Capitolo 49

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Ero seduta sul tuo letto con il mio computer sulle gambe, tu eri nell'altra stanza ad aspettare che ti inviassi un messaggio per potermi raggiungere.

Sentì la suoneria della videochiamata e risposi immediatamente.

«Misun! Piccola mia! Stai bene?» chiese in cinese mia madre, occupando tutto lo schermo con il suo volto.

«Lasciala vedere anche a me, è anche mia figlia» affermò mio padre, scostando di poco sua moglie.

«Sì, sto bene, però ho una notizia da darvi» dissi con l'ansia che cresceva a dismisura «Anzi, sono più di una» puntualizzai.

«Hanno a che vedere con l'annullamento del tuo volo?» chiese mio padre. Dalla sua espressione si poteva capire stesse aspettando solo di farmi una ramanzina e di poter ripetere che aveva sempre avuto ragione; ma riuscì a fermarlo prima che potesse iniziare.

«Darò prima la notizia brutta e poi quella bella» parlai, sorvolando sulla domanda che mi avevano fatto «Quella brutta è che ho perso il lavoro e quella bella è che sono fidanzata!» Cercai di sorridere, ma dalla mia videocamera riuscì a vedere chiaramente che quella che avevo sul volto era solo una smorfia forzata.

Ci fu talmente silenzio che per un attimo pensai si fosse bloccata la connessione, quando però mia madre mosse la mano capì che eravamo ancora in collegamento; probabilmente, per loro quelle erano state entrambe due novità difficili da affrontare. Non sapendo bene che fare, chiamai nella stanza Jungkook che immediatamente si venne a sedere affianco a me nel letto.

Come gli avevo insegnato nelle ultime settimane (anche grazie all'aiuto di Namjoon), si presentò col suo poco corretto ma comprensibile cinese.

Mio padre storse il naso contrariato, mia madre invece a vederlo si rilassò.

«Piacere di conoscerti, Jungkook» lo salutò e io mi sentì prossima alle lacrime.

Nella mia mente avevo prospettato diversi scenari, ma in nessuno di questi uno dei miei genitori gli avrebbe parlato così.

«Che ha detto?» mi sussurrasti nell'orecchio; probabilmente non avevi neppure capito avesse detto il tuo nome.

Te lo spiegai in fretta, lanciando occhiate veloci allo schermo.

«Allora, ragazzo, che lavoro fai?» chiese invece mio padre, seguendo l'esempio della mamma.

Non ero sicura approvassero a pieno la nostra relazione, ma sapere già che volevano provare a conoscerti mi riempì di gioia. Anche io, come chiunque, volevo che ai miei genitori piacessi e, anche se non ne avevo la certezza, quelle ore che passammo a conversare mi bastarono come primo passo.

Il mio problema con lavoro era passato in secondo piano anche in quel momento, però ero sicura che se non lo avessi trovato sarebbero stati loro stessi a riportarmi a casa.

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