Capitolo 45.

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La luce si fece strada tra la sottile linea tra le mie palpebre, ma prima di aprire gli occhi e guardarmi attorno, mi gustai quei pochi secondi di inesistenza. Per gli altri ero ancora priva di sensi, incapace perciò di sentire i loro discorsi e di parteciparvi. Finalmente ero sola. Mi lasciai cadere nel vuoto della mia testa e subito i pensieri più oscuri si anteposero alle mie palpebre, rendendo quel galleggiare nella mente quasi un affogare istantaneo.
Il senso di colpa e la paranoia si attaccarono a me, raggiungendomi e attorcigliandosi al mio corpo come se fosse il loro unico appiglio.

L'immagine della copia di Newt che stramazzava al terreno si proiettò nuovamente davanti ai miei occhi ora serrati completamente. Un sapore amaro mi risvegliò le papille gustative, facendomi subito venire il voltastomaco, le mie labbra secche si premettero tra loro, riducendosi a una linea sottile.
Inspirai profondamente e, riuscendo finalmente a trovare un appiglio nella melma nera e viscida, risalii in superficie, boccheggiando e aprendo gli occhi di scatto, rendendomi conto solo in quel momento di stare trattenendo il respiro, causando un bruciore nei polmoni.

Mi tirai in piedi, conficcando le dita nell'erba non appena la mia ferita al fianco mi fece ricordare della sua presenza. Strinsi i denti, ma non lasciai che un solo lamento mi uscisse dalle labbra.
Un movimento repentino di una figura mi entrò nel campo visivo, facendomi immediatamente scattare sulla difensiva e facendomi portare una mano all'altezza del volto. Sapevo che non avevo ucciso davvero Newt, sapevo che la sua copia avesse aspettato il mio risveglio solo per farmi nuovamente del male. Mi avrebbe colpita di nuovo, magari mi avrebbe anche ricoperta di insulti o di parole acide, ma non mi importava.

Continuai a tenere gli occhi serrati e le braccia davanti al volto, ma il colpo che mi aspettavo non arrivò mai, anzi, una mano calda mi accarezzò il polso, per poi stringersi delicatamente su esso. Non sussultai, né mi ritirai: quella mano aveva del tepore, era ruvida e soprattutto era tremolante, insicura, tutte caratteristiche mancanti nelle copie che avevamo appena affrontato.
"Sono io, va tutto bene." mi rassicurò una voce, la sua voce. Gally continuò a parlare con quel suo tono fastidiosamente inconfondibile, facendomi scivolare davanti ancora una volta la realtà. "È tutto finito, davvero. Sei al sicuro ora."

È tutto finito. Mi ripetè la mia mente. Se ne sono andati, Newt se n'è andato.
Abbassai lentamente le braccia, seguendo la leggera pressione della mano di Gally, poi alzai gli occhi su di lui, trovando le sue pupille focalizzate talmente tanto su di me che stavano inglobando quasi totalmente le sue iridi color legno.

Non gli rivolsi parola quando il ragazzo mi domandò come stessi, invece mi guardai attorno, notando che gli altri avessero approfittato del mio svenimento momentaneo per riorganizzarsi: Violet era china sulla gamba di Stephen, intenta a fasciargli la ferita ricoperta di sangue; il ragazzo in questione sembrava essersi parzialmente ripreso e ora accarezzava con un dito la ferita già medicata sul petto; Minho si era invece appartato insieme a Thomas, tenendogli un braccio sulle spalle e scuotendolo leggermente, segno che forse lo stesse consolando; Teresa stava parlando in modo sommesso con Jorge e Brenda, decidendo forse le nostre prossime mosse o analizzando la nostra situazione attuale.

Nonostante le diverse ferite che i miei amici avevano accumulato in quella battaglia, sembravano stare tutti più o meno bene. Non ci voleva un genio per capire cosa fosse appena successo e perché. La W.I.C.K.E.D. non era solita commettere errori e a ogni sua azione c'era una spiegazione: l'obbiettivo di quell'attacco non era di certo ucciderci tutti prima che fossimo riusciti a raggiungere la base, bensì voleva attaccarci mentalmente, distruggere la nostra psiche aggrappandosi ai nostri ricordi più cari e rovinandoli una volta per tutte.

Quell'associazione aveva studiato per anni i nostri schemi mentali e forse era arrivata alla conclusione che un'attacco psicologico sarebbe stato più decisivo di uno fisico. Se non altro in tutte quelle disavventure eravamo migliorati nel combattimento e nella sopravvivenza, ma le esperienze che avevamo vissuto e tutti i brutti eventi che ci erano capitati non avevano fatto altro che demolire le mura protettive che la nostra psiche tentava ogni volta di ricostruire debolmente.

The Maze Runner - LiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora