Capitolo 8- Prima Parte

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Il cielo era azzurro e splendido come ogni pomeriggio di primavera.
Uno stormo di rondini passò sopra la città, così grande e vivace da proiettare dozzine di ombre sui tetti delle case. Una folata di vento colpì i fiori nel giardino di fronte, e la nuvola di polline che si sollevò fu così grande da macchiare di giallo alcun ciuffi d'erba.
Ben era ancora lì, le ginocchia pressate contro il cemento del marciapiede, e la sua ombra che vi si distendeva sopra, scura come quella di un corpo solido.
Si alzò, e subito venne colto da un forte bruciore alle ginocchia. Le guardò istintivamente, accorgendosi di essersele sbucciate.
Stava sanguinando.
Non aveva senso.
Si portò una mano alle guance, e le trovò quasi del tutto asciutte, fatta eccezione per alcune gocce di sudore che gli erano scese dalla fronte.
Eppure solo alcuni istanti prima stava piangendo per sua madre.
E poi era arrivato l'Operatore, e poi...
E adesso? Adesso cosa stava succedendo?
Si guardò attorno per vedere dove fossero finiti gli altri, ma non vide nessuno lungo la strada. Né sul suo marciapiede, né su quello opposto. Poi, l'istinto gli disse di guardare verso casa propria, e...
No, non poteva essere. L'aveva vista ridotta a una carcassa appena un minuto prima.
Quando vide lo zaino di scuola abbandonato sul marciapiede accanto a sé, e si accorse di non avere indosso gli stessi vestiti di sempre, un pensiero osò sfiorargli la mente.
E per quanto assurdo fosse, non lo scartò. Si cacciò una mano nella tasca della felpa, e vi trovò dentro le chiavi di casa. Trascinandosi dietro lo zaino, salì i tre gradini che lo separavano dall'ingresso.
Aperta la porta, l'odore di casa sua gli investì i polmoni, insieme ad una lievissima puzza di fumo.
Il suo cuore perse un battito. E fece male.
Fece male come dovrebbe farne ad una persona ancora in vita.
Sbirciò in cucina e, trovandola vuota, subito si precipitò di sopra, facendo attenzione a non inciampare sui gradini.
Quando vide il vapore che usciva dalla porta semi aperta del bagno, solo allora si concesse di respirare.
-Sono a casa- disse, lottando per trattenere le lacrime. Quando non sentì alcuna risposta, si convinse ad aprire la porta, e con la sua solita voce sottilissima, chiamò: -Mamma?-
E lei era lì, dentro la vasca, con l'acqua che ormai era diventato fredda, e una delle sue solite Camel in mano. Stava piangendo, con uno dei gomiti puntato sul bordo, e le occhiaie rigate di mascara sciolto.
Lo guardò, lo guardò come se lo stesse sfidando, come se lo stesse divorando con lo sguardo, e allora Ben pianse. Pianse davanti a lei, e lei ne rimase quasi sconvolta.
-Non piangere- gli disse, stanca ed avvilita come sempre, e lei stessa non si prese sul serio nel dirlo. -O per lo meno, non farti vedere. La gente ti prende per il culo se ti vede piangere.-
Ma Ben non si fermò, e guardando l'acqua della vasca, scivolò fuori dalle sue Vans, percependo il contatto freddo del pavimento sotto i calzini.
Era stata l'acqua a separarli, al momento del suo suicidio.
Sarebbe stata l'acqua ad unirli di nuovo.
Ben non seppe con quale coraggio lo fece, ma si immerse in vasca con tutti i vestiti. Sia lui che sua madre erano molto minuti, e mettendosi ai lati opposti avrebbero potuto entrarci entrambi. Mentre si immergeva, gli fu impossibile non pensare al fondale melmoso del lago, ed al modo in cui le alghe si erano avviluppate attorno le sue caviglie, ma lottò. Lottò contro il pensiero fino a quando non si fu seduto in vasca, le ginocchia portate al petto, di fronte a sua madre. Lei, nonostante l'assurdità, non lo fermò.
-Prendine una, e finiscila di piangere o ti annego- disse, porgendogli il pacchetto di sigarette lasciato sul lavandino. In un lampo di ironia, Ben immaginò di risponderle che ormai era abbastanza grande da potersi annegare da solo, ed un sorriso sarcastico gli si allungò sul volto. Quando ebbe preso una sigaretta, sua madre le avvicinò la propria, e Ben l'accese con la fiamma dell'altra.
Era di buon umore. Probabilmente perché Ben l'aveva salutata una volta tornato a casa.
-Che è successo a scuola, ti hanno picchiato di nuovo?- gli chiese, guardandolo a malapena in faccia.
-No mamma, non mi picchiano più da quando hanno scoperto che posso fargliene arrivare il doppio.-
Lei sorrise, e non smise fino a quando non prese un altro tiro. Adesso il fumo si stava unendo al vapore, e respirare dentro al bagno stava diventando difficile.
-Non dirgli che ti insegno queste cose- rispose lei, e Ben non seppe se stava parlando delle sigarette, o del picchiare gli altri ragazzini.
Fece anche lui un tiro, e sentì il fumo denso invadergli i polmoni. Fra tutte le cose che poteva fare da vivo, non credeva che avvelenarsi gli sarebbe mancato così tanto.
-Ma tu come stai, mamma?-
Lei sgranò gli occhi per un attimo, visibilmente confusa da cosa avrebbe dovuto rispondere. Non glielo aveva mai chiesto, mai. Ma si sbagliava se pensava che a lui non importasse.
-Lo so che non te lo chiedo mai. Ma vorrei che me ne parlassi, che me lo dicessi. Lo so che per ora è tutto un casino... è sempre un casino. Ma se un giorno volessi parlare, ti prego, dimmi che cos'hai. So cosa ti passa per la testa solo quando ci urliamo in faccia.-
Lei non rispose, e colpì la sigaretta con il pollice per fare cadere la cenere a terra. Prese un altro tiro, gli occhi che non trovavano il coraggio di guardare in faccia il figlio.
D'un tratto, un ricordo si ricompose nella testa di Ben, e lui si accorse di avere già vissuto quella giornata. Ma quella volta non l'aveva salutata, e lei era entrata in camera sua in accappatoio poco dopo, solo per trovarlo nervoso e piazzato davanti al suo computer. E se quella era la stessa giornata, Ben sapeva che domanda stava per fargli.
-Ben- lo chiamò, trovando difficile chiederlo e basta. -Sei gay?-

Come Find Me || Creepypasta / Marble HornetsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora