Don't Forget Where You Belong

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Quelle parole riempirono la stanza e mentre ripensavo insistentemente a cosa avessi sbagliato gli esaminatori se ne erano andati lasciandomi affogare nella delusione.

Non riuscivo ad alzare lo sguardo da quelle Jimmy Choo in cui mi ero infilata due ore prima uscendo di corsa.

Quando alzai lo sguardo verso Ariette notai che aveva gli occhi fissi sullo schermo della sala riunioni che ancora proiettava i miei scatti, avevo scelto le dieci foto che meglio racchiudevano il mio percorso di crescita nella grande metropoli: le più belle trasmettevano tutto il dolore che avevo provato durante alcune notti subito dopo il trasferimento, dolore per la mancanza  delle persone più care, altre erano completamente l'opposto.

Una corsa sulle montagne russe fatta di alti e bassi che però era arrivata a termine, lo svago era finito ora sarei dovuta tornare con i piedi per terra e accettare che la fotografia non avrebbe potuto mai diventare un lavoro.

«Grazie per l'opportunità, davvero è stato bello lavorare per te»

Le servì qualche minuto per realizzare cosa stesse davvero succedendo e quando capì che ormai non c'era più niente che lei potesse fare per aiutarmi, corse verso di me chiudendomi in un abbraccio che trasmetteva tutto il suo dispiacere.

La strinsi a mia volta incurante del fatto che fosse il mio capo, anche se oramai non lo era nemmeno più. 

«So di averti delusa, alla fine succede sempre con tutti. Mi dispiace.»

Sapevo di aver deluso anche tutti quei parenti un po' bigotti che mi avevano detto sin dall'inizio che stavo sprecando tempo e soldi con quel mio stupido sogno e questo era davvero frustante.

«Avresti meritato quel posto, anche se i loro le faremo sapere sono un modo carino per dire che non c'è l'hai fatta magari questa volta devono davvero pensarci.»

Provò a convincere più se stessa che me, ma non cambiavano le cose: ero fuori.

Piansi per tutta la sera, anche mentre prenotavo un biglietto che mi avrebbe riportato a Torino dove avrei passato il Natale in famiglia.

Erano circa le dieci quando decisi che forse era il caso di avvisare uno dei pochi amici che mi ero fatta in quel lungo anno nella bellissima New York, presi le chiavi e la borsa e mi diressi al locale dove Ben lavorava.

«Ma guarda guarda, chi si vede! Pensavo fossi morta, sai è un mese che non ti fai sentire iniziavo a preoccuparmi tesoro!»

Ecco la solita felicità di Ben che riusciva a contagiarti sempre o quasi, perché quella volta nemmeno lui sarebbe riuscito a consolarmi e se ne accorse.

«Okay» disse prolungando l'ultima lettera,
«Tesoro che ti è successo sembra sia morto qualcuno...»

«Peggio» esalai alzando gli occhi al cielo per evitare che altre lacrime inondassero i miei occhi ormai troppo rossi e gonfi.

«E' così grave?» si avvicinò a me mettendomi una mano sulla guancia.

«Non c'è l'ho fatta, forse non ero davvero all'altezza».

Puntai finalmente lo sguardo su di lui che era incredulo, aveva gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, la voce gli era come sparita, sapevamo tutto l'uno dell'altro, e lui, forse più di me era consapevole di quanto ci tenessi.

«Cosa ti hanno detto?» Sussurrò a stento.

«Ritorni a casa, le faremo sapere.»

Recitai le esatte parole che quell'uomo era riuscito a dire senza far trasparire alcuna emozione.

All for you  ||Z.M|| (Wattys 2022)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora