<<Anche con tua sorella si comportava così?>> Ahi. Tasto dolente. Mi pentii della mia domanda nel momento in cui il sorriso sul suo volto si spense, come una candela su cui un forte vento aveva soffiato all'improvviso. Mi portai una mano alla bocca, dandomi dell'idiota. <<Scusami, i-io non volevo...>>
<<Tranquilla, non è colpa tua.>> Si rimise dritto per un attimo, tenendo gli occhi bassi. <<E' solo che... parlare di lei così semplicemente, nonostante tu sappia tutto... è ancora doloroso.>>
<<Hai ragione. Scusa.>> ripetei. Non riuscii ad aggiungere altro, e sembrava cercasse in ogni modo di evitare il contatto visivo. Abbassai gli occhi e offrii nuovamente il braccio che stava curando. Per il resto dell'operazione nessuno dei due proferì parola, e la tensione nell'aria divenne quasi insopportabile. Mantenevo gli occhi bassi, spostandoli ora sulle mie gambe coperte dai pantaloni nuovi, anch'essi molto sporchi dopo l'avventura di quella notte, ora sugli strumenti che stava usando. Prese una boccetta che non aveva notato all'inizio, contenente un liquido marrone e dall'odore pungente quando lo stappò. Storsi il naso. Ricordava tanto una bevanda amara che mi aveva fatto bere mia zia quand'ero poco più che una ragazzina. Solo dopo scoprii che si trattava di un intruglio di sua invenzione, e per il mal di pancia che ebbi nei giorni seguenti non le parlai, offesa che mi avesse usata come topo da laboratorio. Mise un po' di quella roba su una foglia lunga e morbida, per poi posarla con decisione sulla ferita. Il freddo del liquido venne rimpiazzato in un nanosecondo da un bruciore intenso e del tutto concentrato nell'area a contatto con la carne esposta. Dentro di me stavo già sobbalzando per il dolore e saltando in giro per la stanza come se fossi posseduta, cercando di allontanare quella roba dal corpo. La pressione che Galvorn faceva contro il mio braccio, tuttavia, mi costrinse a restare seduta. Strinsi le gambe e chiusi entrambe le mani a pugno, quasi nel tentativo di raggomitolarmi su me stessa e allontanare tutto e tutti.
<<Fa male?>> chiese lui a quel punto. Non mi ero accorta che aveva cominciato a fissarmi, e doveva aver visto tutto il fastidio per quella sostanza puzzolente. Annuii con la testa, troppo presa dal dolore per parlare. <<Dillo. Ad alta voce.>> continuò imperterrito. Gli lanciai un'occhiataccia, così corresse il tiro. <<Per favore.>> Aprii la bocca, ed a fatica mi uscii un rantolo di dolore simile ad un "Sì", che sembrò soddisfare le sue aspettative. Rimanemmo in quel modo per altri due minuti, che a me sembrarono ore, poi finalmente allontanò quella cosa nauseante da me prima che rimettessi il poco cibo mangiato la sera prima, e pulì nuovamente la ferita dai resti superficiali sulla pelle circostante. Lanciai velocemente un'occhiata, notando quanto si fosse incredibilmente schiarita rispetto a prima, e come non mi provocasse più fastidio se non un leggero pizzico. Il viso del moro entrò nel mio campo visivo, mentre si avvicinava alla ferita per soffiarci sopra, e scattai con la testa di lato, le guance calde come se avessi la febbre. Tentai di non far caso a quel che stava facendo, ma non riuscii a fermare il piacevole brivido che mi attraversò lungo la spina dorsale.
<<Scusami, ma c'è bisogno di una risposta a voce per capire se la medicazione sta facendo effetto.>> accennò lui dopo essersi finalmente allontanato. Buttò tutto quel che aveva usato finora in un sacchetto lì vicino, poi prese ago e filo. Era uno di quegli aghi medici, lunghi ed incurvati. Infilò nell'asola il filo nero e si avvicinò. Dal canto mio scattai subito all'indietro, schiacciandomi contro lo schienale della sedia e sentendola scricchiolare pericolosamente.
<<T-tranquillo, capisco.>> 'Anche se il fatto che stessi soffrendo come un cane era molto evidente' <<Ma non ti avvicinare con quel coso.>>
<<Si chiama ago.>>
<<Lo so come si chiama, idiota. Stammi lontano.>> Sogghignò alla mia reazione (secondo lui) esagerata, e si avvicinò ulteriormente. Mise la mano libera sulla mia seduta, vicino la gamba, e tenne l'altra vicino al proprio grembo. La distanza tra i nostri visi diminuì di poco, ma abbastanza da farmi vedere chiaramente il nero della sua iride.
<<Hai paura degli aghi, per caso?>> domandò palesemente divertito dalla situazione.
<<No, ho paura del filo.>> risposi sarcastica alzando un sopracciglio.
<<Non sentirai niente, lo sai? Ho usato un anestetico dopo la medicazione speciale, per farti passare quel dolore.>>
<<A proposito, perché bruciava così tanto quello stupido liquido?>>
<<Stai evitando la situazione.>>
<<Non è vero.>> Un paio di secondi di silenzio, poi sospirai. <<Rispondi alla mia domanda, poi mi lascerò cucire come un calzino vecchio.>>
<<Il tuo braccio al momento E' un->> gli lanciai un'occhiataccia che lo zittì subito, ma non riuscì a levargli il sorrisino diabolico sulla faccia. Si allontanò da me, permettendomi di tornare a respirare.
<<Contiene aceto misto ad enzimi presi da una pianta di peperoncino o chissà cosa, ha detto Taras, e servono ad uccidere eventuali tracce di veleno presenti nel corpo.>>
<<E tu hai messo del PEPERONCINO sul mio BRACCIO?!>>
<<Ehi, non prendertela con me! È stato Taras ad inventarlo.>> Mi misi una mano in faccia, stanca e rassegnata dalla sua incapacità di parlare prima di agire. <<Ed è stato un bene che ti abbia bruciato. Se fossi stata avvelenata non avresti sentito nulla, perché il tutto avrebbe agito solo sul veleno. O avresti sentito decisamente meno dolore. In conclusione, non erano frecce avvelenate quelle che ci hanno lanciato dietro.>>
<<Come avevo detto io.>> mormorai da dietro la mano. La tolsi e mi soffermai per qualche secondo su Galvorn, in attesa stavolta che gli ridessi il braccio in questione per potermelo "cucire come un calzino vecchio". Sconfitta glielo porsi, notando una scintilla di vittoria in quegli occhi scuri e concentrati. Io preferii stringere i denti e chiudere gli occhi, non volevo vedere la scena. Non perché mi impressionasse, o avessi paura degli aghi come aveva detto quel grosso idiota. Diciamo che non volevo sognarmi quella scena di notte. Come aveva detto lui, però, non sentii niente: né l'ago che trapassava la pelle, né tutto il procedimento che ne seguì. Avvertivo il respiro di Galvorn a pochi centimetri da me, ma dovendo ricucirmi era normale stesse talmente vicino. Un secondo brivido mi percorse, facendomi venire la pelle d'oca. Rispetto a quando mi aveva messo quella schifosa sostanza marrone, facendomi sentire come se avessero appiccato un incendio sul mio braccio, adesso sembrava che quella parte del corpo non venisse neanche toccata, come se fosse già guarita. Senza più nulla. Rimasi ad occhi chiusi fin quando non udii un rumore di forbici che tagliavano, e il respiro del moro allontanarsi. Presi anch'io un paio di respiri, rendendomi conto di averli trattenuti fino a quel momento, e pian piano riaprii gli occhi. Non fu poi così facile dato che la stanchezza combatteva perché restassero ben serrati, ma trovandomi il moro così vicino al viso non potei evitare di aprirli poi quasi di scatto. Indietreggiai leggermente, mettendo almeno due centimetri tra noi, ma la sua mano fu più veloce e mi bloccò. Non in maniera rude, anzi, con delicatezza. Semplicemente si poggiò sulla mia guancia, ed io mi fermai. Tenevo gli occhi fissi nei suoi, incapace di dire o fare qualunque cosa, e nonostante la posizione fosse parecchio scomoda non riuscivo a farci caso più di tanto. In quel momento, la mia attenzione era tutta concentrata sulle pagliuzze d'oro che facevano risplendere lo sguardo dell'uomo di fronte a me. Per qualche istante, tutto sembrò sparire nel nulla. Le litigate, l'avventura di quella notte, i nostri amici. Tutto. Eravamo solo io e lui, seduti in una stanza, ipnotizzati a vicenda. E sperai, chissà come, di poter restare così per sempre.
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My Life Now 2: My Own Choice
AdventureLexy è a pezzi. Non si aspettava di venir tradita dalle persone a cui teneva di più, e deve fare i conti con i suoi sentimenti e la minaccia di un nemico dalle capacità sconosciute. Si creeranno nuove amicizie, mentre l'inverno farà la sua comparsa...