Capitolo 7: Tutta colpa dell' alcol

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La clinica di Keyline è quasi in centro a Los Angeles: appena fornisco l'indirizzo al tassista questo parte a tutta velocità. Onestamente, penso che non ho tutta questa fretta di arrivare, ho piacere di riprendere il mio telefono, ma l'idea di dover dare delle spiegazioni sul perché me la son svignata stamattina...anche no.
Ma come mai ci penso tanto?
Non sono una criminale, quindi qualsiasi siano state le mie motivazioni non sono tenuta a dargliele. La verità è che pensandoci non ho nemmeno io la più pallida idea del perché sono scappata tanto silenziosamente: quindi forse la mia paura è più rivolta al fatto che non avrei una spiegazione sensata da dare. Potrei benissimo inventarmi qualche scusa: dirgli che dovevo andare a lavoro, o a una lezione dove dalla fretta mi dispiaceva svegliarla; il problema è che per quanto mi posso impegnare, non sono molto brava a mentire. Onestamente, quello che mi interessa di più, è sapere è cosa è successo prima della mia fuga: come ho potuto lasciarmi andare a tanta libertà? Insomma, non sono mica un astemia che si è abbandonata alla sua prima sbronza.
Ma cosa cavolo mi è passato per la testa?! Ho una lista delle cose che vorrei fare prima di passare a miglior vita: ma andare a letto con una donna non l' avevo menzionato da nessuna parte. Eppure è successo, è indietro non si può tornare. Per quanto mi sforzi, mi fa strano nell'immaginarmi sotto le lenzuola con un'altra donna, immaginazione che però al momento non riesco a sottrarmi nel pensare a Keyline: non provo né disgusto, e ne imbarazzo ma anzi curiosità di sapere cosa abbiamo fatto. Non posso nascondermi dietro all'alcol e dargli tutta la colpa dell'accaduto, perchè per quanto provi fingere a me stessa, ero pienamente consapevole di cosa stava accadendo, impossibilitata però dal fermarmi.
« È tutto così strano.» borbotto tra me e me.
Questo pensiero mi tormenta, non ho mai provato attrazione verso una donna: ovvero, se vedo una bella ragazza passare non mi trattengo tanto dal guardarla, complimentando mentalmente ciò che vedo. Una situazione che nasce e muore nel tempo che trova prima di interessarmi ad altro.
Ho sempre provato attrazione verso gli uomini, ragione per qui, nella mia vita ho avuto solo ex fidanzati: è anche vero però, che in quella sola volta che ho limonato ( guarda caso sempre da ubriaca) la mia compagna di scuola, qualcosa in me è scattato. Anche all'epoca, come oggi, avevo dato la colpa ai troppi giri di rum che avevo fatto in serata: ciò che nessuno sa, e che Lily, quella stessa sera, mi accompagnò a casa per tornare a sbaciucchiarci poco prima di scendere dalla macchina.
« Reynolds da ubriaca sei irresistibile! Peccato che diventi lesbica solo quando bevi...» Commentò quando si staccò dalle mie labbra, ma io risi e scesi dall'auto. Quell'accaduto nacque e morì quella stessa sera.
Ritornando ad oggi, quel commento fatto da Lily ora suona più veritiero che mai: forse, quando sostengono che l'alcol tira fuori un lato nascosto del carattere, non scherzano mica.
Quindi, cosa vuole comunicarmi il mio corpo? Anzi, la mia mente? Che io, Samantha Reynolds quando esagero con il bere e non sono razionale nelle decisioni: mi piacciono le donne.
« Oh merda!» esclamo ad alta voce, in un pensiero che mi fa sentire una vampata di caldo, e quando ritorno con la testa al presente e guardo fuori dal finestrino, mi accorgo che il taxi sta rallentando.
« Cazzo! siamo già arrivati?» Commento incredula guardando l'insegna della clinica veterinaria.
« Ben... non eravamo mica lontani! e poi oggi la gente sembra più intenzionata ad uscire a piedi o in bici... Quindi le strade sono libere» mi risponde il tassista guardando quel sole raggiante.
Esco dalla macchina un po pensierosa, per quante volte son passata in questo tratto di strada, non avevo mai fatto caso che ci fosse una clinica veterinaria: eppure, la vetrata opaca con l'insegna e la croce medica di colore azzurro è abbastanza marcata. La porta di ingresso ha quel classico campanellino appeso che tintinna vivace non appena si apre: la sala d'ingresso è stranamente vuota, eppure è molto spaziosa con diversi posti a sedere. In sottofondo degli animali in un'altra stanza, si fanno sentire senza timore, ma per il resto regna il silenzio.
« Salve!» Mi saluta una voce femminile squillante, avvisata da quel rumore della porta, sbuca fuori da sotto una scrivania nell'angolo vicino all'entrata.
« Salve!» rispondo di scatto sobbalzando, dato che presumevo di essere sola.
« Mi scusi non volevo spaventarla! Ma oggi guardi, non me ne va dritta una! Mi mancava solo che mi cadessero dei fogli per terra.» Mi risponde la ragazza, a cui non riesco a darle un'età definita dato il viso apparentemente giovane ma i capelli trasandati di un colore marrone spento tendente al grigio.
« Non si preoccupi.» la tranquillizzo osservandola mentre si ricompone la camicetta a pois rossa, e il ciuffo di capelli davanti agli occhiali prima di riprendere nuovamente parola.
« Aveva qualche appuntamento?» Mi chiede cercando con lo sguardo qualche animale, che non ho con me.
« No, non in quel senso! Ma si! Cercavo la dottoressa Keyline, mi chiamo Samantha... Ci siamo sentite al telefono stamattina...»
« La ragazza del cellulare!?»
E rimango ferma, immobile, per il tono quasi incuriosito ma sicuro di sapere di chi ha davanti in quell'ultima domanda, mista affermazione, che mi descrive ancora prima di essermi presentata. Cerco di dare a vedere il meno possibile il mio imbarazzo, nascosto da una seconda vampata di caldo che mi fa quasi venire voglia di prendermi un telefonino nuovo.
Cosa avrà mai raccontato Keyline?
« Si! Credo di essere proprio io.» rispondo sibilando
« La dottoressa Rodriguez al momento è impegnata! Ma siediti pure, credo ormai abbia quasi finito» mi invita continuando a fissarmi dalla testa ai piedi. «A proposito... io sono Lucy.»
Sono abituata ad avere gli occhi puntati addosso: il mio passato, come figlia ed erede di Walter Reynolds mi ha insegnato a non badare a chi mi studia. Ma questa volta mi sento alquanto a disagio, e ho come l'impressione che questa minuta signora, o ragazza, sappia chi sono e cosa sia successo ieri notte.
Sospiro, cerco di ignorarla il più possibile, sarebbe più facile se questa maledetta sala d'attesa fosse almeno un po più affollata: normalmente mi metterei a far finta di guardare il telefonino, pur di ammortizzare il tempo d'attesa, ma in mancanza di quest'ultimo non posso fare altro che guardare il soffitto di un colore celestino tenue e fissarlo come se ci fosse dipinto un quadro di Michelangelo.
Keyline fortunatamente, dopo solo un manciata di minuti, finalmente, oltre al brusio in sottofondo degli animali, sbuca fuori parlando ad una signora anziana e paffutella con i bigodini: esce con cagnolino in mano, presumo vecchio quando lei.
Adesso che sono seduta, in un contesto meno affollato e con la mente più libera, ho modo di poterla osservare più dettagliatamente: i capelli raccolti in una enorme coda le liberano il viso, dando modo al rossetto rosso di risaltare le labbra in quel un sorriso smagliante e dolce. Fisicamente nella norma, concludo mentalmente che la ritrovo proprio una bella donna. Non ho molta confidenza con il mondo gay femminile, ma di gente anche a New York, ne ho conosciuta qualcuna. Ho sempre avuto un'idea di loro con un aspetto tendente al maschiaccio: almeno, quelle che ho incontrato erano le classiche dal capello corto e vestiti larghi. Invece Keyline, si racchiude in una femminilità, che al contrario suo, sembri io la lesbica tra le due.
Resto immobile a guardarla, lei a quanto pare non si è ancora accorta della mia presenza, concentrata com'è ad assicurare alla signora, che il suo cane malgrado l' età, è ancora forte e in gamba. Presenza che mi coglie di sprovvista quando comincia ad avviarsi verso la segreteria.
« Arrivo subito...» mi tranquillizza mentre accompagna la signora all'entrata fissandole un secondo appuntamento per il mese successivo. E dopo i vari saluti di cortesia, torna ad avvicinarsi, con un sorriso che parla da solo. Mi alzo in piedi.
« Ciao!»
-« Ciao...» onestamente, il mio disagio non è passato, dato che quella Lucy, ci sta fissando con uno strano sorrisetto.
« Vieni...» mi invita « Ho il tuo telefono sopra la mia scrivania» facendomi cenno di seguirla. Contemporaneamente a noi che ci avviamo verso il suo ambulatoria, si spalanca la porta da dove provenivano i versi di vari animali: un uomo vestito con una divisa sanitaria azzurra, esce divorando in un enorme morso, un pezzo di mela, bloccandosi di netto appena appoggia lo sguardo su me e Keyline:
« Ah diamine... Hai un altra visita? Volevo chiederti se andavamo a bere un caffè.» le chiede a bocca piena.
« No! È quella del telefonino...» gli suggerisce Lucy quasi come si aspettasse che quel giovanotto con un casco di capelli e una barba da fare, capisse al volo di cosa stiano parlando.
Keyline mi afferra per la mano e "mi invita" nuovamente a seguirla, sospirando contro quei due complici che, a quanto pare, non sono riusciti a trattenersi, chiudendo la porta dietro alle sue spalle una volta entrata.
« Scusami... spero di non averti fatto aspettare molto»
Ma io mi guarda le spalle, indico la porta in cerca di spiegazioni.
« Quella del telefonino...?»
« Sapevano che avevo un iPhone da restituire» si giustifica, aprendo un cassetto, e porgendomi con molta cautela quel piccolo oggetto. « Lucy è la mia segretaria, socia e proprietaria di questo posto. Mentre Tommy, è un collega.»
« Sanno che sei gay?!» Arrivo dritta al sodo senza ritegno, reduce di una scuola di giurisprudenza dove ti insegnano che un bravo avvocato, deve sapere fare le domande senza timore. Domande basi, fredde, dritte al punto ma che colgono l'imputato impreparato.
Keyline infatti, resta a guardarmi con la bocca aperta, incrociando poi le braccia:
« Si! ma cosa c'entra?» mi chiede in cerca ora lei di spiegazioni.
« Gli hai detto di ieri sera?»
«No!» sospira « A Lucy avevo accennato che uscivo con una persona ieri sera. Per non fargli prendere appuntamenti in questa fascia oraria ho dovuto spiegargli che avevi dimenticato il telefono... e che tornavi a riprenderlo. Tutto qua.»
« Una persona? Quindi credono che io e te abbiamo avuto un appuntamento?» gli chiedo.
« No...» sorride.
« Porti sempre a casa le persone ubriache? Sconosciuti poi...»
« Assolutamente no!» rimarca convinta « Sei stata un eccezione.» poi ci pensa « Forse devo avergli detto che sei un amica. Alla fine, ora non siamo poi così sconosciute!»
Di colpo sento le gambe come fossero gelatine, colpite dal ricordo della sera prima.
« Porti le amiche a casa ubriache?» alzo le sopracciglia, cercando di capire se la mia domanda avesse colto quel dietro le quinte.
« Ok..forse un amica proprio no.» fa altrettanto «La ragazza del taxi, ti suona meglio?»
« Quindi pensano che io... e te?»
« Non pensano niente!» Mi blocca subito e poi sospira « E anche se lo pensano... e mi chiederanno per l'ennesima volta spiegazioni, risentiranno la solita storia.! Che hai dimenticato il telefono in macchina...»
« Ah!»
Restiamo li, a un metro di distanza a fissarci negli occhi in silenzio, consapevoli che, non ho dimenticato il telefono in macchina ma ben si altrove: e questa bugia a fin di bene, fa venire una risata ad entrambe, una risata liberatoria che scioglie per i minuti successivi la tensione tra noi due.
« E posso essere sincera?! Lascia che pensino quello che vogliono! Almeno la smetteranno di assillarmi nel chiedere alla ragazza che lavora nel negozio qui di fianco di uscire...!»
« Cos'ha la poveretta che non va? Come mai non può meritarsi un uscita con te?»
« Non ha niente che non va! semplicemente... Non lo so, non va...!» ribatte « Oltre al fatto, che non posso presentarmi li e chiedergli di uscire come niente fosse!»
« Io te l'ho chiesto come niente fosse... Allora dovrei sentirmi onorata, che da semplice e totale sconosciuta... essere riuscita a farti uscire per un appuntamento!»
« Non sapevo fosse un appuntamento.»
Keyline mi guarda e sorride, appoggiandosi alla scrivania; rimaniamo qualche secondo ferme in silenzio in quella situazione di stallo, che si crea quando entrambi le parti riflettono su come o chi deve iniziare a toccare un argomento delicato. L'ultima battuta è stata la mia, e son quasi certa che lei si aspetti da parte mia delle spiegazioni in merito alla mia fuga, e il suo restare in silenzio mi fa presumere che la prima a parlare sia io:
Faccio un enorme respiro prima di prendere parola, avanzo di qualche passo per avvicinarmi e appoggiarmi in quella lastra di metallo che usano per visitare gli animali, in modo tale da essere una di fronte all' altra:
« Mi dispiace per essere uscita stamattina... senza svegliarti. Non so nemmeno io cosa mia sia preso.» mi esprimo sincera, senza girarci tanto attorno.
« L'unica cosa che mi interessa è che tu, non abbia pensato che mi sia approfittata del fatto che eri ubriaca...» rigetta seria « Perchè non è così!»
« Non l'ho mai pensato... Ubriaca si, ma non incapace di intendere e volere.» Ennesima verità alla quale devo far i conti con me stessa, ma mi sento sollevata nell'ammettere ad alta voce che ciò che è successo, se c è stato, un motivo da parte mia ci sarà. Anche Keyline sembra visibilmente più rilassata:
« Bene. Perchè mi sarebbe dispiaciuto molto. Non pensavo ti piacessero le donne, cioè... io insomma, credevo all'inizio che fossi semplicemente etero»
Rimango un chiodo, immobile come quelle guardie inglesi che a stento credo possano respirare.
« No...! Cioè...! Io...!» Dannazione sto balbettando e sono sicura di essere diventata rossa. È la prima volta in vita mia che mi trovo tanto in difficoltà nel gestire una situazione: forse perchè, per quanto si crede di conoscersi, non si può mai sapere che lati oscuri nasconda la tua persona; e trovarsi ad affrontare una nuova personalità, ti lascia impreparata al massimo.
Keyline si mette a ridere.
« Scusami!» e torna a sorridermi « Non volevo metterti in imbarazzo!» poi guarda l'ora nel piccolo orologio da polso « Ascolta... io ho mezz'ora libera e ho fame. Poi avrò un lungo pomeriggio... Posso invitarti a pranzo? Così ne parliamo con più calma... Sempre se ti va, e non hai esigenza di scappare ancora» mi dice iniziando a togliersi il camice e strizzandomi l'occhio « Ma... se vuoi andare, libera di farlo. È stata una bella serata Samantha!»
Lasciandomi nuovamente di sasso.
« Mi stai liquidando? Così su due piedi?»
« Ti sto chiedendo di uscire... come niente fosse!»
« Vengo a pranzo.» accetto.
« Ottimo!»
« Credo alla fine, non mi faccia male parlarne con una persona che nella situazione ci vive già.» Anche se, non ho la più pallida idea di cosa potrebbe uscirne.
Ero partita con l'idea di riprendermi semplicemente il telefono, maledicendomi per averlo lasciato nel suo appartamento, ma ora come ora mi sto convincendo che quell'errore non sia stato poi tanto malvagio e che forse è stato meglio così.
Ad aumentare il mio interesse poi, senza darlo a vedere, è l'eleganza meno formale su come Keyline si prepara: la camicia posta dentro i pantaloni attillati è sbottonata quel che basta per risaltarle il piccolo punto luce in oro. Libera i capelli, li spazzola con mano e pone degli occhiali da sole sopra la nuca per tenere il ciuffo saldo. Cambia le crocs con un stivaletto e si avvicina lasciandomi titubante su cosa vorrei io ora da lei.

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