13 - Non ho ucciso tuo padre

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«Mio dio!» mormorò Evander, bloccandosi sulla soglia. Non osò fare un passo di più verso quel fantasma dai capelli bianchi come la neve, il volto dolce, appassito, e triste, la carnagione pallida e la costituzione gracile, che lo costringeva a rimanere seduto, circondato da tutti coloro che, colmi di gioia e di amore per la sua persona, troppo presi dal mostrargli la loro felicità e la loro gratitudine, erano inginocchiati di fronte a lui, con occhi pieni di lacrime.

Dietro di lui, Mida gli sorrise: «Non ho ucciso vostro padre. Ho fatto credere a tutti che fosse morto, ma solo per salvarlo».

Evander fu scosso da un'improvvisa gioia che gli riempì gli occhi e lo spinse in un balzo a coprire la distanza che lo separava da lui. Dimenticandosi che coloro che si trovavano in quella sala, tranne alcuni, lo consideravano l'assassino proprio di quel vecchio debole e malato, gridò: «Voi siete vivo!». E la voce gli tremava per la felicità.

In un attimo, si trovò in ginocchio di fronte a lui, a baciargli le mani e ad esclamare fra le lacrime e scuotendo la testa: «Oh, Dio,vi credevo morto!».

Appena era giunto ai piedi del vecchio imperatore, tutti si erano scostati con orrore alla sua vista. Ma Evander non se ne curò. Non si curò minimamente delle esclamazioni di paura, sgomento e disprezzo che lo circondavano e lo colpivano da tutte le parti. Non si curò dello sguardo che Jayden, anche lei inginocchiata ai piedi dell'imperatore, accanto a lui, gli tenne fisso addosso per tutto il tempo che seguì.

Suo padre era vivo! Avrebbe ancora fatto in tempo ad abbracciarlo come un figlio! Non tutto era perduto!

Il vecchio, vedendolo, fece un aperto e dolce sorriso, e disse: «No, ragazzo, io non sono Dio!».

Ma Evander non lo sentiva, e continuava a ripetere fra le lacrime: «Mi avevano detto che eravate morto! Non ho potuto neppure vedervi un'ultima volta!».

E, intanto gli baciava le mani, in una gioia infinita quasi dolorosa.

«Alzatevi, Zadok, ed ora in avanti non inginocchiatevi mai di fronte a me! Io visarò per sempre grato per ciò che avete fatto per me» disse l'imperatore in tono solenne e al tempo stesso, con affetto.

Ma Evander non si alzava: le forze gli mancavano a quella gioia inaspettata e il senso di inadeguatezza che lo pervadeva di fronte all'imperatore non gli avrebbe mai permesso di alzarsi in piedi di fronte a lui.

«Oh, no! Io non sarò mai più in alto di voi, sono indegno di questo onore!» disse, con dolore, perché credeva ciò che stava provando con tutto il cuore.

«Avete combattuto con un male ancor più crudele del mio - quello degli endar - e voi, a differenza di me, l'avete sconfitto con le vostre sole forze!» esclamò l'imperatore, poi aggiunse: «Ebbene, se non volete stare in piedi di fronte a me, aiutatemi almeno ad alzarmi, ed allora saremo alla stessa altezza!».

Evander lo guardò sorpreso: l'imperatore era malato e costretto a letto da più di quindici anni! Come poteva compiere quello sforzo, solo per stare in piedi di fronte a lui? Ma a questa richiesta, non osò controbattere, e annuì, aiutò l'imperatore a sollevarsi dalla sedia e lo sorresse, prendendo su di sé il suo peso per toglierlo dalle sue gambe deboli.

Ma, appena si fu alzato, l'imperatore volle rinunciare a quel sostegno, e rimase in piedi con le sue sole forze.

Quindi si rivolse alla sala e, con tono solenne, disse: «Lasciate che io parli con quest'uomo, da solo».

A quella richiesta, le più svariate obiezioni si fecero sentire, senza alcun ritegno per la presenza dell'imperatore.

«Ma è l'uomo più pericoloso dell'impero!».

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