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Il campanello trilla con un'insistenza esasperante, un rumore stridulo che si diffonde dalla porta di ingresso, una cadenza insopportabile ed impossibile da non cogliere, perciò mi chiedo come sia umanamente plausibile che Carter non abbia già aperto gli occhi.

La soluzione si fa limpida, dinnanzi alle mie palpebre assonnate, prima del previsto: Benedict sta dormendo beatamente sul mio divano, niente sembra smuoverlo da quel suo stato di torpore, nemmeno questo fastidioso seccatore che bussa all'entrata. Non deve aver riposato molto negli ultimi giorni, a causa della faccende domestiche e ospedaliere, questo glielo concedo.

Soppeso un arto alla volta, quasi alla maniera di un burattino manovrato da fili di ferro, per giungere, infine, alla meta tanto bramata: spalancare la soglia in legno ed urlare in malo modo in faccia allo scocciatore.

-Che diavolo ci fai qui?! È quasi mezzanotte!- è un grido sussurrato quello che rivolgo all'ospite inatteso, mentre appoggio una spalla allo stipite sinistro della porta ed incrocio le braccia al petto, in modo che comprenda a pieno la mia impazienza di conoscere le ragioni per le quali sono stata svegliata in piena notte.

-Sono rimasto in città oggi- si procura uno sguardo confuso da parte mia, poiché non credo mi abbia fatta alzare dal divano solo per questo motivo, o meglio me lo auguro per la sua incolumità. -Ho fatto un giro per passare il tempo e sì, ho incontrato anche la tua santa amica per strada- fa il suo annuncio, restando immobile all'ingresso, come se, nel comunicarmi queste novità, spendesse già tutta la sua energia vitale.

-Hayley?- il suo nome esce dalle mie labbra con una certa sorpresa, forse perché non mi sarei aspettata di doverlo pronunciare prima del rientro a gennaio. Il suono viene accompagnato da uno spostamento del mio peso dal limite estremo della mia dimora al portico esterno: socchiudo l'uscio dietro di me e mi sporgo in avanti, facendogli intendere le mie intenzioni di tenerlo fuori dalla portata di Thomas.

-Proprio lei, mi ha detto di starti vicino, di non abbandonarti nel momento del bisogno come ha fatto lei- questa è la notizia che attendevo, quella che avrebbe frantumato completamente il mio cuore. Non posso accettare il fatto che, in fondo, si sia presa la colpa: è stata insistente nelle sue richieste di apprendere la verità, tuttavia avrei dovuto, per lo meno in parte, accontentarla, poiché, di solito, è così che si agisce con un amica. Non mi piace doverla tenere all'oscuro di tutto e, detto tra noi, non posso nemmeno prendere la scusa idiota del "l'ho fatto per proteggerti", la medesima che riassume un sostanziale numero di film di successo.

-Ti ha detto così?- sono piuttosto incredula e il mio tono riflette perfettamente codesto stato. Mi stringo con una mano nella coperta pesante, che ho trascinato sino al giardino, sotto la quale mi ero coricata diverse ore fa, sistemandola adesso alla maniera di una mantella, allo scopo di seguire la voce del ragazzo in un caldo e confortante abbraccio di lana.

-Testuali parole- ribadisce, infilando le mani nelle tasche infinite dei jeans, e segue i miei passi con le palpebre stanche e leggermente abbassate.

-E tu perché saresti ancora qui?- voglio metterlo in difficoltà, voglio scoprire quali sono le sue vere intenzioni dopo l'alterco scatenante, con la quale ci siamo lasciati l'ultima volta.

-Vorrei...io...ieri sera ho fatto una delle mie scenate e...- non è da lui questo timido balbettio: mi squadra dalla testa ai piedi, forse in attesa che io prosegua per lui, poi si rende conto di dovermi delle scuse, o qualcosa del genere.

-E...?- lo incito a pronunciarsi.

-Lo sai cosa voglio dire!- sbotta con insistenza, volgendo il viso alla sua destra, laddove lo sguardo possa distendersi sull'infinita mutevolezza del paesaggio.

-Visto che sei qui, dimmelo di persona, o non hai nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi?- a quanto pare le mie ipotesi non sono completamente sbagliate...

Le sue orbite si spostano con estrema lentezza da un punto all'altro, le iridi riflettono la luce della luna e delle sue stelle con una meravigliosa colorazione grigiastra: appaiono quasi bianche quanto lo sfondo, sul quale primeggiano come nuvole in un cielo invernale.

Trovo naturale, quasi scontato, fare la prima mossa, perciò allungo una mano in direzione della sua guancia, dove si va ad accostare: Ryan si piega appena su di essa, affinché il contatto possa prolungarsi, ed abbassa le palpebre.

Le mie dita sfiorano quello che pare un accenno di barba che sta crescendo sul suo volto, un altro segno della mascolinità che il ragazzo non intende eliminare immediatamente. -Parlami...- un mormorio riempie l'atmosfera.

-Mi dispiace, davvero- anche lui mantiene il medesimo volume di voce ed apre, con una certa pacatezza, gli occhi, fissandoli sui miei, incatenandoli alle mie pupille: questa volta non c'è spazio per litigare, urlarsi contro o strepitare accuse inverosimili, difatti abbiamo a malapena il tempo di sistemare i nostri guai, riappacificarci con i nostri demoni. Nell'attimo in cui si sbilancia tanto per giustificarsi, pare così indifeso, talmente demoralizzato da muovere a compassione il mio cervello: oltre alla sua invettiva contro Ben, non si è comportato male con me, non ha mostrato segni di prepotenza o freddezza, come di consueto.

Le sue dita spaziano l'immaginazione del dolce fanciullo che è in lui: le avverto impercettibilmente poco sopra i fianchi, ma il modo in cui li stringe è delicato, quasi avesse il timore di farmi male o allontanarmi, a causa forse del fervore che mostra di solito nei miei confronti.

-Vuoi entrare?- credevo attendesse la precedente proposta dal suo arrivo, invece si rifiuta.

-No- una secca, impassibile sillaba delude le mie aspettative, tuttavia non è finito il discorso che si era preposto di farmi. -Mi chiedevo piuttosto se ti andasse di partire con me, venire a casa mia-

-Sono tre ore di macchina, Ryan, ed è notte fonda!- non posso persistere nel mio tono calmo, mentre il ragazzo che ho dinnanzi presenta un così elaborato piano per trascorrere il Natale nella casa dei suoi genitori; a dir la verità, non avevo programmato nulla di complicato per quel giorno che, sino a qualche anno fa, ritenevo tanto speciale: presumibilmente, mi sarei recata in ospedale con Carter e avrei preparato qualcosa per cena, riprendendo magari le vecchie ricette di mia madre. Quest'anno non mi sarei posta nemmeno il problema dei regali, giacché mio fratello è altrove, mio nonno in coma e io ed Hayley, semplicemente, non ci siamo mai scambiate doni per Natale, dato che la nostra tradizione da persone sventurate lo vietava. Ogni anno la storia si è sempre ripetuta in maniera analoga: niente pacchi il 25 dicembre, di modo che quello pensato per il compleanno fosse più prospero. -Perché adesso?- non gli lascio aggiungere altro alla mia interrogazione, perché non è quello che voglio sapere davvero.

-Perché voglio portarti in un posto prima dell'alba di Natale- il che mi fa pensare che esista una lato romantico nel suo carattere rude.

-È una follia, e lo sai, ma hey! Che abbiamo da perdere? Oscar Wilde diceva che le follie sono le uniche cose che non si rimpiangono mai, quindi...- una molla invisibile scatta nella mia testa, mischiando il soggetto "pazzia" con "divertimento", e, come se non mi importasse nulla di mollare Benedict da solo sul divano per inseguire un fantasma, rispondo positivamente al suo suggerimento sul modo più adatto per occupare la nottata.

-Quindi si parte- Ryan mi precede giù per il viottolo.

La mia mente è assolutamente stravolta dalle nuove rivoluzioni in corso, tanto da non rendermi conto delle promesse fatte a Carter, delle poche decisioni prese per Natale. Mi sento una traditrice, nei confronti di John prima di tutto, poiché partire con questo ragazzo significa sottrarre la mia disponibilità ad un membro della mia famiglia che, per quanto sia assente fisicamente, so che, mentalmente, attende soltanto l'attimo in cui potrà sbraitare uno dei suoi moniti temibili, come ringraziamento per il nostro aiuto.    

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