Capitolo 23

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La stanza era stretta e inglobata nel buio. L'unica luce che riusciva a far vedere le persone era quella che penetrava dalla piccola finestra e illuminava i volti delle persone che sostavano nelle altre celle. Demet era nervosa da tutta questa situazione e continuava a camminare avanti e indietro senza pensare al vestito bianco che ormai era rovinato e sporco. Perfino il bouquet era stato abbandonato sulla panchina fredda in ferro che accoglieva la cella.
Le persone che la circondavano la guardavano, alcuni uomini fecero degli apprezzamenti discustosi ma lei ignorò tutto e osservò fuori la finestra con le braccia conserte.
<Bellezza, il matrimonio è andato male?> chiese una vecchia anziana sdentata. Demet era stanca di tutte queste inutili attenzioni. Si voltò verso di loro con lo sguardo più cattivo che riuscisse a fare e sorrise diabolicamente.
<Posso dire che non c'è stato alcun matrimonio perché lo sposo non si è presentato...> disse lentamente, imitando di avere un coltello e lasciando la frase in sospeso. La signora, spaventata, si allontanò da lei e finalmente tutti iniziarono a lasciarla in pace.
Demet sospirò di sollievo e pensò a Can. Mai e poi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere all'uomo che tanto amava, ma vedere le facce spaventate di queste persone le fece spuntare un sorriso. Povero Can, pensò Demet, non solo era solo e confuso, ma ora nella mente di queste persone era anche morto!
La porta si aprì e delle guardie entrarono, avviandosi verso la cella di Demet. Lo scatto della serratura riempì l'aria.
<Signorina, deve seguirci> disse uno di loro, tirando fuori le manette.
<Non metterò quelle cose un'altra volta, devo tenere il vestito che mi avete rovinato> chiarì rabbiosa Demet. Le due guardie si guardarono ed annuirono. Demet prese lo strascico e lo lasciò ricadere morbido sul braccio mostrando le scarpe un tempo bianche. Il tintinnio dei suoi tacchi l'accompagnò fuori e dovette sbattere ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce al neon della struttura.
Il suo cuore prese a battere più forte, segno che Can era qui, da qualche parte. Le guardie la portarono in una stanza e, poco dopo, Can entrò.
<Amore mio!> sussurrò Demet, lasciandosi cullare fra le braccia muscolose di Can.
<Stai tranquilla, amore, tutto si risolverà>
La porta si aprì e Demet fu sorpresa di veder entrare la sua migliore amica. Indossava un elegante tailleur nero e la camicetta bianca era ben stirata. I tacchi alti e la valigetta in pelle nera le donavano un'aria rigida e professionale. Nilüfer era un ottimo avvocato ma aveva smesso di professare. O almeno così pensava Demet. I genitori le avevano imposto di studiare quella facoltà e per renderli felici Nilüfer aveva accettato. Ha vinto qualche causa ma, alla fine, si è accorta di non essere felice. Così ha abbandonato tutto. Nilüfer si sentiva a disagio, era molto tempo che non professava e si sentiva come una bambina piccola al primo giorno di scuola. Ciononostante non poteva mostrarsi impaurita di fronte la sua migliore amica. Demet rischiava molto e doveva fare di tutto per aiutarla.
<Nilüfer?> chiese Demet confusa. Lei sorrise e prese posto al suo fianco.
Tirò fuori dalla valigetta alcuni documenti e si fece raccontare di nuovo la versione di Demet.
<Ma non sono andata da lei prevenuta. Ho una registrazione, avviata prima che entrassi nella sua stanza dove ammette le sue colpe. È tutto sul mio cellulare!> sorrise Demet. Aveva avviato la registrazione prima di entrare nell'ufficio di Sevim ed aveva nascosto il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni. Ci era voluto un po' ma alla fine Sevim aveva confessato le sue colpe e Demet aveva in pugno una prova per incastrare quella donna. Peccato che, perdendo la pazienza, anche lei aveva dato a Sevim un modo per tenerla in pugno. Demet, però, era in vantaggio perché Sevim non conosceva questo piccolo, fondamentale, segreto.
<Demet sei un genio!> trillò Nilüfer <Ora bisogna agire contro Sevim, portarla in tribunale e dare tutte le prove>
<Nilüfer non posso andare in tribunale. Dobbiamo ottenere l'affidamento di Sanem. Come possiamo vincere se Can ed io non siamo sposati ed io ho una denuncia per violenza?
>
<Demet questa è l'unica via legale che esiste. Oppure... > Nilüfer lasciò la frase in sospeso. Agire in questa maniera era rischioso, eppure avrebbe annullato ogni denuncia etichettata alla sua migliore amica.
<Avvivinatevi> bisbigliò Nilüfer <C'è un'altro modo in cui potremmo agire. Meno professionale e più rischioso. Ciononostante potrebbe giovare a nostro favore. Demet, tesoro, dovrai tornare in cella e passarci la notte>
<No, non possiamo permetterlo> gridò Can, sbattendo il pugno sulla scrivania in mogano scuro. Nilüfer gli intimò di abbassare il volume e lui ascoltò.
<Tu, Can, avrai il cellulare di Demet e andrai da Sevim. Le prove la incastrano e gli intimerai di annullare la denuncia>
<Ma così Sevim la farà franca...> borbottò Demet, delusa.
Nilüfer le accarezzò la mano. <Lo so. Ma riuscendo ad annullare la denuncia nessuno verrà a sapere di questa tua parentesi di vita. Vi sposerete ed entrambi andrete di fronte al giudice in modo equo. Due famiglie, sposo e sposa, che vogliono l'affidamento di due bambini>
<Tutto questo ha senso> disse Demet, ripensando al piano.
<Agiremo come ho detto. Io farò finta di non sapere della registrazione. Demet, tu non mi hai detto nulla. Tornerai in cella ma ti prometto che domani mattina ti farò uscire>
Nilüfer abbracciò la sua amica. Demet si fidava di lei e Can era convinto del piano.
<Mi raccomando, questo è il nostro segreto. Se qualcuno lo scoprisse potremmo passare molti guai penali> bisbigliò Nilüfer. Chiuse la sua valigetta e sparì tintinnando i suoi tacchi alti. Due guardie portarono Demet in cella e Can rimase da solo. Aveva il cellulare di Demet in mano ed ora gli restava. Solo una cosa da fare. Andare da Sevim.

HOLIDAY canto d'amore [Can Yaman e Demet Özdemir ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora