"Mi tormentava il fatto che nessuno mi somigliava e io non somigliavo a nessuno. 《Io sono solo, e loro sono tutti》 pensavo, e mi mettevo a riflettere." Fëdor Dostoevskij.
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Elia
Mi risvegliai a pezzi, il collo mi faceva un male cane e la schiena era fottuta. Le ginocchia stese sul pavimento formicolarono quando provai a muoverle. Di scatto realizzai cosa mi avesse fatto svegliare e voltai il capo verso di lei.
I suoi occhi di ghiaccio erano già spalancati, i capelli le nascondeva parzialmente il viso ma sembrava che non la infastidissero. Non sapevo cosa avrei trovato al mio risveglio, se mi avesse cacciato via, se il suo letto sarebbe già stato vuoto o se avrebbe scelto di fare finta di niente. Certo non avrei immaginato di trovarla a giocherellare con le mie dita. Come si rese conto che mi fossi svegliato alzò di poco lo sguardo e mi osservò da sotto le ciglia chiare.
Non disse nulla, rimase ad analizzarmi. Il suo volto a pochi centimetri dal mio, rilassato sul materasso, i capelli le pendevano di fuori toccando quasi il pavimento. Quando voltai di poco il capo verso il suo viso i nostri nasi furono a una distanza irrisoria. Sentii il bisogno di cederle spazio, l'ultima cosa che desideravo in quel momento era che si sentisse a disagio o spaventata.
Perciò lasciai il mio braccio steso sul letto, vittima del suo tocco delicato, arretrando però di qualche centimetro con il resto del corpo. Non mi schiodò gli occhi di dosso nemmeno per un istante, sembrava che stesse analizzando la sua preda per capire come meglio attaccare.
Una smorfia mi si dipinse sulle labbra quando mossi il collo indolenzito, rimasto troppo tempo in una posizione scomoda. Non mi ero mosso di un millimetro. Il capo rilassato contro il bordo del suo letto, il braccio libero sull'addome e il culo per terra. Tutta la notte.
"Sai..." La sua voce per poco non mi spaventò, quasi come se mi aspettassi non altro che silenzio. "Io non piango mai per me stessa. Lo ritengo frivolo, posso farne a meno. Non serve a nulla, è un bisogno primitivo e di poco conto che non fa altro che causarmi il mal di testa e farmi credere che i miei problemi siano più seri di quello che in realtà non sono. Li posso gestire, so di poterlo fare, e mi limito a farlo." Rimasi immobile senza emettere un fiato mentre l'ascoltavo parlare di sé come se stesse semplicemente esponendo un quadro o spiegando una nozione basilare.
Mentre se a me in quel momento mi avessero chiesto chi fossi, non avrei saputo rispondere. Perché tutto verteva intorno a ciò che aveva scelto di concedermi.
Come se lei fosse diventata improvvisamente l'unica luce presente nella stanza capace di non farmi sprofondare nel buio.
Vittima dei suoi occhi e carnefice della mia anima.