Erano passate parecchie settimane, da quando Evander aveva trovato la famiglia di End Khan.
Lo aveva visto tutti i giorni, vestito con i semplici abiti di un operaio, recarsi in quel povero villaggio vicino alla capitale.
Tutte le mattine, prima che il sole si levasse, quando ancora la notte era nera come l'Universo attorno, End Khan, silenzioso e cauto come un'ombra, scivolava per quelle stradine deserte, piene di banchi di mercato, botteghe, case malridotte, per infilarsi poi entro una piccola porta e scomparire per qualche minuto. Le sue visite non duravano mai più a lungo di un quarto d'ora: il timore di venire scoperto era tale che l'endar poteva trovare il coraggio solo perciò che era necessario, ma non per il superfluo: il necessario era portare alla famiglia ciò che le occorreva per vivere, il superfluo sarebbe stato abbracciare la madre e la sorella e chiedere loro come stavano.
Ne usciva sempre molto più cupo e curvo di quando ne era entrato.
Vedere la famiglia in quello stato di estrema povertà e essere obbligato a trattarla come un'estranea gli costava molte energie: il giovane endar sentiva sempre più il peso di quel mantello nero che costituiva la sua prigione. Sapeva che il solo fatto di togliersi quel mantello per poco più di una mezz'ora e di sostituirlo con gli abiti di un povero cittadino costituiva un tradimento passibile di pena di morte.
Il terrore di essere scoperto era tuttavia meno forte del terrore che anche la sua famiglia venisse scoperta. Se avesse avuto la garanzia che, anche nel caso fosse morto, sua madre e sua sorella avrebbero continuato a vivere e avrebbero avuto l'occorrente per condurre una vita dignitosa, l'endar non avrebbe chiesto di meglio.
La sua condizione aveva fatto sì che si rassegnasse a vivere una vita che non gli apparteneva davvero. Non desiderava niente per sé, e si limitava ad eseguire ordini.
Questa era una condizione comune a molti endar. Ma pochi potevano vantare,alla fine della propria vita, la felicità di aver ritrovato sé stessi. Il solo fatto di aver ricordato la propria identità rendeva quell'endar più felice dei suoi compagni, sebbene lo esponesse continuamente al pericolo.
Evander era perfettamente in grado di comprenderlo.
Sapeva che, se non l'avesse colto nel fatto, l'endar non si sarebbe mai tradito con lui, che credeva essere il crudele successore di End Yvnhal, modellato su immagine e somiglianza di quest'ultimo.
Così, Evander lo aveva seguito un paio di volte, finché, un giorno, aveva deciso di entrare in quella casa, e svelare la propria vera identità all'endar, per farlo entrare nelle fila dei ribelli insieme a lui.
Vestito come un comune cittadino, entrò nella casa un attimo dopo di lui. Si richiuse la porta alle spalle e vide di fronte a sé una camera unica, dove tutto cadeva a pezzi ed era tenuto in piedi con rammendi alla buona.
Colpito da quella povertà, gli salirono agli occhi lacrime di commozione.Quella vista gli ricordò ciò per cui lottava: doveva riportare la luce sull'impero, come il suo padre adottivo gli aveva detto prima di morire.
Evander si guardò attorno, prima di abbassare lo sguardo sulle due donne e sull'endar. Quando lo fece, vide che lo stavano guardando con sospetto e paura, senza osare dire niente. Evander capì che non potevano averlo riconosciuto: era completamente in ombra ed aveva un cappuccio che impediva di vederlo in volto. Lasciò che il cappuccio scivolasse e si fece riconoscere, venendo sotto la luce della fioca lanterna in mezzo alla povera stanza.
Alla sua vista, l'endar fece un balzo indietro per il terrore ed esclamò: «Capitano!».
Le due donne, che dovevano aver compreso chi avevano di fronte dallo sguardo di sgomento comparso sul volto del giovane endar, soffocarono un grido di paura. La più giovane, che doveva essere la sorella,rimase immobile, a fissare il nuovo arrivato. Dalle sue mani, cadde il pane che il fratello le aveva appena dato.
Invece,la più anziana, la madre, dopo un momento, si gettò ai piedi di Evander, con le mani giunte in preghiera, esclamando fra le lacrime:«Vi prego, mio signore! Risparmiate la vita di mio figlio! Morivamo di fame, e lui ci ha portato del pane! Non punitelo per questo! Perdonatelo! Non ha commesso alcun tradimento nei confronti dell'Impero! Non portatemelo via di nuovo, vi prego!».
Evander rimase un momento a guardare la donna, che gli ricordava la sua madre adottiva. Proprio quando stava per parlare, sentì che l'endar diceva alla madre: «Madre, vi prego, non invocate la pietà di un uomo che non può averne. Io non temo più la morte, ora che vi ho ritrovato».
Evander alzò allora lo sguardo su di lui, e i loro occhi si incrociarono. In quelli dell'altro, Evander vide disprezzo, rassegnazione e fierezza: «Capitano Zadok, vi compiango perché non siete in grado di comprendere cosa voglia dire avere una famiglia. Io non vi temo.Uccidetemi come un traditore, io morirò senza alcun senso di colpa.Che voi possiate dire lo stesso!».
«Oh,signore, vi prego, abbiate pietà!» esclamò la più giovane delle due donne, a sentire le parole del fratello: «Non ha fatto nulla di male!».
A quel punto, Evander non riuscì a trattenersi.
Con le lacrime agli occhi, si inginocchiò di fronte alla madre del giovane endar, e disse, con voce commossa: «Non chinatevi mai difronte a me, signora: le vostre sofferenze non sono neppure paragonabili alle mie! Non sarò sicuramente io a portarvi altro dolore, e possano un giorno venire puniti coloro che ve ne hanno inferto così tanto!».
La donna lo guardò un istante senza capire. Quando finalmente comprese che il capitano degli endar si era appena gettato umilmente ai suoi piedi e che le assicurava che i suoi figli erano al sicuro e che non aveva niente da temere da lui, un sorriso di gioia le comparve sul volto rigato dalle lacrime. Prese le mani di Evander per baciarle,mentre lo ringraziava per la sua bontà.
EndKhan fissava Evander attonito, non osando credere ai propri occhi e alle proprie orecchie: mai avrebbe creduto che End Zadok avrebbe potuto inginocchiarsi di fronte ad una donna del popolo, per chiederle perdono delle colpe dell'Ordine di cui faceva parte.
Evander capì di dovergli una spiegazione. Aiutò la donna ad alzarsi, poi si rivolse all'endar e disse: «Ithan, il mio nome è Evander. Sono venuto qui solo ed esclusivamente per dirvi che non avete nulla da temere da me. Lasciatemi fare per la vostra famiglia ciò che farei per la mia se fosse ancora viva, ed unitevi a me nel tentativo di liberare Triplania dall'oppressione degli endar e dell'imperatore che essi servono».
«Capitano Zadok, voi...!?» esclamò sconcertato Ithan.
«Io non sono il vostro capitano. Ero un contadino, prima di essere un endar. E il mio nome non è Zadok, è Evander. Così come il vostro non è End Khan, ma Ithan. Unitevi a me, Ithan, e forse riusciremo a risparmiare ad altri le sofferenze che hanno inflitto a noi e alle nostre famiglie. Volete?».
«Sì! Aspettavo solamente questo momento!».
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Triplania- La rivelazione
Science FictionUltimo volume della trilogia di Evander. Zadok è stato sconfitto. Evander ha fatto ritorno. Ma non è di lui, che c'è bisogno ora: c'è bisogno di Alekym. Ritornato da pochi giorni alla vita, Evander deve mettere da parte sé stesso per diventare i...