Capitolo 21

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Edward era seduto sul suo letto in uno stato quasi di meditazione. Tutte le volte che usciva  aveva bisogno di qualche secondo di relax e di contemplazione, conoscendo ciò che lo aspettava. Emise un sospiro e si mise in piedi. Poi, a passo lento e misurato, si avvicinò al bauletto marrone, che aveva tirato fuori da sotto il letto, non appena era rientrato dal processo. Aprì quindi il lucchetto dorato – una seconda misura di sicurezza nel caso in cui qualcuno avesse curiosato nella sua stanza e trovato quello scrigno. Con gesti lenti, come se stesse aprendo un qualcosa che andasse ammirato prima di poterlo afferrare, tolse il coperchio mostrando sul volto un largo sorriso di soddisfazione: lì, di fronte a lui, si trovava una maschera nera e col becco ricurvo adornata con delle vistose lenti a specchio.

La sollevò con cautela e la portò al viso, odorandola con avidità; avvertiva ancora l'odore di bruciato. E in quel momento quei ricordi gli tornarono alla mente, come una botta di alcool, facendogli pensare all'ennesimo colpevole d'infamia che aveva spedito all'inferno con il fuoco purificatore. L'aveva comprata qualche anno prima durante un viaggio con la famiglia al carnevale di Venezia e, affascinato da tutte quelle maschere, ne aveva scelta una. Poi si era documentato su chi fossero quegli uomini che la indossavano.

Era rimasta sepolta per alcuni anni ma, quando aveva iniziato a compiere quegli atti di giustizia, si era sentito come uno di quei medici che andava a purificare gli altri e aiutava i malati. -Solo che io aiuto la società spedendo quegli abomini negli inferi – pensò, quasi ridacchiando, mentre riponeneva poi con cura la maschera nello zaino.  Dentro c'era anche la piccola tanica acquistata precedentemente quel pomeriggio.
Guardò l'orologio sulla scrivania: erano le ventidue passate. Era il momento dientrare in scena.


-


La luna era splendida quella sera: era contornata dalle stelle che le facevano compagnia  e da qualche sporadica nuvola di passaggio che, non osando nasconderne la vista, si teneva lontana, come a non voler interferire con la sua visione poetica. Bill emise un lungo respiro, raccimolando l'aria nel naso e gonfiando il petto fiero.

Chiuse gli occhi, assaporando il freddo della notte e il gelo che lo colpiva in volto, sul quale la ruvida barba faceva capolino. -La serata perfetta – pensò sicuro fra sé e sé, mentre riapriva gli occhi e si concentrava sulla porta di casa, che sentì ben presto aprirsi. Ne uscì una donna dai lunghi capelli corvini, longilinea, ma piuttosto esile, come gli era apparsa sin dal primo momento in cui l'aveva vista nelle foto.

Indossava un paio di jeans attillati che ne evidenziavano il sedere e un maglioncino scollato a forma di "v" che metteva in evidenza le curve, anche se fin troppo poche  secondo il giudizio di Bill che, da dietro un albero, la fissava come un leone con la sua preda.

La osservava mentre si avvicinava alla sua macchina per dirigersi allo speed date a cui aveva annunciato sui social che avrebbe partecipato quella sera sperando di trovare l'uomo adatto a lei. -E stasera lo troverai – affermò Bill uscendo fuori dal suo nascondiglio e prendendola da dietro. La mano destra si indirizzò verso la bocca, tappandola e facendole inalare il cloroformio di cui era fornito, mentre con la sinistra le teneva fermo il busto, sia per impedirle di divincolarsi sia per fermarla prima che cadesse a terra e farsi del male. La donna scalciò per qualche istante prima di perdere i sensi. Bill spostò rapido la mano destra e la prese per la vita con fare esperto. Inizialmente cadevano come pere cotte ma, affinando la tecnica, riusciva a capire quando afferrarle. Aprì lo sportello del passeggero e, dopo averle legato le mani e messo la cintura, lo chiuse  dirigendosi al posto di guida.  Accendendo la macchina, pensò euforico a quello che a breve le avrebbe fatto.

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