Calcio di inizio

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Capitolo 11

Così hanno decretato gli dèi.
Che, nel perdersi, ciascuno
possa ritrovare se stesso.

Che, nel perdersi, ciascunopossa ritrovare se stesso

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☀️

Quando mi sedetti a tavola, lo sguardo mi scivolò spontaneamente sul volto rilassato di Laura. Stava riempiendo il piatto di Giulio con delle patate al forno mentre parlava con mia madre di qualcosa che non fui in grado di ascoltare, con la mente ancora ferma alla confessione di Lorenzo. Persa tra pensieri e vecchi ricordi.

"Lelè! Torna qua."

Arrestai la mia corsa di botta sulle mie gambine corte e i capelli sciolti mi frustarono il viso. Mi voltai e scacciai delle ciocche biondissime che mi erano finite tra le labbra, tutte ingrovigliate tra loro e annodate persino sulla testa.

Le rivolsi un sorrisino innocente, sdentato, e lei non seppe resistermi. Si sciolse vedendomi sorridere per lei, con quei dentini mancanti che rendevano il mio sorriso buffo. Mi strinsi nelle spalle e con le braccia dietro la schiena presi a dondolare sul posto. Lei era a una cinquantina di menri da me, con le mani sui fianchi a cercare di riprendere fiato, leggermente ricurva sulle ginocchia e con il volto arrossato. Io invece ero una bomba piena di energia, alta non più di un metro e non pesavo più di venticinque chili. Eppure ero già un diavoletto.

Avevo sei anni e facevo dannare i miei genitori perché dormivo un massimo di sei ore al giorno, e le restanti ero una batteria inesauribile che scorrazzava in ogni dove e saltellava ovunque, facendo di tutto.

Quella mattina in particolare, sembrava proprio che un demone avesse posseduto il mio corpo irrorandolo di energia.

Eravamo andati al mare prestissimo così da essere a casa quando il sole sarebbe stato più alto e avevamo già pranzato tutti insieme. Ma io proprio non riuscivo a stare ferma. Così, mentre tutti si riposavano un po', io ero scesa in giardino, con la mia gonnellina gialla, una canottierina bianca con delle farfalle rosa e i piedini scalzi.

Credo mi avesse visto da una finestra ed era spuntata sul portone con il terrore negli occhi nascosto dietro la sorpresa.

"Lelè vieni qua, dai!" Mi incitò ad avvicinarmi a lei mentre, stanca, si lasciava ricadere seduta su una sedia in vimini bianca.

Sputacchia dei capelli che erano rimasti incastrati nell'angolo della bocca e timorosa la raggiunsi.

"Sei arrabbiata...?"

"Ma certo che no, tesoro mio." Si alzò e mi prese in braccio per farmi sedere sul tavolo nel quale eravamo soliti cenare. "Mi sono solo preoccupata che potessi farti male." Mi accarezzò il volto e mi diede un pizzicotto sulla guancia.

𝑪𝒐𝒎𝒆 𝒔𝒂𝒍𝒆 𝒔𝒖𝒍𝒍𝒂 𝒑𝒆𝒍𝒍𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora