Capitolo 2

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Demet tornò in camera. Per la foga di arrivare alla reception prima di quell'uomo, aveva lasciato la porta spalancata, e sperò di non ritrovarsi nessun'altro sconosciuto all'interno della stanza. Afferrò il suo zainetto e rientrò in bagno, chiudendosi la porta a chiave.
Poco dopo sentì l'uomo ritornare. Non si erano presentati e Demet non voleva neanche sapere chi fosse. Avvertiva solo il bisogno godersi la sua vacanza. In santa pace.
Aveva appena indossato la biancheria quando sentì bussare alla porta del bagno.
<Sei ancora lì dentro?> borbottò lui. Demet era tentata di non rispondergli ma alla fine cedette a quest'impulso. <Si!>
<Dovrei utilizzare la toilette> disse lui, appoggiando la mano al muro. Demet sogghignò. <Usa il balcone!>
Can alzò gli occhi al cielo, nessuno si era mai permesso di rispondergli così. Aveva trent'anni ed era a capo di un'importante azienda. Tutti i dipendenti gli portavano rispetto, delle volte, facendolo sentire fin troppo vecchio, come se stessero parlando ancora con suo padre.
Si spogliò e indossò una camicia bianca e dei pantaloni eleganti, infilò le scarpe poi si voltò verso la porta. Avrebbe usato il bagno pubblico posto vicino l'ingresso dell'hotel. Non poteva più aspettare, l'orario fissato con i suoi clienti era a momenti.
La sera era calata e il sole stava tramontando, dipingendo il cielo come in una tela. Can si allontanò, diretto verso il ristorante.
Demet, non sentendo più l'uomo, tornò a prepararsi. I capelli erano lunghi, neri come la pece e ci impiegò parecchio tempo ad asciugarli. Le ciocche tinte di rosa erano ormai sbiadite e avrebbe dovuto ripassare il colore il prima possibile. Quando uscì dal bagno e capì di essere sola si lasciò scivolare via l'accappatoio e indossò un abito corto nero e ci abbinò un paio di sandali alti. Si truccò leggermente poi guardò l'ora. Il suo stomaco brontolò e decise di andare a cenare.
Il ristorante era un'ampia sala con molti tavoli in legno sparsi in giro. Le sedie si abbinavano al tavolo perfettamente decorato con una tovaglia color petrolio ed uno splendido centrotavola composto da conchiglie e candele profumate al cocco. In fondo era stato allestito un lungo tavolo dove calde pietanze fecero venire l'acquolina in bocca a Demet. Scansò un bambino e prese un piatto poi iniziò ad osservare le varie portate. Si fermò di fronte le köfte e prese il cucchiaio per servirsi, qualcuno però afferrò la sua mano. Quando alzò lo sguardo, si trovò due grandi occhi castani che aveva conosciuto da poco.
Can le sorrise e lasciò che si servisse per prima. Demet stette in silenzio e iniziò a riempirsi il piatto, poi si allontanò e andò a prendere delle verdure grigliate. Can andò dall'altro lato del tavolo e si riempì ancora un po' il piatto, poi prese posto al tavolo prenotato e osservò attentamente la porta d'ingresso del ristorante. Quando i suoi clienti entrarono, sfoggiò il suo miglior sorriso, quello che utilizzava per conquistare le donne e gli acquirenti per l'azienda.
Un quarto d'ora dopo, Can aveva già ammaliato i suoi clienti, inducendoli a firmare i contratti il giorno dopo. Finì di cenare in compagnia degli uomini, poi andò a festeggiare al piccolo bar. Ordinò da bere e si rilassò, sbottonandosi i primi bottoni della camicia.
<Posso sedermi?> chiese Demet, osservandolo.
Era un bell'uomo, alto e dal fisico atletico. La camicia bianca gli evidenziava le spalle allenate e i muscoli delle braccia. Portava i capelli corti, sistemati da del gel e la barba rossa era ordinata e non troppo folta. Gli occhi erano scuri sotto le folte ciglia, le guance scavate e le labbra sottili. Demet continuò a studiarlo, non lo conosceva e questo attivava in lei un campanello d'allarme.
Da piccola, suo padre le aveva insegnato ad autodifendersi dai ragazzi, e quegli insegnamenti gli sono stati molto utili nel tempo, sperò tuttavia di non dover fare tesoro dei segreti rivelati dal padre. Si voltò ad osservare la terrazza, in cielo, dove la luna faceva da padrona, contornata da migliaia di lentiggini luminose. Si perse nel chiaro bagliore di quella notte, poggiando la mano sotto il suo mento.
Can la guardò. Era una bellissima donna dal corpo minuto e dai lunghi capelli scuri. Gli occhi magnetici, le labbra carnose. Si voltò anche lui verso il terrazzo e osservò il cielo plumbeo.
Un cameriere si avvicinò al loro tavolo con un sorriso gentile in volto. <Posso portarvi qualcosa?>
Can annuì. <Ci porti due bicchieri di vino bianco. Fresco>
<Un solo bicchiere. Per me dell'acqua naturale con una fetta di limone!> lo corresse Demet. Il cameriere sorrise è si dileguò, lasciando i due soli.
<Non bevi alcolici?> domandò Can, curioso. Demet scosse la testa, incuriosendolo ancor di più.
<Perché?>
<Perché devo essere sempre lucida e osservare tutto e tutti...>
Can guardò Demet, pensò stesse scherzando ma la ragazza aveva lo sguardo serio e non accennava a sorridere.
Non aveva conosciuto mai una donna così. Era forte, coraggiosa e a tratti misteriosa. Era intrigante, sfuggente.
Il cameriere arrivò, portando le bevande e i due stettero in silenzio, a godersi il silenzio del ristorante quasi vuoto.
<Torniamo in camera?> chiese Can quando entrambi i bicchieri furono vuoti, Demet annuì e prese la sua borsetta mentre Can diede la mancia al ragazzo che li aveva serviti.
Uscirono dal ristorante e passeggiarono silenziosamente verso le camere. Cambiarono strada, ritrovandosi in un piccolo salone dalle pareti bianche e dalle grandi vetrate, ornate da lunghi drappeggi in seta dal color azzurro mare. Al centro di esso c'era uno splendido piano in legno lucido. Demet si fermò ad ammirare lo strumento, accarezzandone i tasti.
<Sai suonare il piano?>
Demet si voltò verso Can. <No, ma amo cantare...>
Can annuì e si mise seduto di fronte il piano, sfiorò alcuni tasti poi iniziò a suonare.
<Io ho studiato pianoforte quando ero piccolo, ricordo ancora qualcosa ma ammetto di essere arrugginito...> ammise Can, continuando a suonare <Hai riconosciuto la melodia?>.
Demet annuì: l'armonia era lenta e malinconica e provocava i brividi. Iniziò a cantare e Can l'osservò sorpreso: Demet aveva una voce leggera, delicata. Quando la canzone finì entrambi si guardarono e si sorrisero poi Demet distolse lo sguardo da Can e fece scomparire il riso sul suo volto.
Ripresero a camminare fra il silenzio del corridoio, poi entrarono in camera.
<Io dormo nel letto, tu puoi usare il divano...> disse Demet, sostando le coperte e sistemando meglio il cuscino.
Can sbuffò. <Perché dovresti prenderti il letto? Ed io il divano?>
Demet ignorò le domande.
<Se non ti piace il divano c'è sempre la vasca da bagno...> trillò Demet, pensierosa <o il pavimento!>
Can si avvicinò al letto e si distese, incrociando le braccia al petto <Abbiamo pagato entrambi per la stanza ed entrambi utilizzeremo il letto!> disse. Demet alzò gli occhi al cielo, prese il suo zaino e si chiuse in bagno per cambiarsi. Can intanto si spogliò e indossò un paio di pantaloncini della tuta e una maglietta nera. Aspettò che Demet uscisse, poi entrò in bagno.
Lei sistemò i suoi vestiti sulla panca e si guardò allo specchio. Indossava dei pantaloni morbidi del pigiama e una maglietta corta. Raccolse i capelli e si sistemò nella parte sinistra del letto, dove la vetrata mostrava il luccichio della luna sul mare.
Quando entrambi furono a letto si girarono dalla parte opposta, così da darsi le spalle.
<Non starmi troppo vicino!> asserì Demet. Can annuì.
Nessuno diede la buonanotte e, poco dopo, entrambi caddero in un sonno profondo.

Il raggi del sole risplendevano nella stanza, abbagliandone ogni angolo e arrivando dritta sui volti dei due giovani. Anche oggi avrebbe fatto caldo ma in mattinata un leggero venticello fresco muoveva le tende, facendo rabbrividire Demet.
Can sentì un leggero movimento e aprì gli occhi. Sbatté ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce del sole e osservò la ragazza fra le sue braccia.
Demet era poggiata sul suo petto e le sue mani piccole erano poggiate sulle braccia di lui. Can invece le circondava i fianchi e le loro gambe erano incrociate. Demet dormiva beatamente e lui si fermò ad osservare il suo profilo sereno. Era da tanto che non dormiva con una donna. Chiuse gli occhi e provò ad addormentarsi. Non ci riuscì perché, poco dopo, Demet si svegliò e notando la posizione troppo intima che aveva con l'uomo, gridò forte, spaventando Can a tal punto da farlo cadere dal letto.
<Perché mi stavi abbracciando?> borbottò lei, guardandolo male. Can si massaggiò il fianco dolorante <Sei tu che eri abbracciata a me!> borbottò, alzandosi da terra e rimettendosi sotto le coperte.
<Ti avevo detto di non starmi troppo vicino!>
Can non rispose e si rimboccò le coperte, scoprendo Demet. Lei tirò la trapunta sul suo corpo, svelando lui. Nessuno dei due prese più sonno; un'altra giornata era iniziata.

[Buongiorno, spero che il nuovo capitolo vi piaccia! La canzone, suonata e cantata da Demet e Can, s'intitola İki Yabancı ed è il brano di Teoman.
Mando un grosso augurio a tutte le mamme!]

HOLIDAY canto d'amore [Can Yaman e Demet Özdemir ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora