Capitolo due

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Si accese una sigaretta.
Non era un fumatore, ma dopo un amplesso necessitava di assaporare un po' di nicotina nel palato, lo aiutava a compiere il suo atto di rilassamento.
Virginia era stesa accanto a lui, con i capelli disordinati e le guance rosse.
Non sembrava minimamente turbata dal pensiero che suo marito potesse arrivare da un momento all'altro, magari perché si era dimenticato di un importante documento o aveva terminato prima di lavorare.
Lei sembrava in estasi, ed era quello che gli faceva impazzire di quella donna, il potere che esercitava, il loro essere passionali e viscerali.

-Và a farti una doccia. La pacchia è finita- sbadigliò lei, indossando il reggiseno e dirigendosi in cucina, probabilmente per preparare qualcosa.

Non riusciva proprio ad immaginare Virginia come mogliettina e focolare di una casa, le sembrava troppo distaccata dal mondo della vita domestica. Probabilmente, però, lui viveva una donna diversa, disinibita.

Si fece una doccia, si vestì, salutò la sua amante con un rapido bacio ed uscì di casa sentendosi quasi un ladro.
Non provava sensi di colpa per quello che faceva, ma una strana sensazione di fastidio gli colpiva il collo ogni qual volta che varcava la soglia di quella casa.

Entrò nell'ascensore, e ad un tratto si ricordò dell'incidente di qualche giorno prima.
Senza pensarci troppo, cliccò il tasto con il numero 6.

Due porte si presentavano sul pianerottolo. Controllò i nomi e bussò a quella con nome di una tale Alba Bianchi.

Si pentì di aver commesso quel gesto nell'immediato momento che percepì dei passi avvicinarsi.
Sentì il rumore dello spioncino.

-Sono cattolica, mi dispiace- sentì una voce seccata.

-Che?! Non sono un testimone di Geova. Sono Andrea- rispose l'uomo, sentendosi anche leggermente offeso.

-Andrea chi?-

Lui sollevò gli occhi al cielo, dandosi dello stupido. Quella situazione imbarazzante era solo colpa sua, come tutte le altre.

-Lascia perdere-

Alba aprì la porta, mostrandosi appena.

-Sei il tizio dell'ascensore?- domandò lei, scrutandolo con diffidenza.

-Sono colui che ti ha letteralmente salvato la vita, A-Alba-

Lei lo fulminò con lo sguardo, corrucciando le labbra.

-Già, già. Beh, ti ringrazio. Ho letteralmente perso il controllo, non ho idea di cosa mi sia successo. Adesso, se vuoi scusarmi...-

Fece per chiudere la porta, ma lui mise un piede in mezzo, impedendolo.
Un forte profumo di salsa lo investì, invitandolo ad annusare intensamente più volte.

- Cosa stai preparando?-

-Ragù. Vuoi andartene e devo chiamare qualcuno per cacciarti?-

-Posso pranzare qui?- chiese lui sfacciato.

-Stai scherzando?- sgranò gli occhi lei, incredula.

-Affatto. Ti prego, mangio spaghetti e tonno da non so quanto tempo, ormai il mio intestino è un organo surgelato. Per favore- fece un'espressione da cane bastonato, congiungendo le mani come per supplicarla.

-Assolutamente no-

-Bel modo di essere riconoscente. Non ti ho abbandonata un momento in ascensore, ti ho aiutata ad affrontare il tuo attacco di panico e tu ricambi così?-

-Credi davvero di convincermi così?-

Lui sollevò le spalle.

-Ci provo-

Vide la donna ruotare gli occhi visibilmente scocciata, aprire la porta ed invitarlo implicitamente, senza bisogno di parole.

- Ti siedi, mangi, te ne vai. Chiaro?-

-Cristallino- sorrise lui, un sorriso gioviale, simile a quello di un bambino.

Andrea osservò la casa incuriosito.
Era una casa moderna, le tonalità erano sul bianco, verde smeraldo e nero.
Era ammirevole la pulizia, le superfici sembravano brillare, ma un particolare lo inquietò.
L'ingresso, il soggiorno, la sala da pranzo erano piene di fotografie, e tutte ritraevano lei con un altro ragazzo.
Non era nulla di anomalo, se non fosse stato che quella presenza di immagini era quasi ossessiva, invadente, come il leggero profumo da uomo che percepiva.

Si soffermò in particolar modo su una foto: accanto ad un'Alba più giovane e sorridente c'era lo stesso ragazzo, privo di capelli, che sorrideva anch'egli verso la fotocamera. Sembravano molto affiatati.

-È pronto, vieni a tavola- lo richiamò lei, secca.

Si accomodarono l'uno di fronte all'altra, ed Alba non fece che ripetersi quanto fosse assurda quella situazione. Perché aveva fatto entrare un estraneo in casa? Cosa diamine le passava per la testa?

I suoi pensieri furono interrotti da un rumore quasi molesto. Alzò gli occhi verso Andrea e notò la sua espressione compiaciuta, gli occhi socchiusi, come se...

-Dio mio, Dio mio! È buonissimo! Non mangio così bene da... non so, una decina d'anni?- esclamò contento, portandosi alla bocca un altro boccone.

Lei lo guardò perplessa, e poi sorrise, mangiando anche lei.

- Mi hai cercato apposta o eri nei paraggi?- gli domandò, per riempire il silenzio.

-Diciamo che sono un assiduo frequentatore di questo palazzo- rispose lui vago, non guardandola.

-Ho capito, non vuoi dirmelo-

-È una questione delicata in realtà. Lavori?-

-In qualche modo devo mantenermi, no?-

- Che lavoro fai?-

- Mi verrai a cercare anche lì?- sollevò le sopracciglia lei, facendolo ridere.

-Può essere, potrei chiederti di cucinarmi qualcosa-

- Non sono la tua cuoca-

- Ma sì, ma sì. Allora, che lavoro fai?-

-Lavoro in una cartolibreria. Tu?-

- Sono un insegnante-

-Ma dai, chi l'avrebbe mai detto- lo prese in giro Alba.

- Sono un ottimo professore di educazione fisica- si vantò lui, finendo il suo piatto di pasta.

- Non ho dubbi-

Andrea si guardò un po' intorno, per poi azzardare.

-Sei fidanzata?- le chiese, mentre lei sparecchiava la tavola.

Alba si bloccò, come se qualcuno le avesse sottratto l'ossigeno.

-No-

-Sai, vedendo tutte quelle foto...-

-Adesso devi proprio andare- lo interruppe lei, visibilmente diversa, molto più seria.

- Ma...-

-Per favore. Và via-

Lui annuì senza fare domande, prese la sua giacca, la ringraziò per il pranzo e andò via.

Non poteva vedere Alba piangere.

Cuori interrottiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora