XXVI

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02/12/2018
New York, 19.36

Sono appena rientrata a casa dopo una faticosa giornata a lavoro.
Cesare ed io non ci parliamo da quasi 2 mesi, mi manca così tanto...
Ogni tanto mi capita di intravederlo nelle videochiamate di gruppo con i ragazzi ma solitamente appena rispondo alla chiamata si allontana.
Per quanto andremo avanti così?

Mi guardo allo specchio situato all'entrata e sorrido malinconica alla mia figura, vorrei che lui fosse qui con me...
Sospiro, levo il cappotto e mi dirigo verso il salotto.

Perdo un colpo quando vedo davanti a me, seduto sul divano, Tommaso.
É vestito elegantemente e solo ora noto che in tutta la camera ci sono delle candele e sul tavolino una bottiglia di vino rosso con due calici.

Ecco perché mancava a lavoro oggi...

-Cosa ci fa lei qui?- domando leggermente confusa e spaventata.

-Sorpresa...dai siediti- mi sorride lui.
Okay...

Mi siedo a debita distanza da lui che mi squadra attentamente.
-Allora...a cosa devo la visita?- domando imbarazzata guardando altrove.
-Beh, a nulla. Volevo vederti-
-Ma mi vede ogni giorno a lavoro...-
-Volevo vederti...da solo- si avvicina leggermente.
Sposto lo sguardo su di lui e vengo intimorita dalla sua espressione famelica, inizio a pensare che sia cannibale e voglia cibarsi di me...

-Ascolta, sono...- inizio.
-Shhh- mi interrompe mettendo l'indice sulle mie labbra.
-Del vino?- domanda tenendo ancora fermo il dito.
Nego con la testa ma lui ridacchia.
-È solo un bicchiere, che sarà mai- leva il dito dalle mie labbra e versa il vino nei due calici.

Mi si forma un groppo in gola e inizio a temere le intenzioni dell'uomo davanti a me.
Mi passa il calice e intimorita lo annuso, sembra del normale vino.
Lo guardo con la coda dell'occhio e vedo che lui non lo beve ancora.
Scaccio via tutte le paranoie dalla testa e bevo un sorso di vino.

Ha un sapore strano, diverso. Non sembra proprio vino...
Allontano subito quel bicchiere da me e incenerisco Tommaso con lo sguardo.
-Che cazzo ci hai messo nel bicchiere?- urlo sbattendo il calice sul tavolino.
Lui sgrana gli occhi per un secondo e poi si ricompone.
-Valery, tesoro, stai dando i numeri. Ti pare che vada a drogare la gente?- domanda pacato.
-Bevilo.- ordino ancora inferocita.
-Ma, la smetti di dire baggianate- ride poggiando il suo calice.
-Dico cazzate? Allora bevilo.-
-No! Ascolta, dimentichiamo tutto, mh?- si avvicina pericolosamente a me.
-Vattene da qui, ora.- scandisco parola per parola cercando di non guardarlo in faccia.
-Oh andiamo...- mi accarezza il braccio -...non mi trattare così, sono pur sempre il tuo capo ricordi?- sussurra al mio orecchio.
Un conato di vomito mi attraversa la gola, forse per lo schifo che provo per questo essere accanto a me.
-Vai via ho detto.- cerco di tenere la voce il più rigida possibile.
-Shhh, ormai sei sola. Il tuo ragazzo ti ha mollata...non sarebbe ora di cercare qualcun altro?- continua sempre a voce bassa.
Inizia a giocare con le ciocche dei miei capelli, il che mi riporta alla mente Cesare. Amava arrotolare le dita nei miei capelli lunghissimi.

Una lacrima solitaria scorre sulla mia guancia e Tommaso prontamente l'asciuga con il polpastrello.
-Lo ripeto per l'ultima volta, vattene.- la mia voce trema, come il mio corpo del resto.
Lui ignora completamente ciò che dico e continua ad accarezzarmi i capelli, poi le braccia e le gambe.

Sono bloccata, non faccio altro che tremare e piangere in silenzio.
Tommaso mi prende il viso con le mani e si avvicina per poi baciarmi.
Dopo qualche attimo trovo la forza e lo spingo lontano da me, alzandomi in piedi.

-Fai la difficile eh?- ghigna maliziosamente.
-Mi fai impazzire quando mi rifiuti- si alza anche lui.
Questo è malato, totalmente malato.

Indietreggio e lui mi segue fino a quando non mi ritrovo con le spalle al muro.
-Non sai quanto da quanto aspettavo questo momento, di vederti finalmente mia...- si avvicina a me e io abbasso la testa.

Mi sfiora i fianchi con quelle sudicie mani cercando di alzarmi la maglietta e nel frattempo mi lascia dei baci sul collo.
Cerco di allontanarlo in tutti i modi ma è evidentemente più forte di me.

Con la vista offuscata dalle lacrime mi guardo attorno e vedo alla mia destra il portaombrelli. Ne afferro velocemente uno abbastanza lungo e con tutta la forza e la rabbia nel mio corpo glielo suono dritto in testa, facendolo allontanare subito da me.

Lui si tocca la testa dolorante e decisa sferro altri due colpi per poi correre verso l'ingresso, prendere il cappotto e uscire da quella casa, sbattendo la porta.
Continuo a correre senza sosta, senza voltarmi indietro.
Piango, tremo ma continuo imperterrita verso la metropolitana...

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