La città degli scrittori anonimi

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Un caldo afoso accompagnava i miei passi per le vie della città, la luce del sole splendeva sulle vetrate dei negozi, che come sempre si riempivano regolarmente di persone. Quella era una mattina più affollata del solito e ricorderò sempre quel giorno. Di certo non per quel caldo cocente, ma per gli avvenimenti che mi aveva riservato in seguito.
Quella mattina avevo appuntamento in un bar del centro, in via Arduino. Era un appuntamento al quale non potevo assolutamente mancare, e ahimè, ero in ritardo.

Era il 23 giugno di un'estate incandescente, e avevo compiuto da poco vent'anni. Lavoravo per una libreria lì nelle vicinanze, facevo pulizie e sistemavo i libri che i clienti guardavano e lasciavano in disordine. Quando arrivavo a casa, invece di riposare, leggevo qualche libro che prendevo in prestito di nascosto dalla libreria, oppure scrivevo. Non ero lo scrittore che avrei voluto essere, quello che usa frasi sofisticate o che architetta storie da capogiro, no. Io ero quello che si accontentava di scrivere qualche storiella per pura passione, quindi nemmeno mi reputavo un vero scrittore. Fino a quel giorno. Dopo quell'appuntamento cambiò tutto.
Avevo trovato un volantino in libreria sul quale c'era scritto:

-SEI UNO SCRITTORE? VUOI MIGLIORARE LE TUE DOTI? COSA ASPETTI? CHIAMAMI E NON PERDERE ALTRO TEMPO!-

Quando chiamai mi rispose un uomo con un alto tono di voce, non come se stesse gridando, la sua voce era potente, sicura. Mi diede appuntamento in un bar che si chiamava "L'ora del caffè" in centro Ivrea a pochi metri da casa mia.
Quando arrivai lì, mi guardai intorno. C'erano persone sedute a prendere il caffè, mentre chiacchieravano di calcio o di politica. Già, i due argomenti forti del momento da proporre in un bar avevano a che fare proprio con queste due opzioni, niente di meglio. Un signore invece, era fuori con l'aria di chi stesse aspettando di incontrare qualcuno.
"Eccolo, è lui." Mi dissi.

Indossava un completo bianco, aveva una camicia color beige e una cravatta nera avvolte dalla bianca giacchetta, chiusa in un solo bottone. Ai piedi indossava un mocassino nero, in pelle scamosciata. Aveva una faccia giovanile, nonostante qualche ruga testimoniasse un'età non più tenera. Aveva i capelli completamente neri, non uno bianco. Si sa però che per quelli esistono prodotti che fanno miracoli, oppure caso raro ma non da escludere, tutto merito di madre natura. Era sbarbato, i suoi occhi erano scuri, neri come ombre spettrali. Non aveva un'aria rassicurante, in quel momento il mio cervello lo associò a uno di quei personaggi descritti in qualche romanzo giallo, più precisamente al killer di un giallo, ecco.

Mi avvicinai lentamente e gli chiesi con cautela e un imbarazzante tremolio nella voce. «Mi scusi signore. Lei è Carlo?» lui mi sorrise, poi mi fece un cenno con la testa, ammettendomi la sua identità.
Ci sedemmo in un tavolino lì fuori e nell'attesa del caffè, scambiammo già qualche parola. Il mio ritardo non lo disturbò, così mi disse, e dal modo in cui mi rispose alle scuse capì che fosse stato sincero.

Era un uomo elegante, non soltanto nell'aspetto fisico, ma nel suo modo di dialogare, di esprimersi. Aveva classe, su questo non dubitai nemmeno per un secondo.
«E quindi tu sei Stefano»
«Stefano Rinaldi» precisai.
«Per me è un piacere incontrarti, sono contento che il volantino abbia attirato l'attenzione di qualcuno. Anche se solo la tua, meglio di niente però, non è vero?» continuò lui.
«Senz'altro» mi fermai un attimo senza sapere cos'altro aggiungere, ma qualcosa, come una voce interna e incontrollabile, mi fece continuare. «Io voglio diventare uno scrittore».
Lui mi sorrise, sembrava quasi divertito dal modo in cui io affrontai quell'argomento. Forse fui frettoloso, forse non sapevo ancora a cosa stessi andando incontro, e probabilmente fu quello che gli balenò per la testa prima che iniziasse a sorridermi.
«Quindi non sei uno scrittore?» Mi domandò.
Io rimasi in silenzio un istante, domandandomi se per caso mi trovassi fuori luogo. La risposta che mi diedi fu che probabilmente avevo malinteso le parole del volantino, ma anche qui fui precipitoso.
«Non hai mai scritto nulla?» Mi chiese ancora.
Esitai, poi risposi «Sì, a dire la verità scrivo. Ma non ho mai pubblicato un libro, non sono uno scrittore...».
Lui scoppiò in una risata, le altre persone presenti si girarono a fissarlo. Poi si fermò, come se non avesse mai cominciato a ridere, serio e composto.
«E chi lo dice che per presentarsi a qualcuno come scrittore, uno debba aver pubblicato qualcosa?»
In quel momento mi resi conto che fosse un'idiozia, non quello che lui stava cercando di dirmi, anzi. La mia definizione dello "scrittore". Quella sì che era un'idiozia.

Pensai che avesse ragione, che uno scrittore non debba avere per forza la popolarità dei fan al costo di essere considerato tale. Lo scrittore è... e come se mi avesse guardato dentro per leggermi i pensieri dichiarò «Lo scrittore è colui che dedica anima e tempo a creare storie, inventare personaggi, scene d'avventura e non, magari storie d'amore o gialli. Lo scrittore non è altro che una persona che scrive ecco, poi che lui ottenga successo grazie alla sua passione... beh questa è tutt'altra storia».
Non appena concluse quella precisazione sorrise ancora. In quell'istante la sua aria divenne più rassicurante. Da quel momento iniziai a non vederlo più come un killer tratto da un giallo, ma come un mentore, un personaggio che con poche parole era riuscito a farmi capire che cosa significhi realmente essere uno scrittore.

Poi però mi soffermai con il pensiero su un piccolo particolare, ovvero "il talento". Quindi gli dissi «Sono daccordo con quello che mi dice, però un vero scrittore dev'essere dotato di talento».
Lui mi guardò per un breve istante, un po' come se avesse preso a studiarmi con più attenzione. Poi aprì bocca per rispondermi «Su questo non ti posso, o meglio dire, non ti voglio contraddire... Mi spiego. Rimango fermo sulla mia opinione per quanto riguarda la definizione dello scrittore, ma uno scrittore per quanto sia incapace, fa lo stesso di chi scrive con il tocco del mago. Magari non ti è chiaro ma non tutti sono bravi allo stesso modo nello svolgimento del proprio lavoro, o sbaglio?»
Dopo quella risposta mi rassegnai e gli sorrisi in segno di gratitudine.
«E dimmi un po', cosa scrivi di solito? Qual è il genere che preferisci?» Mi domandò in seguito.
In quel momento pensai di non essere affezionato a un genere in particolare, tuttavia improvvisai o almeno fu quello che pensai di fare.
«Io preferisco le storie misteriose, che siano legate a storie d'amore o enigmi del passato. Amo i casi inspiegabili perché essi mi permettono di sbizzarrirmi per immaginare una spiegazione plausibile, che un possibile lettore potrebbe reputare credibile».
A dire il vero non mi ero inventato nulla, anzi avevo semplicemente raccontato a lui gli argomenti che amavo trattare, ma mentre glielo dicevo era come se stessi iniziando a scoprire i miei generi di scrittura.
«E hai qualcosa di tuo?» Prima ancora che io ebbi la possibilità di assimilare la sua domanda, lui continuò. «Voglio dire, hai qualcosa che tu hai scritto?»
Ce l'avevo. Purtroppo però, mi dimenticai le bozze a casa per la foga della fretta. Gli dissi che avrei potuto andare un attimo a casa per prenderle, proposta che declinò dicendomi che non c'era fretta.
«Leggendo quel volantino avrai pensato che io fossi un maestro di scrittura, giusto?»
«Beh sì» gli risposi.
«E invece ti devo correggere, io mi limiterò soltanto a dare a te qualche consiglio se ne avrai bisogno. Niente di più. A insegnarti qualche trucchetto sarà Alberto. Mi piacerebbe piuttosto, mostrarti una cosa che ti piacerà senz'altro», fece una pausa, poi proseguì «a meno che tu non abbia qualche altro impegno di fondamentale importanza».
Mi guardava con un'aria eccitata sul volto, come chi aveva creato qualcosa e non vedeva l'ora di presentarla al pubblico.
«Oggi è il mio giorno libero, non ho impegni, quindi sarò a sua disposizione».
«Molto bene giovane, andiamo allora».

Lasciò sul tavolino i soldi dei nostri caffè, fu una fortuna, perché quel giorno dimenticai anche quelli a casa.
Quindi ci alzammo e insieme andammo incontro alla sua macchina, che mi disse di aver lasciato parcheggiata lì nelle vicinanze.
Quando arrivammo, la mia unica reazione fu quella dello stupore. La sua macchina era una vettura bellissima, di gran lusso. Non una macchina lussuosa qualunque ma una Jaguar XJ6 anni 70, di un nero lucido con specchietti e maniglie cromate.
Presi posto sul sedile posteriore accanto a lui, io a destra e lui a sinistra. Un omone vestito in modo formale con giacchetta nera, si girò verso di noi, poi guardò Carlo, che gli fecce soltanto un cenno con il capo. Quindi partì.


Benvenuto/a caro lettore o cara lettrice.
Sono felice che tu abbia trovato il mio romanzo. Spero che possa essere di tuo gradimento. Ovviamente è presto per dirlo, ma andando avanti nella lettura, saprai meglio dirmi che cosa ne pensi.
Quindi non esitare a commentare e se l'inizio di questo capitolo ti è piaciuto lascia una stellina, lo apprezzerei davvero tanto ☺️

Ti auguro una buona lettura!

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