubo.

Da quando ho preso le distanze da casa, è diventato ogni giorno più difficile riposare gli occhi, in assenza di brutti sogni.

Hayley, già in piedi, mi fissa con un velo di preoccupazione nello sguardo.

Ho sudato, cosa assolutamente non da me, perciò mi alzo, puntando dritta allo specchio del bagno. Il viso è cereo, al pari di un cadavere seppellito da pochi giorni, e due profonde occhiaie si fanno posto sotto agli occhi, scavando nella pelle oscure fosse: una doccia può sistemare la situazione, mentre circumnavigo la visione notturna.

...la macchina percorreva la stessa strada, quella che tutti i giorni ci portava a casa di John. La radio trasmetteva le solite canzoni del momento, quelle che ascolti per circa sei mesi e poi non interessano più a nessuno. Mio fratello era accanto a me, io avevo nove anni e lui quindici. Mia madre nel sedile del passeggero e mio padre al volante, particolarmente sorridenti dopo una bella giornata passata insieme. E, in seguito, come la scena di un film che si ripete all'infinito, una macchina ci taglia la strada, facendo sbandare l'auto di mio padre che sbatte contro il ferro delle sponde del fiume, che stavamo attraversando. Era un periodo di piogge e anche quella sera aveva piovuto a dirotto facendo crescere a dismisura le acque. Ricordo che i miei hanno cercato di fare di tutto pur di salvarci, pur di slacciare quella maledetta cintura che a volte ti salva la vita, ma che in cambio ne richiede altre. Rammento il brivido, quando mi hanno tolto dalle grinfie della corrente, dandomi la triste notizia che non volli accettare: mamma e papà non ce l'avevano fatta; eravamo rimasti solo io e mio fratello...

I miei famigliari si sono sempre chiesti chi fu il pazzo che uccise i miei genitori, poiché nessuno riuscì ad individuare la targa di quell'auto, tuttavia sono certa che l'uomo al volante non sia stato l'unico assassino: la cintura, quella maledetta cintura che non ci ha lasciato il tempo di trarli in salvo, era il complice nascosto, colui che ha finito il lavoro.

La mia amica mi richiama ben tre volte dalla stanza, allarmandosi per il duraturo silenzio.

-Sì, arrivo!- lancio un urlo dal bagno.

Cerco l'asciugamano più accogliente e me lo avvolgo delicatamente addosso. Non ho controllato nemmeno l'orario, ma credo sia ancora presto, siccome la sveglia non ha ancora dato segni di ritardo. Faccio ritorno alla base, organizzando, nella mia mente complessa, la giornata in ognuno dei suoi dettagli intricati. Mi piace organizzare, mi rilassa, eppure so che i determinati piani, prefissati durante la mattinata, non si avvereranno mai per intero.

Al fianco dell'espressione perplessa di Hay, si innalzano le stazze robuste dei due migliori amici, pervenuti con un chiaro obiettivo.

-Che ci fanno loro qui?- voglio precisarne le intenzioni, tenendo saldamente stretto al petto il tessuto bagnato. Adrian abbassa lo sguardo un po' in imbarazzo, Ryan, invece, si gode la vista confidando di andare oltre alla semplice facciata.

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