3.L'arrivo

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"Avevo bisogno di un segno, di una svolta, di un nuovo punto di partenza, di un motivo per alzarmi la mattina, con la voglia di lottare ancora."
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Senza nemmeno accorgermene, persa nei miei pensieri, arrivai a Camelot.

Era appena mezzogiorno quando varcai le mura della città, sarà stata una mia impressione ma mi sentivo già osservata.

Cercai di ignorare tutto e tutti e continuai a camminare verso il castello, a passo sostenuto, nonostante volessi correre a velocità disumana, per evitare i loro sguardi.
Ma dovevo passare inosservata.

Non ci riuscii, vedevo con la coda dell'occhio come ogni persona rimanesse a guardarmi stupefatta, un ragazzo spalancò la bocca e cercai di non badare a quello che gli leggevo chiaramente in faccia.

Accelerai leggermente il passo e dopo aver superato il controllo delle guardie, che mi squadravano dalla testa ai piedi, si accorsero di chi ero ed entrai.

Nel cortile del castello c'erano dei cavalieri ad allenarsi, non erano agili quanto mi aspettavo.

Questo mi ricordò un altro tratto che non sopportavo di questo viaggio, avrei dovuto fare la damigella indifesa dato che alle donne era categoricamente proibito essere un cavaliere.

Io adoravo combattere, era una delle poche cose con cui riuscivo a sfogarmi, l'alternativa era la musica, ma non toccavo uno strumento dalla morte dei miei genitori.

Giuro che in quel preciso istante ero tentata di aprire le ali e tornare a Staillars.
Ma la sola idea di fare un torto a mia madre mi fece muovere verso l'entrata di quel castello.

Ignorai completamente i cavalieri, sperando che non mi notassero. Speranze andate vane un istante dopo, quando uno di loro si staccò dal gruppo e si avvicinò di qualche passo. Proprio verso di me.

"Ehi bella ragazza che ci fai qui, ti sei persa?" Disse, con un sorriso di cortesia.

Era un ragazzo di stazza grande e relativamente muscoloso, con un tono tra il gentile e il circospetto.

Ero rimasta a fissare il portone d'entrata, sebbene mi fossi fermata, ero tentata di proseguire spedita. Come se non lo avessi sentito.

Ma dolente... Mi girai verso di lui. Lo guardai meglio, aveva dei grandi occhi verdi in contrasto con i capelli neri, e corti quasi raso pelle.

Io ebbi qualche difficoltà a parlare, non mi andava perchè sicuramente sapendo chi ero mi avrebbero trattata in modo 'diverso' come una regina, per l'appunto, quindi optai per il vago.

"Salve." Accennai un sorriso di cortesia come lui. Poi continuai con indifferenza:
"Non mi sono persa, dovrei parlare con il Re, Uther Pendragon, o con suo figlio Artù." Risposi.

Un ragazzo dal fondo, quello che stava combattendo prima, si avvicinò a me e mi guardò, poi togliendosi l'elmo fece un sorriso amichevole.

È alto e biondo, con due occhi blu cielo, sicuramente avrà molte pretendenti con quel suo fascino spavaldo, ma non mi attira per niente, lo trovo quasi monotono.

Ci mise un po' ma alla fine parlò:
"Io sono Artù Perdragon, il figlio del re, come mai devi parlare con mio padre? E soprattutto, tu chi sei?"

Ecco la fatidica domanda che avevo cercato di evitare, dovevo rispondere per forza, ero ad un vicolo cieco, e sapevo quanto gli umani fossero sospettosi su di noi, anche non sapendo chi, o meglio dire, cosa fossimo.
Il loro istinto di sopravvivenza li spingeva a starci lontano. A non fidarsi mai completamente.

E così il lupo si innamora dell'agnello...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora