Capitolo 17- Seconda Parte

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Con un movimento lento ed una buona dose di esitazione, le dita di Ben raggiunsero quelle di Toby.
-Ma certo che lo voglio- disse, e per un istante le sue labbra scattarono in un sorriso. -Posso lasciarti il mio numero, lasciami solo recuperare una penna.-
Ben sciolse il contatto con la mano di Toby, e corse verso il bancone, così emozionato da sembrare stesse trotterellando. Prese un tovagliolo, e si fece passare il pennarello con cui la cameriera prendeva le ordinazioni. Tutto d'un tratto, sembrava essere... leggero. Sembrava felice.
Quando tornò, gli occhi della cassiera non si staccarono dalla sua schiena. Doveva aver pensato che quei due fossero proprio strambi, ma a nessuno dei due importava.
-Ecco, tutto tuo. Fanne buon uso.-
Toby prese il tovagliolo scarabocchiato, e lo aprì per rivelare una serie di numeri, scritti con una grafia sottile e tremolante. Vide Ben aprirsi la zip della felpa, e tirare una manica per fare sgusciare fuori il braccio, pronto a restituirla al proprietario.
-No, no- lo fermò Toby. -Tienila tu. Il freddo disturba molto più te che me.-
Ben ebbe un attimo di esitazione, ma senza dire niente, si rimise la felpa di sopra, e la richiuse. Per quanto avessero provato ad usciugarli, i loro vestiti erano ancora umidi. Poi, senza dire nulla, si piegò in avanti, ed abbracciò Toby, ancora seduto al tavolo.
Senza preoccuparsi delle persone attorno a loro, Toby avvolse le braccia dietro la schiena di Ben, portandolo più vicino a sé. Nascose il viso nella curva della sua spalla, respirando a fondo l'odore della sua pelle. Doveva aver fatto lo shampoo da poco, perché poteva ancora sentirne il profumo.
E in quel momento, i fari di una macchina oltrepassano la vetrina, fermandosi a pochi metri dall'entrata del locale.
-È lei- sussurrò Ben, allontanandosi quanto bastava da Toby per poter sbirciare oltre la sua spalla. -Meglio se non ti fai vedere, ti farebbe domande e... penso di volerti evitare l'imbarazzo.-
-Va bene- rispose, mentre quella massa di vestiti umidi lasciava lentamente la sua presa. All'improvviso, si sentì triste. Come se il pensiero di doverlo lasciare andare lo riempisse di tristezza. Come se il cielo fosse destinato a non essere più lo stesso, senza quegli occhi pieni di stelle.
-Non dimenticherò quello che hai fatto per me. Ti devo molto più di quello che immagini.-
Toby pensò alla frase giusta da dire. Lui, sempre così impulsivo, per una volta si stava fermando per pensare un po' troppo a lungo. E con il numero di Ben ancora stretto fra le dita, e gli occhi che seguivano il movimento rapido di quelle gambe, lo vide aprire la porta d'ingresso del locale.
E quando questa si richiuse, si accorse che era troppo tardi per dire qualcosa.
Lo spiò dalla vetrina, guardandolo gettarsi addosso ad una donna non molto più alta di lui. Lei lo stava aspettando a pugni chiusi, con la fronte piena di rughe, furiosa e preoccupatissima allo stesso tempo. Ma quando lui l'abbraccio, la tensione nel suo viso si sciolse, e lei ricambiò la stretta nonostante i vestiti umidi.
Forse era arrivato anche per Toby il momento di tornare a casa.
Quando la luce del bagno iniziò a traballare, nessuno all'interno del locale sembrò farci caso. Ma Toby poteva sentire la presenza che si era d'un tratto abbattuta in quel luogo, e sapeva benissimo di cosa si trattava.
Ma la tristezza che solitamente gli provocava era come attenuata, e digirendosi verso il bagno Toby sentì soltanto una sensazione agrodolce schiacciargli il diaframma. Tutto il dolore che aveva provato dalla notte in cui era morta sua sorella, tutto l'odio, tutta la sofferenza... si sentiva come se nulla di tutto questo avesse più la stessa importanza.
Per questo, quando si trovò faccia a faccia con l'Uomo Alto, non ebbe paura.
Era in ginocchio sul pavimento del bagno, il suo corpo piegato in avanti in atteggiamento sofferente, con la luce che lo colpiva ad intermittenza. Una delle sue mani era ancora stretta attorno all'accetta che Toby gli aveva piantato in petto, conficcata così in profondità da non riuscire ad estrarla da solo.
-Posso aiutarti a toglierla, se vuoi- si offrì, avanzando incerto all'interno del bagno. Il mostro era proprio nello stesso punto dove lui e Ben si erano abbracciati. -Ma niente scherzi, che sia chiaro.-
Una specie di basso ringhio provenne dalla gola dell'Uomo Alto, e quel viso inesistente si puntò in sua direzione. Attento, guardingo, diffidente.
Toby non sapeva come potesse leggere tutto questo in quei tratti somatici inesistenti, ma almeno quelle erano emozioni umane, per quanto negative. Erano emozioni che poteva comprendere.
Le sue mani si avvolsero attorno a quelle del mostro. Bianchissime, così magre e fragili da sembrare potessero spezzarsi in qualsiasi momento, e tirarono insieme. Toby poté avvertire la tensione sotto la sua stretta, l'irrigidirsi dei muscoli, la vibrazione data dal grugnito di dolore. Scoprì che il suo sangue era caldo, anche se nero e viscoso come catrame. Poteva sentire la vita pulsare al di sotto di quello sterno spaccato, e per quanto il pensiero fosse assurdo, capì per la prima volta quanto quella creatura fosse simile a lui.
I mostri non fanno più paura quando si impara a conoscerli, pensò. E con la giusta forza l'accetta venne via dal petto dell'Uomo Alto.
-Mi dispiace se ti fa male. Ma anche tu ne hai fatto a me- gli disse, mentre il mostro si piegava su se stesso, rantolando come un animale ferito. -Ma guarirai. Tutte le ferite sono fatte per rimarginarsi...-
L'incertezza con cui disse l'ultima frase, però, tradì la sua bugia. No, non era vero. Non tutte le ferite, fisiche e mentali, erano fatte per guarire. Alcune erano destinate a fare male per sempre, e lui, nonostante non potesse provare dolore fisico, lo sapeva bene. Forse anche l'Uomo Alto lo avrebbe presto scoperto.
Quando una lacrima minacciò di cadergli dalle ciglia, lui la lasciò infrangersi a terra.
-Non capisco perché tu lo abbia fatto. Ti sei portato via la mia vita senza uccidermi, ed io ho passato ogni singola notte a chiedermi perché mi avessi fatto questo. Lei per te era soltanto una pedina, un numero da aggiungere ad una lista, vero?- incalzò il ragazzo, i denti digrignati e la faccia rossa per il pianto. -Sai, si chiamava Lyra. E tu l'hai uccisa per portare avanti questo stupido gioco. Lei aveva un nome, degli amici ed una famiglia, e tu l'hai usata come se non fosse nessuno.-
Lo sguardo dell'Uomo Alto rimase puntato su di lui, il corpo piegato dal dolore, e le mani schiacciate contro la ferita. Ma nonostante questo, lo stava ascoltando. Dopo mesi passati ad urlare all'interno della propria testa, Toby vide che per la prima volta quel mostro lo stava ascoltando.
-Sai che c'è? Hai vinto. Sei arrivato nella terza dimensione, hai conquistato tutto quello che c'era da prendere. Hai giocato, ed hai vinto, ma guarda dove ti ha portato tutto questo.-
Uno degli indici di Toby si alzò tremante, e puntò in direzione della ferita. Una pozza di sangue nero si stava allargando lungo il pavimento del bagno, così buia ed aliena da non riflettere neanche la luce.
-La felicità, gli affetti, l'amore... sono sicuro che per te queste sono solo parole senza senso. Ma per noi... non puoi portare via queste cose ad un essere umano. È tutto quello che abbiamo, tutto ciò che siamo, e tu non hai mai avuto il diritto di prenderti tutto ciò. Quindi per favore, restituiscilo.-
Un altro rantolo vibrò nella gola dell'Uomo Alto, al solo suono di quella richiesta. Sembrava arrabbiato, ma non ostile. Toby sperava che ammettere la loro sconfitta bastasse per ammansirlo. Sperava che la partita di quel mostro fosse realmente giunta al termine, sperava che non avrebbe più combattuto. Sperava fosse davvero allo stremo delle forze, perché se quel mostro si fosse alzato ed avesse deciso di farlo a pezzi, non avrebbe resistito a lungo.
-Lo sai che non devi soffrire per forza. Lo sai che quella ferita non esisterebbe, se tu non mi avessi mai dato motivo di infliggerla. Sai che possiamo entrambi vivere in un modo nel quale nessuno dei due è costretto a soffrire...- disse, ed una delle sue mani raggiunse la spalla dell'Uomo Alto, tremando visibilmente. -Devi solo volerlo.-
E con uno spasmo esagerato, le dita lunghe e scarne di Slenderman si chiusero sul braccio di Toby, così forte da bloccargli la circolazione. La luce sulle loro teste prese a vacillare ancora più violentemente, alternando attimi di luce ad istanti di tenebra. E d'un tratto Toby sentì tutta l'energia di quella creatura espandersi nello spazio attorno a sé, e ne ebbe terrore.
Ma nonostante questo, non si allontanò. Non combatté. Decise di fidarsi. E lasciò che lui lo portasse nella direzione che aveva deciso.
La luce si spense del tutto, e Toby perse ogni concezione dello spazio, forse anche del tempo. E in quegli attimi di confusione e buio, la sua mente andò a Jack, a Brian, Jeff, Tim, Sally, e addirittura al Rake. E pensò che forse l'Uomo Alto non gli aveva rovinato la vita.
Forse l'aveva solo... cambiata.

Quando Toby si risvegliò, non riconobbe subito il soffitto dinanzi a sé, e nemmeno il letto su cui il suo corpo era poggiato. Ma la voce che stava cantando nella stanza di fianco alla sua... quella l'avrebbe riconosciuta fra mille.
-... Lyra?-

Come Find Me || Creepypasta / Marble HornetsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora