Capitolo 53

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Ti avevo telefonato con un'emozione evidente nella voce e, quando ti avevo informato, non mi avevi neppure lasciato porre la domanda che già avevi acconsentito per accompagnarmi al cimitero.

Così, dopo una notte insonne passata a rivoltarmi tra le lenzuola con un pensiero fisso e l'ansia crescente, ci siamo diretti insieme alla tomba dei miei genitori. Il percorso in macchina fu silenzioso e solo quando arrivammo di fronte al cancello in ferro battuto osasti chiedermi se fossi pronta.

Non sapevo se lo fossi o meno, ma volevo vedere ciò che era rimasto delle persone che mi avevano messo al mondo. Pertanto, con la mano stretta nella tua a infondermi coraggio, passammo in rassegna molti dei nomi incisi su quelle lastre in pietra.

«Per te com'è stato?» ti chiesi mentre continuavamo a camminare. La mia voce era flebile, però era comunque riuscita ad attirare la tua attenzione. «Intendo, com'è stato visitare la tomba di Soyeon?»

Sospirasti. Forse ti avevo chiesto qualcosa di invadente e fin troppo personale, ma ero sicura che sentendo la tua esperienza avrei trovato la forza per affrontare quella situazione.

«Soyeon è stata cremata, quindi non possiede una vera e propria tomba. Le sue ceneri sono custodite in casa dei suoi genitori» spiegasti, facendomi annuire di rimando. «All'inizio non riuscivo a sopportare l'idea che lei non ci fosse più, per questo i primi giorni dopo il funerale mi chiusi nella sua stanza con la convinzione che l'avrei vista rientrare dalla porta con il suo solito sorriso. Ovviamente, non avvenne. Quando finalmente realizzai davvero fu terribile: mi trovai a stringere tra le braccia un'urna che di Soyeon non aveva quasi niente, eppure fu l'unica cosa a cui riuscì ad aggrapparmi. Non ricordo neppure per quanto tempo piansi tenendo quel vaso il più vicino possibile a me» confessasti. «Ora quando la vado a trovare le racconto ogni cosa che mi viene in mente, come se fosse ancora qui. Sono sicuro che a Soyeon i miei racconti piacciano ancora e, magari, dovunque lei si trovi, riesca a ridere di nuovo grazie a me.»

Annuì, non riuscendo a dire altro; avevi parlato con naturalezza eppure sentivo che dire qualsiasi cosa avrebbe profanato la serenità del tuo animo. Lasciai quindi che la conversazione si chiudesse, tornando a riflettere su cosa fosse la cosa migliore da fare quando li avrei trovati. 

Poi un nome si presentò sotto i miei occhi costringendomi a fermarmi. Osservai a lungo quelle lapidi senza proferire parola; guardai con attenzioni le piccole foto che li raffiguravano: loro erano i miei genitori.

In silenzio, dopo attimi in cui mi ostinavo a rimanere immobile, ti piegasti sul prato sistemando con un cura i piccoli mazzi di fiori che avevamo preso prima di venire. Non si sentiva niente se non il leggero cinguettio degli uccelli e il suono dei motori di qualche auto in lontananza.

Quando tornasti di fianco a me, inspirai e sorrisi con gli occhi lucidi pronti al pianto, eppure riuscì a farmi forza.

«Ciao mamma, ciao papà. Lui è Jungkook, il mio fidanzato» dissi fissando le pupille su quei nomi incisi nella pietra. D'un tratto sembrava che ogni cosa fosse diventata semplice e da lì venne tutto naturale: spiegai ogni singolo particolare della nostra storia, di quello che era stata la mia vita fino a quel momento e della mancanza che avevo sentito per anni dopo aver saputo come avessi vissuto il mio primo periodo di vita.

Qualche lacrima sfuggì dal mio controllo mentre lasciavo che le parole mi travolgessero, e mi sfogai con loro raccontandogli delle mie regole e delle mi stupide convinzioni, finché non mi sentì svuotata. Finché non sentì di essere libera e finalmente completa.

Angolo me

Solo l'epilogo alla conclusione definitiva della storia. Forse sto sembrando un po' assillante, ma mi piace mettervi ansia. 

GAIA

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