Capitolo 32

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Passare il weekend a casa da sola avrebbe significato torturarmi ancora di più con i miei pensieri. Quindi, dopo essermi svegliata troppo presto ed aver cercato di riaddormentarmi invano, capii che avevo solo bisogno di vedere la mia migliore amica.

«Charlie!» esclamò aprendo la porta, ancora in pigiama. Mi abbracciò, poi si lasciò andare in un lungo sbadiglio senza coprirsi la bocca.

«T-ti disturbo?» domandai mentre lei mi faceva segno di entrare. Mi guardai attorno per capire se fosse sola.

«No, certo che no. Mia madre è uscita per fare delle commissioni e-»

Non mi servì sentire altro. Presi la manica della sua felpa informe e la tirai a me in un abbraccio che avevo bisogno di ricevere. Affondai la testa nel tessuto che attutì i miei singhiozzi, mentre la mia amica mi stringeva talmente forte da farmi quasi male. Non ero ancora riuscita a piangere da quando ero tornata a casa dall'hotel di Zayn, e avevo un maledetto bisogno di sfogarmi.

Rimanemmo in silenzio per non so dire quanto, lei mi cullava dolcemente ed io mi lasciavo consolare dall'unica persona in grado di farlo, in quel momento.

«Gelato?» propose lei con un sorrisetto ammiccante.

Sogghignai e mi resi conto di quanto dovevo essere buffa mentre ridevo e piangevo contemporaneamente, con gli occhi gonfi ed arrossati, i capelli disordinati e la maglietta di Minnie. Lei mi baciò la fronte con una dolcezza materna prima di sparire in cucina, forse alla ricerca di quel gelato. Zampettai per la casa come se fosse la mia e, in effetti, conoscevo quella villetta così bene da sentirmici. Quando i miei genitori lavoravano, io passavo interi pomeriggi con Kim, suo fratello e sua madre. Suo padre non era quasi mai a casa e, due anni fa, li lasciò per una donna più giovane e si trasferì a New York.

Salii le scale e approfittai del fatto che la mia migliore amica non ci fosse per rubare la sua poltrona preferita, vicino alla finestra. Mi accovacciai, portando le gambe al petto e sistemando un cuscino rotondo dietro la mia testa. Chiusi gli occhi, non so se era il profumo di quella casa, il colore rosa cipria delle pareti o l'affetto di Kim, ma potevo già sentirmi meglio.

«Ti lascio la mia poltrona solo perché stai male!» acconsentì lanciandomi un'occhiataccia quando comparve con tre vaschette di gelato impilate una sull'altra e due cucchiai da minestra.

«Lo apprezzo.» le sorrisi.

Mi passò quello al cioccolato e lei si prese il pistacchio. Si sedette sul suo letto con le gambe incrociate sotto di lei, aprì la vaschetta ed affondò il cucchiaio. Sembrava pronta per ascoltarmi.

«È andata male?» mi interrogò, con la bocca piena.

«Male è un eufemismo.» feci spallucce e mi consolai con il cioccolato, «E al lavoro per poco non ci sbraniamo.»

«Addirittura?» chiese.

Annuii leccando il cucchiaio, «Sai cosa mi fa più arrabbiare di tutta questa storia? Che sono talmente stupida da non provare qualcosa per un ragazzo perfetto, amorevole, attento e che mi aspetterebbe nonostante a me piaccia un altro. E per chi? Per uno stronzo, arrogante, che non sarebbe capace di aspettare una ragazza neanche per due giorni.»

«Purtroppo, Charlie, non possiamo scegliere di chi infatuarci, anche se renderebbe tutto più semplice.» sospirò, e mi rivolse una smorfia comprensiva e dispiaciuta, «Hai fatto la cosa giusta, comunque.»

«Lo so, non mi pento di essere andata da Zayn.» scossi la testa con decisione, «Ed era giusto dire ad Ian che non voglio lui in questo momento.»

«Ed era giusto anche ammetterlo a te stessa.»

Sospirai ed appoggiai la vaschetta sul comodino, «E tu? Hai parlato con Marcus?»

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora