𝑷𝒓𝒐𝒍𝒐𝒈𝒐

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Non so cosa fu che me la fece amare, se i suoi occhi più luminosi del mare più limpido, se il suo sguardo indecifrabile, le sue maledette labbra piene e invitanti, il suo corpo dannato e tentatore

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Non so cosa fu che me la fece amare, se i suoi occhi più luminosi del mare più limpido, se il suo sguardo indecifrabile, le sue maledette labbra piene e invitanti, il suo corpo dannato e tentatore. O se le sue gambe lunghe e provocatrici che mi stuzzicavano gli occhi e mi facevano fremere le mani dal bisogno di toccarle. Giuro che non so nemmeno quando mi resi conto che ormai la mia condanna era stata decisa e la mia punizione inferta. Avevo occhi solo per lei. Per i suoi capelli biondi come il grano maturo, gli occhi celesti come il ghiaccio, e le sue dita sottili che mi sfioravano rendendomi pazzo.

Ma lei non era mia, lei non era di nessuno. E forse mai lo sarebbe stata. Perché il mare non lo controlli, non puoi domarlo, metterlo in catene. Ma mi ero illuso di poterlo contenere, o forse fu proprio lei che me lo fece pensare, che potessi essere in grado di arginarlo.

Ma poi capii e mi resi conto di quando incominciai a faticare per restare a galla in quel mare in tempesta. Quando capii che la sua libertà era la sua essenza.

E quanto a me, che ignoravo che immergermi in quel mare cristallino non fosse una semplice nuotata, che ignoravo che l'aria non l'avessi dovuta solamente trattenere sott'acqua e che le onde ti potevano insegnare più di mille schiaffi, posso solamente dire che dopo averla guardata negli occhi, il mare sarebbe per sempre stato dentro di me.

Il mare dà e il mare toglie.

E a me ha dato tanto.

Mi ha fatto capire che dopo ogni marea, le onde che avevano divorato ingorde la spiaggia, sarebbero sparite lasciando al loro posto le conchiglie più belle che il mare calmo teneva nascoste o ne insabbiava la loro bellezza offuscandole con il suo luccichio.
Perché solo così capisci quanto una cosa abbia valore. Perdendola per poi, forse chissà, ritrovarla galleggiare con te.

E più il tempo passava, più le onde nei suoi occhi mi facevano annegare in essi. Dandomi tanto e togliendomi tutto.

E non so cosa lei vide in me, ma la sua mente mi attrasse come la più spietata delle sirene ed io non fui in grado di evitare che mi trascinasse sempre più giù, lasciandole fare ciò che le onde dettarono.

Probabilmente la risacca prima o poi ci avrebbero consumato, lasciando emergere i rottami di noi stessi senza più celarci al sole, nelle profondità dei suoi abissi. Ma cosa può uno squalo che ha perduto l'orientamento, contro il mare che continua a infrangersi sugli scogli nonostante le tempeste di cui è vittima?

Ma una cosa la so, almeno una. Io ci sarei annegato in quegli occhi, in quel mare agitato, ma loro sarebbero sopravvissuti al vento che li scuoteva, perché non si può impedire al mare di prendere ciò che è suo o di imporgli dei limiti.

Una cosa mi sento in dovere di dire ancora, riguardo ad esso.

Guardalo bene, scruta quegli abissi così infondo da perderti nel buio e non ti lasciare mai dominare dalla risacca, dal primo ostacolo che ti afferra per le gambe e ti fa credere di non essere in grado di andare oltre. E quando crederai di essere in alto mare e che le onde ti stiano travolgendo, prendi un bel respiro profondo ma non chiudere mai gli occhi. Quelli tienili sempre aperti, perché sta a te trovare un modo per non annegare.

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𝑪𝒐𝒎𝒆 𝒔𝒂𝒍𝒆 𝒔𝒖𝒍𝒍𝒂 𝒑𝒆𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora