Capitolo 42

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L'unico lato positivo di essere stata licenziata era il fatto di poter dormire fino a tardi, e Dio solo sa quanto ne avevo bisogno. Mi meritavo una giornata di riposo, relax e svago e, soprattutto, di solitudine. Rimasi a poltrire nel letto fino all'ora di pranzo, feci una doccia e restai in pigiama per tutto il giorno a mangiare schifezze e a guardare una maratona di una serie tv adolescenziale che avevo trovato su Netflix. Mi ero ripromessa che sarebbe stato l'ultimo episodio circa dieci episodi prima, e mi ritrovai a guardare l'ennesima puntata.

Me ne stavo accovacciata sul divano sgranocchiando patatine al formaggio quando sentii il campanello trillare. Appoggiai il sacchetto sul tavolino e pulii le mani sui pantaloni prima di alzarmi, sbuffando, e controllare dallo spioncino.

Zayn era sul pianerottolo, con le mani all'interno delle tasche della giacca di pelle. Sentii una strana sensazione allo stomaco e il cuore sembrò volermi uscire dal petto. Deglutii a fatica, sistemai la maglietta infantile lungo i miei fianchi e controllai che non fosse macchiata, poi sciolsi anche i capelli e provai a dar loro una veloce sistemata. Dovevo avere un aspetto terribile.

Feci un lungo respiro prima di aprire la porta. Zayn sfilò le mani dalle tasche e si mise più dritto con la schiena.

«Che ci fai qui?» domandai in tono piatto, appoggiandomi allo stipite della porta e incrociando le braccia.

Lui nascose il labbro inferiore nella bocca, poi lo lasciò andare e sorrise in modo impacciato, «Sono... Sono qui per ringraziarti.» riuscì a dire, non senza fatica.

«Ringraziarmi?» alzai un sopracciglio, confusa quanto sorpresa.

«S-sì, per l'altra sera.» balbettò, visibilmente imbarazzato a giudicare dal modo in cui prese a sfregare il palmo della mano prima sui suoi capelli e poi sulla barba curata.

«Era il mio lavoro Zayn, dovevo farlo.» scrollai le spalle disinteressata, ma mi sentii immediatamente in colpa quando lui abbassò lo sguardo ed annuì lentamente. Avrei voluto rimangiarmi tutto e dirgli che l'avevo fatto perché mi importava realmente di lui, ma non potevo mandare all'aria tutti i progressi che avevo fatto nel cercare di stargli lontana.

«No, invece no, non è il tuo lavoro. Avevi ragione quando hai detto che tu non dovresti rincorrermi per risolvere i miei casini.» replicò, facendo un passo in avanti per annullare la distanza ed essere più vicino a me.

«E tu non dovresti metterti in quei casini.» lo rimproverai, poi indietreggiai e mi spostai per lasciarlo entrare, o per allontanarmi da lui.

«Lo so, e non lo farò più, te lo assicuro.» promise. Entrò, lentamente, e si guardò attorno come se si aspettasse di trovare qualcun altro oltre a noi, poi si tranquillizzò quando capì che eravamo da soli. Sapevo che non si sarebbe fermato per molto perché non si tolse la giacca e rimase al centro del salotto, senza lasciare che il suo sguardo incontrasse il mio. Anche io ero abituata ad evitare il suo, così profondo, magnetico e potente che sarebbe stato in grado di farmi perdere per ore in quelle sfumature così belle.

Sospirò rumorosamente, infilò di nuovo le mani nelle tasche e poi mi guardò, per più tempo del necessario, «Sai... Nessuno si era mai preso cura di me come hai fatto tu.»

Sentii una fitta allo stomaco, ebbi la voglia di tirarlo a me e avvolgerlo in un abbraccio caloroso e rassicurante, stringerlo e fargli sapere che mi sarei presa cura di lui tutte le volte che ne avrebbe avuto bisogno, ma rimasi ferma. Non so bene come, ma riuscii a trattenermi perché anche solo toccarlo mi avrebbe fatto dubitare della mia partenza con Ian, e non sarebbe stata la cosa giusta.

Annuii debolmente, torturando le punte dei miei capelli e cercando di sembrare il più fredda e distaccata possibile. Era maledettamente difficile, ma restai immobile ed in silenzio come mi ero imposta.

«Victoria ti ha... Ti ha dato la giacca?» chiese, probabilmente solo per spezzare il silenzio o cambiare argomento, ed io ne fui sollevata.

«Sì, grazie.»

«E...» cominciò lui, ma si bloccò subito dopo, pensieroso ed insicuro come non lo avevo mai visto. Si schiarì la voce, si guardò attorno con fare spaesato e perse tutta la sicurezza che lo aveva sempre contraddistinto.

«A proposito, com'è andata sul set?» domandai, solo per toglierci da quello strano imbarazzo che ci aveva avvolti.

«Bene, ho sentito la mancanza della mia assistente ovviamente, ma sono riuscito a ricordarmi tutte le battute.» annunciò fieramente, finalmente alzò le labbra in un sorriso che mi era mancato terribilmente. Pensai che non l'avrei più rivisto a New York, e sentii il petto bruciare.

«Davvero?» mi finsi più esaltata di com'ero davvero, ma ero contenta che ce l'avesse fatta.

«Sì, mi è bastato immaginarmi insieme a te, mentre ripetevamo sul divano del tuo salotto.» rispose, e mi sembrò che la sua voce fosse diventata più profonda. I suoi occhi sembravano due fessure e mi esaminavano con attenzione, poi lanciarono un'occhiata anche al divano poco distante.

A me piacciono i cornetti integrali e le giostre lente, noiose, mi ripetei mentalmente, chiudendo un attimo gli occhi per evitare i suoi.

«Bene.» ancora una volta, cercai di rimanere indifferente nonostante il mio cuore battesse all'impazzata e le guance si fossero surriscaldate.

Intuii che avrebbe voluto dire o fare di più, ma che ci rinunciò. Sospirò di nuovo e alzò la zip della giacca, per poi avviarsi verso la porta, «Domani ho un'intervista, ti passo a prendere alle dieci, ok?» informò, girato di spalle mentre afferrava la maniglia.

«Zayn, non lavoro più per te.»

«Che significa?» si voltò, mostrandomi la sua fronte corrugata in confusione.

«Patricia non te l'ha detto?» domandai alzando un sopracciglio, lui socchiuse gli occhi facendomi capire che non ne sapeva niente, «Mi ha licenziata.»

«Licenziata?» ripeté lui, non so dire se sorpreso o preoccupato.

«Licenziata, sì.» scandii.

«E perché?» mi interrogò alzando la voce quasi come se fosse colpa mia, i muscoli del suo viso erano tesi in un'espressione arrabbiata.

«Perché non ti ho tenuto d'occhio abbastanza e-»

«Tenuto d'occhio.» sputò, rise silenziosamente scuotendo appena il capo, «Non riesco a crederci, cazzo!»

«È meglio così, comunque. Non ero brava in quel lavoro Zayn, non faceva per me.» provai a tranquillizzarlo.

«Stronzate!» sbottò lui, poi stropicciò il suo viso passandoci la mano ripetutamente, «E poi è tutta colpa mia, tu non c'entri niente! Mi dispiace che se la sia presa con te per le mie cazzate.»

«Zayn, va tutto bene, davvero. Sto per-»

«Devo andare.» mi interruppe, ancora prima che io potessi dirgli di New York. Abbassò la maniglia ed uscì così velocemente da non darmi il tempo di fermarlo. Richiuse la porta e se ne andò.

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora