La cena che ha preparato Eva è squisita, piatti semplici ma buonissimi, è davvero una brava cuoca, sicuramente meglio di me. Mi ha convinto a mettere in pausa la nostra conversazione finché non avremo finito di mangiare, ha detto che con la pancia piena si ragiona meglio... sono pienamente d'accordo.
Ceniamo chiacchierando di tanto in tanto di argomenti leggeri, ho scoperto che ha 26 anni (pensavo qualcuno in meno, li porta bene!) e lavora come cameriera in un ristorante un po' fuori città, ma sta cercando un'occupazione più seria e redditizia nel campo dell'architettura, visto anche il suo master in bioarchitettura ed ecodesign.
Sono davvero impressionata e mi complimento con Eva, lei però minimizza con una scrollata di spalle "Quando sei giovane e inizi la scuola o l'università, hai tanta voglia di imparare e di metterti in gioco, lo fai perché hai la passione che ti anima e pensi di essere tu quella destinata a cambiare il mondo con il tuo lavoro o le tue scoperte... poi però ti scontri con la vita reale e tutto si ridimensiona o si annulla, anche i tuoi sogni di una vita"
Resto un po' in silenzio, non so subito come risponderle, mi fa male sentire questo "Capisco la tua disillusione Eva, ma non abbatterti al primo ostacolo e non rinunciare ai tuoi sogni così presto! Vedrai, l'occasione si presenterà, ne sono sicura!"
"Da dove salti fuori? da una scatola di cioccolatini?" dice ridendo, per alleggerire un po' l'atmosfera, così sorridiamo entrambe e abbandoniamo l'argomento.
A cena conclusa, decidiamo di spostarci sul divano, con i nostri bicchieri di vino in mano.
"Sei davvero brava in cucina, lo potresti considerare come una professione, in mancanza d'altro..." le dico in tono scherzoso, ma sono seria, può davvero ambire a questo.
"Grazie, mi ha fatto piacere cucinare per te, non ho molti ospiti che vengono a cena, ultimamente ho fatto un po' terra bruciata intorno a me..."
"Ah, mi spiace"
"Non sei curiosa di sapere perché?" mi guarda con un ghigno appena accennato.
"Beh, se vuoi puoi dirmelo... non forzo le persone a parlare, ma dicono che sono brava ad ascoltare" mi vanto un pochino.
Prende allora un respiro profondo e inizia a parlare, abbassando gli occhi sulle sue mani, giochicchiando con le dita "Quando ero piccola c'era questa bambina che abitava un paio di case a fianco a noi, siamo sempre state amiche da quando ho ricordo... l'asilo, la scuola, le superiori... eravamo inseparabili! Per fartela breve, ho scoperto verso i 17 anni che per me era più di un'amica. Ho provato a parlarne con lei, ma è stato un grosso errore; da quel momento mi guardava come se avessi avuto la lebbra... non disse mai niente a nessuno, ma si allontanò pian piano da me, finché diventai un'estranea per lei. Finita l'università ho deciso di uscire fuori, di fare coming out, ero stanca di giustificarmi coi miei genitori e conoscenti del perché non avessi ancora un ragazzo, ero stanca di nascondere quello che ero... ma anche questo si è rivelato un altro grosso errore. Mia mamma e i miei altri parenti non mi guardano più, a malapena mio papà si degna di parlarmi..."
Io la sto guardando in silenzio con gli occhi spalancati, un sentimento di ammirazione e orgoglio verso la ragazza. "Eva, sei stata davvero coraggiosa! Ti ammiro davvero tanto, sei la prima persona in assoluto che conosco che ha avuto le palle per fare quello che hai fatto"
"Sì, beh ecco, il fatto è che dovrebbe essere normale, cazzo!" è un po' arrabbiata, la capisco, spero di non aver detto qualcosa di sbagliato, aggiungendo benzina al fuoco.
"Dovrei andare in giro con una maglietta con la scritta "sono gay" o con una bandiera arcobaleno?" Mi chiede, ma capisco che è una domanda retorica, così continua senza aspettare una mia risposta "devo aspettare che qualcuno si accorga di me? O devo fare io il primo passo, anche a costo di venire costantemente rifiutata e guardata dall'alto in basso?"
Alza allora gli occhi su di me e leggo nel suo sguardo disperazione. Mi fa pena, ma non voglio dirglielo per evitare che la prenda nel modo sbagliato.
Siamo sedute in silenzio sul suo divano, ognuna nel proprio angolo e con i propri pensieri, all'improvviso lei si alza e va a prendere qualcosa dal mobiletto in soggiorno. Torna con due bicchieri e una bottiglia di whisky in mano, e dice guardandomi "credo sia arrivato il momento di bere qualcosa di forte!"
Annuisco con la testa, pienamente d'accordo. "E credo anche sia arrivato il momento di parlarmi della telefonata di mio marito..."
"A proposito, si sta facendo tardi: devi andare a casa o...?" Eva lascia in sospeso la sua domanda.
In qualche modo devo risponderle ma non voglio rivelare troppo, così dico "Mio marito è fuori con gli amici stasera e rientrerà tardi... posso rimanere qui ancora un po', a meno che tu non mi voglia più qui!"
Torna sul suo volto il suo sorriso birichino ma non dice nulla, mi porge invece il bicchiere mezzo pieno di liquore, poi si siede sul divano, girata un po'verso di me, con una gamba piegata sotto il sedere, e inizia a raccontare "Ho ricevuto la telefonata martedì mattina, come ti dicevo... era davvero presto, probabilmente erano passati 10 minuti da quando mi ero alzata dal letto... lui non ha perso tempo in convenevoli, mi ha detto il suo nome e che era tuo marito, che tu non avevi tempo per nuove amicizie e che era meglio per me se io e te mantenevamo le distanze, altrimenti avrebbe preso provvedimenti... non ho avuto molto tempo per mettere insieme tutto, che lui aveva già riattaccato"
Per fortuna stavolta sono seduta e già con un po'di alcool in corpo, ma sono comunque disgustata dal comportamento di Ale.
Eva poi continua a parlare "Ho pensato che fosse strano, non mi sembravi il tipo che mandava avanti il marito per risolvere i tuoi problemi... poco dopo mi hai scritto un messaggio e lì ho capito che non c'entravi niente. Così ho provato a pensare perché tuo marito si era preso la briga di telefonarmi, minacciandomi velatamente... lo avevi già tradito? Ma io non sono un uomo. Forse sapeva qualcosa di te che io non potevo sapere... e in quel momento ho iniziato a sperare..." Lascia in sospeso la frase, ma capisco cosa vuole intendere.
Mi guarda negli occhi mordendosi il labbro inferiore, è scivolata più vicino a me sul divano e non me ne sono accorta? Sono immobile come un cervo accecato dai fari di un'auto, deglutendo a vuoto. Si avvicina ancora, piano piano, e la vedo chiudere gli occhi, così chiudo anche i miei di riflesso.
Non ho mai baciato una donna. È... diverso. Morbido. Delicato. Sento il sapore del suo lucidalabbra alla ciliegia. Eva mi mette una mano dietro il collo, mentre con l'altra si tiene ancorata al divano; inizia piano poi quando vede che non reagisco male, approfondisce il bacio, cercando con la sua lingua di forzare le mie labbra ad aprirsi.
Si preme contro di me, inclinandomi un po' all'indietro, e sposta le sue labbra sul mio collo. Sento la sua mano scendermi al petto, poi allo stomaco, le sue dita cercano di aprire i bottoni della mia camicetta.
Al contatto della sua mano sulla mia pelle, riapro gli occhi, come svegliandomi da un sogno. Sollevo entrambe le mie mani e, mettendole sulle sue spalle, la spingo lentamente ad allontanarsi da me.
"Credo sia meglio che vada..." dico, schiarendomi piano la voce e alzandomi dal divano.
Prendo giacca e borsa e mi dirigo verso la porta; alzo gli occhi guardandola solo un secondo, poi me ne vado. Mi ricordo sulle scale che ero venuta da lei per i soldi che mi doveva, ma a questo punto non li voglio più.
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Un lunedì di marzo
ChickLitLa vita di Rebecca scorre monotona tra il lavoro e il matrimonio. Fino a quel lunedì di marzo, quando lei incontrerà il suo destino e la sua esistenza sarà stravolta, il suo modo di vivere rimesso in discussione.