Capitolo 11

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I raggi solari penetrarono attraverso le vetrate, arrivando dritti agli occhi di Can. Si svegliò e aprì prima un occhio poi l'altro. Sbatté ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce che investiva la stanza poi si guardò intorno. Si toccò la fronte: non scottava più e il mal di testa era scomparso. Can scostò le coperte dal suo corpo e puntò lo sguardo sulla ragazza esile rannicchiata sulla poltrona. Aveva rubato una sua maglietta e sorrise nel vedere quando grande le andasse. Le sue gambe esili erano incrociate e a penzoloni sul bracciolo della poltrona. Aveva le braccia conserte e il volto imbronciato nascosto dalla folta chioma liscia. Ai suoi piedi c'era una bacinella con degli asciugamani, al fianco del letto, invece, un ventilatore. Can si sentiva decisamente meglio e continuò ad osservare la ragazza, ancora, e ancora, studiandone ogni centimetro di pelle poi decise di alzarsi, prese dall'armadio una coperta e avvolse il corpo di Demet.Le scostò dolcemente i capelli sul volto poi andò in camera del figlio. Deniz era già sveglio e stava giocando con dei supereroi. Appena il piccolo alzò la testa e incontrò lo sguardo del padre lasciò perdere i giochi e si aggrappò al busto di Can. Era così felice! Sapeva di poter contare sulla sua amica Demet e lei era riuscita a far guarire suo padre.
<Papà stai bene! Demet mi aveva promesso che si sarebbe presa cura di te ed ha mantenuto la parola! Trillò raggiante il bambino, mostrando un ampio sorriso sdentato. Can ricambiò il riso del figlio. Lui non aveva mai visto suo figlio così attaccato ad una persona ed era bello osservare il loro rapporto. Demet è stata per entrambi una ventata d'aria fresca e stava portando solo gioie nella vita della piccola famiglia. Erano rimasti per tanto tempo in due, ed ora, grazie all'arrivo di questa giovane ragazza dai capelli colorati e dal carattere esuberante, la loro vita sembrava aver preso una piega differente. Can ripensò alla litigata che era avvenuta pochi giorni prima e si maledì da solo per essere stato così stupido. Aveva commesso un enorme errore e doveva rimediare. Era stato solo per molto tempo dopo aver avuto Deniz e non riusciva più a fidarsi delle donne eppure lei stava riuscendo a demolire, mattone dopo mattone, l'alto e invalicabile muro che aveva costruito per proteggersi. Tutto questo, però, non lo spaventava ma spronava Can ad andare avanti con lei. Demet era importante e non doveva perderla in nessun modo.

<Deniz, visto che Demet è stata così carina a prendersi cura di noi due mentre stavo male, perché non andiamo in cucina a prepararle la colazione?> domandò il padre al figlio. Gli occhi di Deniz luccicarono e annuì con enfasi. Can gli scombinò i ricci già selvaggi e insieme scesero le scale. Can non era molto abile nel cucinare ma, insieme al suo aiuto chef Deniz, cercò di preparare un'ottima colazione per tutti quanti. Ruppe le uova in padella e le condì con Sale e pepe, poi abbrustolì delle fette di pane e portò in tavola le marmellate che gli aveva regalato sua madre. Mise il bollitore sul fuoco per preparare il te e tagliò un po' di frutta di stagione per rinfrescare il palato. Solo quando la tavola fu bandita di cibo e bevande, Can e Deniz si rilassarono e si scambiarono uno scoccante battito di mani. Nel frattempo il canto degli uccelli e quello delle cicale fecero svegliare Demet di buon umore. Il suo corpo era intorpidito per la scomoda posizione in cui aveva dormito, si stiracchiò poi scese le scale in punta di piedi. La casa era silenziosa e Demet raggiunse il giardino; l'erba bagnata di rugiada solleticava dolcemente i suoi piedi nudi mentre si avvicinava a Can e Deniz.
<Demet!> gridò il bambino, correndo verso la ragazza. Demet sorrise a lui poi a Can che nel frattempo aveva raggiunto i due. <Grazie di essere qui, sei la migliore!>
Deniz abbracciò Demet. Lo sguardo della ragazza si trovò con quello dell'uomo. Can le sorrise e lei ricambiò, leggermente imbarazzata. Lei era confusa: troppi avvenimenti discordanti erano accaduti in quei giorni. Ed ora doveva parlare con Can il prima possibile.
La colazione fu piacevole e silenziosa. Quando i piatti furono vuoti e le pance piene, tutti si alzarono e sparecchiarono la tovaglia. Deniz andò a guardare la televisione, lasciando soli Can e Demet.
<Le devo parlare...> disse la ragazza, pensierosa.
Can la zittì con la mano <Aspetta!> non stava guardando lei ma la sottile linea cristallina che divideva il mare al cielo <è giusto che sia io a darti delle spiegazioni. Non era mia intenzione violare la tua vita>
Demet sbuffò, stizzita. <Eppure l'ha fatto...>
<L'ho fatto per mio figlio. Quando Deniz nacque, mio padre era già malato ed aveva lasciato a me le redini dell'azienda in cui lavoro.
Diventare capo di un'importante società occupa molto tempo eppure io dovevo crescere mio figlio; così lo portavo con me e, quando avevo delle riunioni, riuscivo a fare affidamento su mia madre. Un giorno, però, le condizioni di mio padre peggiorarono e mia madre iniziò a prendersi cura di lui. Non volevo gravare mio figlio sulle spalle di mia madre, era già preoccupata e triste per mio padre. Così cercai una babysitter. Ero giovane, inesperto ed avevo il disperato bisogno di avere qualcuno che potesse controllare mio figlio. Trovai una ragazza, sembrava un'ottima candidata...>
<Can> sussurrò la ragazza. Non trovando le parole giuste da dire, Demet gli prese la mano e la strinse dolcemente. Can osservò le loro dita intrecciate, poi continuò:
<Eppure quando tornai a casa dopo una lunga giornata di lavoro, trovai mio figlio da solo in mezzo al caos. La ragazza aveva lasciato Deniz ed era riuscita a rubare alcuni oggetti di valore. Deniz piangeva, aveva sete, non gli era stato cambiato il pannolino e aveva un livido sul braccio. Ero arrabbiato con me stesso e mi promisi di stare più attento. Ho un amico investigatore, è lui che mi procura le informazioni di chiunque entri nella mia vita>
Il silenzio risultava troppo assordante per Demet ma si prese del tempo per parlare. <Can io non ne sapevo nulla, sono così dispiaciuta di aver reagito male>
<Non devi! Avevi tutto il diritto di reagire in quel modo, dopotutto ho forzato la tua privacy. Mi dispiace, per tutto.>
Demet annuì, taciturna. Osservò il mare nitido in lontananza, sentiva lo sguardo infuocato di Can su di lei ma non si voltò ad osservarlo. Improvvisamente, le parole le uscirono libere e leggere dalla bocca:
<Quando mi svegliai dopo l'incidente, il mio primo pensiero fu Özgür. Mi dimenai fra le braccia di mio padre e fra le urla di mia madre. Non volevano farmi alzare ma alla fine riuscii a convincerli. A piccoli dolorosi passi andai da lui. Lo trovai disteso, il volto tumefatto di lividi, il gesso che copriva la gamba destra e i tubi che lo avvolgevano. Era lì, fermo ed io sono caduta a terra in un pianto isterico>
Demet si fermò un instante. Ogni volto che rimembrava il passato si sentiva sempre trascinare all'interno di quei dolorosi avvenimenti. Era un incubo, un grosso e pauroso incubo che non avrebbe mai superato con facilità. Istintivamente, Can le strinse la mano e lei riprese a parlare:
<Da quel giorno persi la ragione. Non ero più in me. Ero assente, scostante e qualche volta violenta. Rispondevo male ai miei genitori e un secondo dopo mi ritrovavo a piangere. Non dormivo, non mangiavo, non bevevo. Stavo bene solo quando Özgür veniva a trovarmi. Si sedeva sul mio letto e chiacchieravamo. Tutto questo però non era reale, lui non era lì. Il dottore disse che una parte del mio cervello, durante l'incidente, era rimasto danneggiato. Vedevo e sentivo Özgür ma lui era solo nella mia testa. Decisi così di andare in una comunità . La struttura è situata di fronte il mare ed era gremita di persone. Feci amicizia con alcune di loro e iniziai il mio percorso per ritrovare la serenità. La mattina era dedicata alle attività; giardinaggio, cucina, pittura. La mente era libera ed anche io mi sentivo più leggera. Il pomeriggio, invece, parlavamo con diversi psicologi. Quando ritrovai me stessa era passato un anno. Ritornai alla mia vecchia vita; m'iscrissi all'università, cercai un lavoro. Avevo i miei genitori e la mia migliore amica a darmi forza. Özgür però non si svegliò, continua a dormire...>
Can si sentì soffocare dal racconto. La guardò con insistenza; gli occhi di Demet erano umidi ma non piangeva. Le loro mani erano ancora avvinghiate l'un l'altra e le loro dita intrecciate. Can la spinse dolcemente verso di sé annullando ogni distanza. Si abbracciarono e rimasero stretti per molto tempo. Non c'era più spazio per le parole. Entrambi si erano perdonati.

HOLIDAY canto d'amore [Can Yaman e Demet Özdemir ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora