Capitolo uno

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Secondo gli studiosi, il 21 gennaio è considerato il giorno più triste dell'anno. Il che, è una cazzata.
Come può un gruppo di cervelloni definire quale sia il momento più triste, se l'unicità dell'esistenza consiste, nell'appunto, che ogni individuo viva una vita differente da quella di un altro?
Tuttavia, suo malgrado, si ritrovò a concordare.
Il 21 gennaio era davvero il suo giorno più triste, raggiungeva quel tocco di tragedia in più che gli altri giorni tendevano a soccombere.

Le lacrime non scendevano da ormai un anno, nemmeno per sbaglio,  nemmeno una parvenza. Non le servivano più. O semplicemente, la sua riserva era esaurita.

Parcheggiò l'auto nell'atrio del suo condominio, e si diresse con passo lento verso il portone di casa.
Faceva freddo quel lunedì, talmente freddo che le sembrava che le ossa si fossero raffreddate, talmente freddo che il naso si arrossì all'istante.
Cercò frettolosamente le chiavi nella borsa, che puntualmente non riusciva a trovare.

-Diamine!- esclamò, mentre un uomo le si affiancò.

-Mi scusi- disse, scostandola e citofonando uno dei tanti nomi presenti. 

La donna non lo degnò di uno sguardo.

Il portone si aprì, e lo sconosciuto fece con la mano un gesto per farla entrare.

Si addentrarono entrambi verso l'ascensore, senza guardarsi.

-A che piano va?- chiese lo sconosciuto, con tono mite.

-Sesto-

-Bene, allora esco prima io-

Lei lo ascoltò a stento, osservando il soffitto. Non le piaceva stare nell'ascensore con altra gente, la faceva sentire a disagio e solitamente qualcuno se ne usciva con frasi come: "che freddo oggi, eh".
Tutto per rendere quel silenzio meno assordante, ma lei lo preferiva di gran lunga rispetto alle frasi stupide e senza senso.

Tuttavia, fortunatamente, quell'uomo non sembrava essere uno di quei tipi.

Improvvisamente, però, un rumore metallico riecheggiò nelle loro orecchie. Prima che uno dei due potesse fiatare, la luce si spense, per poi riaccendersi poco dopo con l'allarme di emergenza.

-No, non può essere- mormorò lei, pigiando il testo per aprire le porte, più e più volte.

-È inutile, siamo rimasti bloccati- affermò l'uomo, roteando gli occhi ed ispezionando la soffocante area in cui era rinchiuso.

- No, non può essere, non se ne parla! Adesso riprovo e le porte si apriranno-

-Abracadabra!- esclamò lui, muovendo le mani come se stesse facendo un incantesimo.

-Le sembra divertente?-

Lui rise, scuotendo la testa.

-No, affatto. Ma agitarsi non serve a nulla. L'allarme è stato attivato, adesso qualcuno chiamerà i soccorsi e se siamo fortunati tra mezz'ora saremo fuori-

-Mezz'ora?!-

-Come minimo-

La donna si mise le mani tra i capelli scuri, per poi passarsele sul viso, dimenticando di avere il mascara e sporcandosi.

Notò che l'uomo cercava di trattenere una risata di scherno, e lo fulminò con lo sguardo.
Prese il cellulare tra le mani.

- Non c'è campo qui dentro, è inutile provare-

-Lo so perfettamente- rispose brusca lei, sbuffando.

-Avevo un appuntamento, stia tranquilla, i soccorsi staranno già arrivando. Mi auguro che non soffra di claustrofobia-

Passarono pochi minuti, ognuno posto in un angolo opposto all'altro. Lo sconosciuto lanciava qualche fulminea occhiata alla giovane signora, che non ricambiò nemmeno una volta, ignorandolo totalmente.

-Mi sento mancare l'aria- mormorò ad un tratto lei, muovendo la mano come se cercasse un po' di vento sul viso.

Restare bloccata in un'ascensore era una paura che l'accompagnava sin da piccola, e ora che la stava affrontando non sapeva come reagire.

Si accasciò sul pavimento, togliendosi il cappotto. Strinse tra le mani il medaglione che portava al collo, respirando profondamente.

-Sta bene?- chiese l'uomo, notando con preoccupazione il volto pallido della donna e il suo respiro spezzato.

- Non lo so... mi sento soffocare... è così piccolo qui- rispose lei, mentre il cuore cominciava a martellarle veloce nel petto e la vista ad annebbiarsi.

Stava affrontando un attacco di panico e non sapeva come gestirlo.

Lo sconosciuto si inchinò davanti a lei, prendendole le mani.

-Avanti, respiri con me, profondamente. Faccia come me, avanti- la istruì, simulando le azioni che lei doveva compiere.

- Mi fa male il petto- sussurrò lei, cominciando a sudare.

-Presto finirà, però adesso mi deve guardare e respirare con me, va bene?-

La donna deglutì, guardandosi attorno con agitazione ed ansia, ma percepì una mano prenderle il viso e spostarlo verso due occhi chiari, protetti da due lenti trasparenti.

-Come si chiama?-

-A-Alba...-

-A-Alba? I suoi genitori avevano il singhiozzo quando è nata?-

-Non mi prenda in giro-

-Non mi permetterei mai. Io sono A-Andrea-

La donna sorrise leggermente, toccandosi il volto.

-Ho un aspetto orribile-

-Direi che in questo caso sia meglio puntare sulla simpatia-

-Lei è un gran maleducato, sa?-

Lui sorrise, notando che il respiro della donna era notevolmente più rilassato.

-Crede che morirò?- chiese lei, guardando il soffitto, come se cercasse qualcuno.

-Sì, tutti noi moriremo prima o poi, ma non è oggi quel giorno-

- Non m'importa, la morte non mi fa alcuna paura-

-Ah no?-

-Mi fa più paura la vita-

Andrea assunse un'espressione seria.
Toccò la fronte della donna, notando quanto fosse calda e sudata.

Le restò vicino per tutto il tempo, fino a quando le porte finalmente si aprirono.

-Serve un dottore, ha avuto un attacco di panico, credo che fosse la sua prima volta!- esclamò appena vide i soccorsi, per poi aiutarla ad alzarsi, mentre i vigili le fornivano un po' d'acqua.

Una donna accorse da lui, resistendo alla tentazione di abbracciarlo.

-Stai bene?- gli domandò, preoccupata.

-Sì, sto bene Virginia, grazie. Sai chi è quella donna?- chiese, mentre degli uomini le facevano delle domande per capire se fosse sotto shock o meno.

-Abita al sesto piano, non so molto di lei. È una tipa un po' strana in realtà. Entriamo in casa?-

Andrea annuì, non prima di rivolgere un'ultima occhiata ad Alba.

Cuori interrottiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora