Capitolo 9

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L'ospedale ergeva davanti a Demet. Era imponente e il velo di nuvole che nascondeva il sole lo rendeva più cupo di quanto fosse. Provò a incamminarsi verso l'ingresso ma i suoi piedi sembravano essersi incollati all'asfalto. Prese un bel respiro e provò a darsi forza e, a testa basta, riuscì ad entrare nella struttura.
Si moriva di caldo e l'aria era irrespirabile; sapeva di disinfettante e quando si affrettò a raggiungere il piano interessato - ormai non le serviva più chiedere informazioni al personale, sapeva dove trovare la stanza - sentì aleggiare nell'aria una nube di tristezza.
I volti delle persone che sostavano sul corridoio erano tesi, invecchiati dal dolore. Una bambina dalle lunghe treccine rosse stava colorando un libro da disegno, stringeva forte la mano di una donna, donandogli sollievo in quella giornata plumbea. Demet avanzò ed entrò nella terza porta a sinistra.
Tutto era immutato, sembrava che il tempo non scorresse mai; eppure le lancette dell'orologio posto sulla parete spoglia della stanza ricordavano a Demet che non era così. Si sentiva intrappolata ogni volta che metteva piede in questa camera. Quattro anni, erano passati quattro lunghi e interminabili anni da quando Demet ebbe l'incidente. Quattro anni da quando Özgür, il suo fidanzato, è entrato in coma. L'infermiera salutò Demet poi uscì dalla stanza, lasciandola sola con il suo Özgür. Sistemò i fiori che aveva portato nel vaso e buttò quelli vecchi e secchi. Aprì le tende e la luce invase la camera buia poi prese la sedia e si sedette vicino al ragazzo.
Lo guardò e si sentì in colpa. Perché avevano bevuto così tanto quella sera? Perché si erano messi in macchina sapendo di correre un grosso e tragico rischio? La colpa era solo sua, si disse Demet, dopotutto era lei alla guida, e la pioggia non migliorava la visione della strada. Eppure loro due erano partiti. Ed avevano avuto un terribile incidente.
La vita è strana: a volte ti da' tutto, altre volte riesce a levarti ogni cosa. È questo che è successo a Demet e Özgür. Un'attimo prima si stavano scatenando in discoteca, quello dopo si erano ritrovati entrambi sballottati nella loro piccola auto, accartocciati dal dolore.
Lui non si è più risvegliato. La botta alla testa è stata troppo forte ed ha complicato la sua guarigione. Aveva subito troppe lesioni interne, forti danni celebrali. Poi entrò in coma e da allora nulla era più stato come prima.
In ospedale Demet non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo; era confusa,imbottita di farmaci per il dolore. Eppure lei era sveglia e riportava solo futili ferite. Non le preoccupavano i tagli, né i lividi. Il suo dolore era psicologico, e fu questione di giorni prima che perse totalmente il controllo di sé.
Demet accarezzò delicatamente il volto di Özgür: aveva il viso scavato, due labbra sottili e occhi azzurro cielo. Le mancava perdersi fra quelle gemme preziose, non le aveva più viste. Il suo ragazzo dormiva, immobile, accanto a lei. Demet riusciva a controllarsi e a non impazzire solo guardando il ventre di Özgür alzarsi e abbassarsi debolmente, segno che ancora non l'aveva lasciata. Il tintinnio meccanico della macchina al fianco del letto infastidiva Demet. Provò a ignorarlo, ma non ci riuscì. Ogni suono le rimbombava in testa, confondendola.
Özgür sembrava esser caduto in un sonno eterno e, per quanto avesse sperato che un bacio potesse salvarlo - come nel film de La bella addormentata nel bosco - la vita non funzionava così. Era tutto molto più complicato, meno fiabesco.
Demet rimase per tutto il tempo di visita, gli raccontò le novità, poi uscì dall'ospedale e montò in sella della sua moto. Aveva un compleanno a cui andare...

***

La festa si teneva a casa di Can. Demet parcheggiò la moto sul vialetto e camminò lungo il viale ciottoloso. Una leggera musica soft riecheggiava, rilassando l'aria serale. Appena Demet individuò i primi invitati, drizzò le spalle e si spostò i capelli all'indietro. Non sapeva come comportarsi, non dopo aver trovato tutte quelle informazioni su di lei. Can non le aveva spiegato nulla e lei era troppo infuriata per sentire le sue futili scuse. La realtà, si disse Demet, è che Can voleva controllare la sua vita. Altrimenti perché scavare così tanto in fondo? Il cuore di Demet batteva incessantemente mentre osservava, nascosta dietro un arbusto, il giardino addobbato per la celebrazione della festa. Tavoli in ferro con sedie abbinate erano sparsi in tutto il giardino. Enormi centrotavola dai colori tenui abbellivano la tavola apparecchiata perfettamente. Intorno alla piscina erano state sistemate molte candele e qualche lanterna riscaldava la serata.
<Forza Demet, puoi farcela!> borbottò Demet a sé stessa poi a grandi falcate raggiunse la festa. Alcuni invitati si girarono dalla sua parte. Non sopportava essere guardata da tutte queste persone snob e sperò di non dover conversare molto con loro. Sorrise strafottente a due signore e avanzò verso il gazebo.
Non conosceva nessuno. Solo Deniz. E Can, ma con lui non voleva avere nulla a che fare. Sospirò mentalmente quando Deniz la raggiunse correndo. Demet spalancò le braccia e abbracciò forte il bambino.
<Fatti vedere, sei così elegante!> disse lei, pizzicando le guance del bambino. Lui sorrise e Demet gli scoccò un tenero bacio sulla guancia.
<Anche tu sei bellissima. Vieni! Ti presento alla nonna> disse lui, prendendo la mano di Demet. Sotto il gazebo c'era un tavolo più riparato. Demet incontrò subito lo sguardo di Can. Si guardarono a lungo. Lei lanciava occhiate torve, lui si limitava a perdersi nei suoi occhi. Can pensò che non sarebbe venuta, eppure era lì con loro. La nonna di Deniz era bellissima e Can aveva preso tutto da lei. I suoi lunghi capelli castani ricadevano in onde morbide sulla spalla e il sorriso era tinto di rosso. Era vestita con un abito dall'aria costosa e indossava sandali particolari ma comodi.
<Nonna, ti presento Demet, la mia amica!> disse fiero il piccolo, sorridendo.
<Salve signora e buon compleanno, tutto è impeccabile! > disse Demet. La donna la ringraziò e si avvicinò per salutarla. <Chiamami Gizem e dammi del tu. Sono così felice che tu sia venuta. Deniz mi ha parlato molto di te, al contrario di mio figlio!> dice lei, rivolgendo un'occhiataccia al figlio. Demet rise falsamente.
<Strano! Eppure il signor Can è molto incuriosito dalla vita che conduco!> trillò tagliente Demet, guardando Can. Lui serrò la mascella e la guardò male, lei invece gli dedicò un sorriso sghembo.
<Strano!> disse pensierosa la donna, poi tintinnò il coltello su un bicchiere in cristallo per attirare l'attenzione di tutti i presenti e invitandoli a prendere posto.
<Tu prenderai posto al mio fianco, ho molta voglia di conoscere l'amica del mio unico nipotino!> cinguettò Gizem, stringendo dolcemente la mano di Demet. Deniz prese posto al suo fianco. Can di fronte a lei. E la cena iniziò.
Molte pietanze vennero servite da un catering eccellente: Demet aiutò Deniz a tagliare la carte e gli rubò una patatina, provocando il broncio del bambino. Gizem intanto osservava intenerita la scena. Non conosceva questa ragazza eppure aveva già conquistato il suo cuore.
<Spero che mio figlio non sia troppo severo con te, delle volte tende ad esagerare!> disse la festeggiata, Demet si voltò di scatto verso la donna e Can quasi si strozzò con l'acqua.
Demet sfoderò il suo sorriso migliore e si pulì gli angoli della bocca con un tovagliolo estremamente morbido.
<Mamma è il tuo compleanno, smettiamola di parlare di lavoro> borbottò Can, Demet lo sfidò con lo sguardo poi aprì la bocca per parlare con la signora.
<Sei così bella e dolce, come mai non hai ancora l'anello al dito?>
Il sorriso di Demet morì.
<Eh no mamma, ora ti metti anche a parlare di matrimoni!> sbottò Can alla madre. Lei però ignorò i suoi lamenti.
<Vorrei tanto che il mio Can si sposi, è il mio sogno e quello di suo padre...> disse Gizem, guardando in cielo, poi si concentrò di nuovo su Demet. La serata stava per volgere al termine: Deniz si era alzato da tavola e stava giocando a borbo piscina con i suoi giochi mentre gli altri invitati sembravano tutti presi dalla compagnia per accorgersi del discorso che Can e Demet stavano affrontando con la festeggiata.
<Mio figlio pensava di aver trovato la sua dolce metà, eppure...> iniziò Gizem ma non riuscì a terminare la frase.
La forchetta di Can cascò per terra e lui si alzò bruscamente, strisciando la sedia sul prato. Andò via con l'aria arrabbiata e con i pugni stretti. Demet lo seguì con lo sguardo finché non scomparve poi si voltò verso la madre.
<Eppure non è stata quella giusta...> concluse lei. Demet annuì poi si alzò e seguì Can.
Camminò sicura verso il retro della casa e percorse il piccolo ponte in legno che affacciava su un fiume stretto e tortuoso. Can era lì ad osservare lo scorrere ipnotico dell'acqua. Demet loraggiunseì: entrambi rimasero in silenzio, meravigliati dal panorama.
<Sua madre è una splendida donna> sussurrò Demet, avviando la conversazione. Can rise e si voltò verso di lei. Ormai sapeva tutto del suo passato. I documenti che tanto aveva faticato a non leggerli ormai erano stati svelati. Can capì il perché Demet si mostrasse sempre così forte, così spavalda. Doveva mostrarsi così o sarebbe crollata.
<Mi dispiace> disse Can a bassa voce. Pensò che Demet non l'avesse sentito, eppure, poco dopo, anche Demet si voltò verso di lui.
<Il problema, signor Can, è che non riesco a perdonarla> disse lei, facendo un passo indietro. Can osservò mentre si allontanava. <Ha fatto l'unica cosa che non doveva fare: violare il mio passato.>
Demet stette in silenzio, la sua bocca tremava e doveva trovare il coraggio di parlare. Anche Can si era deciso di dire la verità alla ragazza. Aveva scoperto il suo passato ed ora Demet doveva ascoltare il suo e del perché avesse agito in quel modo. Solo così avrebbe capito il suo gesto. Can aprì la bocca per parlare ma Demet lo precedette.
<Da domani non lavorerò più per lei> tuonò Demet, osservando il cielo. Can la guardò, e i suoi pensieri andarono a suo figlio.
<Non puoi lasciare così Deniz> protestò lui. Demet scosse la testa.
<Deniz è un bambino intelligente, capirà perché non lavorerò più da voi>
Can scosse la testa, furioso <Hai firmato un contratto lavorativo e, se mai dovessi venir meno agli impegni presi, potrebbe rischiare molto>
Demet incrociò le braccia al petto, gli occhi fiammanti di rabbia <Mi sta minacciando?>
<È solo un avvertimento>
<Mi ascolti bene!> disse lei, minacciosa, puntando il dito contro Can <Minaccia, avvertimento, ricatto. Qualsiasi cosa essa sia io non cambierò idea. Mi porti in tribunale, mi levi ogni singolo soldo dal portafoglio, faccia qualsiasi cosa in suo potere ma io non lavorerò più da lei!>
Detto questo Demet si voltò e andò via. Una lacrima carica di rabbia le rigò il volto e si affrettò a scacciarla. Aveva preso la decisione giusta, si ripetè, eppure perché si sentiva così male?

HOLIDAY canto d'amore [Can Yaman e Demet Özdemir ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora