Capitolo 72.

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Le guardie ci guidarono lungo una serie di corridoi che mi sembrò infinita, forse per l'ansia che provavo o forse per l'impazienza. Ero terrorizzata al solo pensiero di come avrebbe potuto reagire Newt, spaventata all'idea che un'altra delle sue crisi lo avrebbe risucchiato e che si sarebbe dimenticato di me. Ero sicura che non gli avrebbe fatto di certo piacere vedere tutti i suoi tentativi di tenere segreta la sua situazione venire polverizzati come cenere.
E, per quanto riguardava me, non ero sicura di voler riascoltare tutto. I sensi di colpa ancora mi divoravano ogni volta che incrociavo il suo sguardo e persino tenerlo per mano in quel momento mi sembrava da egoisti, come se lo stessi trascinando io stessa verso l'entrata dell'inferno. Eppure non riuscivo a lasciarlo andare.

Avevo bisogno di lui più che mai e alla sola idea di liberarlo dalla presa delle mie dita anche solo per un secondo, potevo sentire una stretta afferrarmi lo stomaco e contorcerlo a suo piacimento. Non riuscivo a non chiedermi cosa sarebbe successo non appena avessimo davvero lasciato la W.I.C.K.E.D. e, parlando sinceramente, non me la sentivo nemmeno di immaginarmi tutti gli scenari terribili a cui Newt sarebbe potuto andare incontro.
Sapere che la scelta di partire e lasciarci tutto alle spalle, diretti verso un destino fatale per lui, fosse stata una scelta condivisa e presa anche da me, mi faceva sentire irrimediabilmente colpevole.

Avevo già perso Newt una volta, come avrei fatto a convivere ancora con quel peso sul cuore? Mi ci erano voluti mesi per abituarmi alla sua assenza, al fatto che quel vuoto che mi divorava ogni giorno sarebbe stato lì per sempre. Ma alla fine ce l'avevo fatta, avevo superato la sua mancanza e grazie alla presenza di facce familiari e calore amichevole ero riuscita a rimettere a posto i pezzi della mia vita.

E proprio quando mi ero abituata al freddo sul materasso vicino a me di notte, Newt era stato riportato bruscamente nella mia vita. Non credo che sarei mai riuscita a vivere nuovamente il trauma dovuto alla sua morte e a trovare poi la forza di rialzarmi dopo qualche mese. Nemmeno dopo anni sarebbe stato possibile uno scenario in cui girovagavo per il Posto Sicuro con un sorriso cucito sul volto. Eppure non avevamo altra scelta e, anche se potevamo pur sempre rimanere e soffrire come topi in gabbia per il resto delle nostre vite, Newt non ce l'avrebbe mai permesso.

Quando raggiungemmo la cosiddetta Stanza Nera e oltrepassammo la soglia della porta, compresi immediatamente il motivo del suo nome. Eravamo entrati in una sorta di piccolo auditorium dalla forma semi circolare, dove la parete tonda era cosparsa da tanti piccoli schermi neri, come specchi opachi incapaci di riflettere tutte le cose orribili che la W.I.C.K.E.D. aveva cercato di tenere al segreto. Una parete totalmente scura. Nera come l'anima di quell'associazione.

Al centro dell'auditorium c'era un tavolo in legno scuro fin troppo lungo per il numero delle sedie posizionate dietro. Sopra ognuna di esse era appollaiato uno dei cosiddetti "pezzi grossi". Uomini principalmente di mezza età, ad eccezione di alcuni più anziani che mi sembra quasi stessero marcendo nello stesso istante in cui respiravano. Ognuno di loro ci fissava, chi dietro a degli occhiali metallici, chi da dietro una cartella gialla e chi da dietro un velo di odio e indifferenza che non compresi.

Nonostante nella stanza ci fossero tante altre sedie libere, posizionate probabilmente per ospitare un eventuale pubblico, nessuno ci chiese di accomodarci e, dall'espressione di David, non sembrava che fosse un'azione che ci era permessa.
Le guardie ci raggrupparono e poi ci misero l'uno accanto all'altro esattamente davanti alla prima fila di sedie, mentre David ci puntava addosso il lanciagranate, probabilmente terrorizzato a morte da una nostra possibile ribellione.
Una volta messi tutti in ordine come un gregge di pecore, le guardie si disposero tutte dietro gli uomini seduti al tavolo, dando le spalle alla parete semi circolare, ma pur sempre tenendo gli occhi fissi su di noi.

Solo David continuava a gironzolarci intorno come un cane in attesa del momento giusto per andare a mordere le chiappe di un postino. Brandiva quel suo fastidioso lanciagranate come se grazie a esso avesse nelle mani tutto il potere del mondo. Quel suo atteggiamento strafottente mi fece imbestialire così tanto che a stento riuscii trattenermi dal saltargli addosso e riempirlo di pugni, soprattutto contando che l'uomo non mi aveva mai staccato gli occhi di dosso, come se mi ritenesse la minaccia maggiore in quella stanza.

The Maze Runner - LiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora