Capitolo 36

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Sapevo che non sarebbe successo, ma passai tutta la domenica ad aspettare quella telefonata, a sperare con tutta me stessa che il telefono squillasse. Fissai il cellulare immaginando in ogni momento che si illuminasse e comparisse il suo nome sul display, accompagnato da quella musichetta fastidiosa e da una vibrazione confusa.

Alle otto del mattino, alle dieci, mentre pranzavo, alle tre del pomeriggio e anche alle otto di sera, io rimasi ad illudermi che avrei ricevuto quella chiamata, che non arrivò. Dormii con il cellulare stretto a me per non rischiare di non sentirlo suonare e, effettivamente, la musichetta mi svegliò. Mi alzai di scatto, cercando l'Iphone tra le coperte, ma era semplicemente la sveglia. Mi misi seduta, sospirai ed affondai il viso tra le mani, lasciando che i capelli lo coprissero. Non sapevo come ero arrivata a quel punto, ma mi sentii così ridicola e stupida da vergognarmi anche se nessuno poteva vedermi.

Sapevo che sarebbe stata una giornata difficile e mi preparai un caffè. Non lo bevevo spesso, ma pensai di averne bisogno. Lavai il mio viso con l'acqua gelida e poi strofinai i miei denti con un dentifricio alla menta che mi ricordò il sapore di Zayn.

Stesi del correttore sulle occhiaie ed aprii lo sguardo con il mascara, indossai un blazer eccessivamente elegante e anche le scarpe con il tacco. Volevo solo sembrare una persona che non aveva passato un'intera giornata a fissare il telefono e una notte a rigirarsi nel letto.

I presupposti non erano buoni, siccome Meggy non partì per due minuti buoni e io continuai ad imprecare mentre giravo la chiave nel nottolino. Minuscole gocce di pioggia picchiettavano sulla carrozzeria rovinata e correvano velocemente giù dai vetri. Mi fermai a fissarne una in particolare, che scappava come avrei voluto fare io da tutti i miei problemi. Finalmente, riuscii a mettere in moto e tirai un sospiro di sollievo, il maggiolino tossì e fece un balzo in avanti, poi si spense di nuovo.

«Merda, parti cazzo!» tirai una manata contro al volante, poi ci appoggiai la fronte per un attimo e sospirai. Non avrei dovuto bere il caffè, mi rendeva solo più agitata e nervosa. Mi tirai su poco dopo, frugai nella mia borsa e cercai il cellulare. Lo portai all'orecchio, dopo aver trovato il numero di Kim, tenendolo con una mano mentre con l'altra tentavo invano di far partire la macchina.

«Pronto?» rispose dopo pochi squilli. Capii che era già sveglia dalla sua voce squillante.

«Meggy non parte, non è che potresti accompagnarmi al lavoro?» domandai io, il rumore del motore in sottofondo.

«Te l'ho detto che non ti puoi fidare di quel catorcio!» mi rimproverò lei, «Mi dispiace ma non posso, Charlie, sono dall'altra parte della città in questo momento. Chiamo subito Ian.»

«No, no, non importa. Prenderò un autobus!» provai a dire, ma non feci in tempo a finire che riattaccò il telefono.

Il mio cellulare squillò subito dopo. Io mi arresi, sfilai le chiavi dal nottolino ed accettai la chiamata.

«Il tuo supereroe sta arrivando per salvarti, mia cara.» ironizzò Ian, lasciandosi poi andare in una risata contagiosa.

«Mi dispiace di averti disturbato, posso prendere un autobus o un taxi...» provai a dire, non so se non volevo dargli fastidio o se mi spaventava l'idea di stare chiusa con lui in uno spazio così piccolo e di rendermi conto di aver sbagliato tutto.

«Sarò io il tuo tassista, ok? Veloce, economico e anche simpatico.»

«Soprattutto simpatico.» specificai, abbandonandomi contro al poggiatesta e sorridendo tra me e me.

Rimasi in auto maledicendola ed ascoltando il rumore della pioggia che picchiettava e, stranamente, riusciva quasi a rilassarmi.

Ian fu veloce, proprio come promesso, e dopo meno di dieci minuti affiancò Meggy con il suo costoso Suv e mi fece segno di saltare su.

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora