Capitolo 21

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Ho lasciato trascorrere un paio di mesi nella più completa apatia. Quello che mi ha fatto Andrea ha azzerato la mia autostima. Non ho risposto nemmeno alle telefonate di Alice, non volevo parlarle, non volevo leggere nel suo sguardo la pena che provava per me.

Nei giorni che sono seguiti a quel disgraziato weekend, ho cercato di tagliare tutti i ponti con il passato recente, che mi ha ferito in maniere impensabili. Andrea ha cercato di contattarmi innumerevoli volte al cellulare e un paio di volte si è avventurata alla mia porta, bussando e piagnucolando, seduta fuori sullo zerbino, di quanto sia stata stupida. Non è servito lo dicesse, ne sono pienamente convinta anch'io e per il momento, non me la sento di avere a che fare con lei! Ho saputo poi da suo fratello (l'ho incontrato per caso un giorno al centro commerciale) che se n'era andata per un po' di tempo all'estero, per ritrovare sé stessa... okay, meglio così. Avevo timore di poterla incontrare per caso, visto che abito ancora vicino al suo appartamento. Si è dimostrata così subdola che quasi rimpiango Eva... quasi!

Continuo così la mia routine di casa e lavoro; di tanto in tanto vado a cena dai miei, senza però mai dire nulla di tutte le peripezie che mi sono capitate negli ultimi tempi: che credano pure che l'unico cruccio per me ora sia il divorzio. Non ho mai detto niente del mio orientamento sessuale ai miei genitori, col senno di poi posso dire di aver fatto bene. La mamma ha capito di sicuro che qualcosa non va, e non solo con Ale, ma non ha mai chiesto di Andrea o altro, quindi al momento posso dire grazie alla mia buona stella!

***

Mi trovo alla scrivania del mio ufficio, in un giorno qualsiasi di lavoro, quando la ragazza alla reception mi chiama, dicendo che ho una visita. Chiudendo la comunicazione senza dirmi altro, scendo all'ingresso un po' curiosa e vedo Alice lì in piedi, l'espressione sul suo volto illeggibile.

"Ciao Alice! Che sorpresa, perché sei venuta fin qui?" Il mio tono squillante e sorpreso si abbassa, quando la guardo meglio. "Tutto bene?" le chiedo preoccupata.

Mi lancia una breve occhiata, poi ha gli occhi bassi e la voce rotta, quando inizia a parlare "Ieri è morto mio padre, io..."

Tira su col naso, fermando il suo discorso a metà. Ho un peso nel cuore a vederla così, mi avvicino velocemente a lei e la abbraccio, accarezzandole i capelli. Alice in quel momento non trattiene più le lacrime e scoppia in un pianto dirotto, appoggiando la sua testa sulla mia spalla.

"Alice... mi dispiace tantissimo!" le dico con voce commossa, continuando a tenerla stretta tra le braccia, passandole leggermente la mano sulla schiena per confortarla.

Dopo un minuto sembra ricomporsi, si stacca da me e mi fissa seria per qualche secondo; poi inizia a parlare "Lui stava male Rebecca... ho provato a telefonarti, volevo parlare con te, ma non rispondevi... io sono venuta a dirti che domani ci sarà il funerale, vorrei che tu fossi lì con me..." mi dice con uno sguardo vuoto, senza emozione.

Che razza di amica mi sono dimostrata! Mi sento mortificata, svuotata dentro! Con la scusa di Andrea, ho trascurato anche lei... Vorrei fosse arrabbiata con me, invece nei suoi occhi scorgo solo tristezza. Mi scuoto un po' dai miei pensieri, mi accorgo che mi sta ancora fissando, in attesa di una mia risposta "Ma certo Alice, non devi nemmeno chiedere, ci sarò"

Il pomeriggio del giorno seguente sono al fianco di Alice e sua madre, durante la funzione funebre, in una giornata di pioggia e vento forte, che si addice perfettamente allo stato d'animo generale. La mia amica a un certo punto mi afferra la mano, stringendola così forte che ho pensato per un attimo la potesse spezzare. Ma non dico nulla, capisco che è il suo modo per affrontare il dolore... dopo un po' sento la stretta dei suoi nervi rilassarsi, ma non lascia più andare la mia mano.

Un lunedì di marzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora