Capitolo 5

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Nonostante i parecchi problemi con i capelli, arrivai al lavoro in anticipo per la seconda volta di fila. Speravo che sarebbe diventata un'abitudine ma, per qualche motivo, non ero molto convinta che potesse succedere.

Scambiai un paio di complimenti con Victoria, i miei erano sicuramente più sinceri dei suoi ma era una ragazza molto gentile ed ero contenta che lavorasse al mio stesso piano. Era bello ricevere un sorriso sincero e poter fare quattro chiacchiere.

Patricia mi salutò molto meno calorosamente, mi accompagnò nel mio nuovo ufficio, piccolo e spoglio ma con la stessa vista di cui godeva il suo. Mi spiegò sbrigativamente come usare il telefono, mi consegnò un foglio con le password del computer e mi assegnò alcune mansioni.

Dovetti inserire dei numeri di telefono in una rubrica, rispondere alle mail, cercare alcuni indirizzi e chiamare un regista importante per fargli sapere che il "signor Malik" non sarebbe stato disponibile ad incontrarlo per almeno due mesi.

Ero annoiata e i piedi mi facevano male per colpa dei tacchi bassi ma scomodi. Tolsi le décolleté color cipria che Kim mi aveva prestato per l'occasione insieme a vestiti di almeno due taglie più grandi, e presi il cellulare per rispondere ad un messaggio di mia madre che mi chiedeva se andasse tutto bene.

Non feci in tempo perché la porta si aprì di colpo e mi fece sussultare. Ovviamente, chi sarebbe potuto entrare in quel modo senza curarsi di bussare?

«Sei pagata per inviare messaggi?» mi provocò il moro, sistemando il colletto di una camicia che, dovetti ammettere, gli stava particolarmente bene.

«N-no!» mi raddrizzai immediatamente con la schiena, appoggiai il telefono sulla scrivania e infilai in fretta e furia le scarpe sotto lo sguardo attento di Zayn.

Si mise a ridere, poi avanzò fino al centro della stanza. Si lasciò cadere sulla sedia di fronte a me con i gomiti appoggiati ai braccioli rivestiti e mi guardò. Rimase fermo, in silenzio, ad osservarmi a lungo. Mi aspettavo che si scusasse per la sera prima, ma non lo fece.

«Hai bisogno di qualcosa?» domandai con il tono più cordiale che riuscissi ad assumere.

Passò il palmo della sua mano ingioiellata sulla barba curata con fare pensieroso, poi scosse lentamente la testa senza staccare mai i suoi occhi da me.

Mi schiarii la voce, imbarazzata come non mai e ripresi a digitare sulla tastiera del costoso computer. Ogni tanto spostavo il mio sguardo dal monitor, a lui e lo trovavo con le sue iridi castane a fissarmi con insistenza.

Non volevo che trasparisse il mio nervosismo ma mi sentivo sotto pressione.

«Vuoi un caffè, un succo, qualcosa da mangiare?» proposi, speravo solo che mi facesse andare a prendere qualcosa per allontanarmi da lì. Non sapevo perché, ma il suo sguardo inquisitorio e anche solo la sua presenza mi provocavano ansia.

«No.» si limitò a rispondere, ma non si mosse.

Potevo capire che era stanco dai suoi occhi gonfi, arrossati e lucidi e dalle pesanti occhiaie al di sotto. Anche la sua voce roca dimostrava che si era svegliato da poco e che, forse, non aveva dormito molto. Si era vestito elegantemente e aveva ingioiellato i lobi delle sue orecchie e le sue dita, forse perché aveva un appuntamento importante. E poi, probabilmente, si era fatto la doccia nel dopobarba a giudicare dal profumo che emanava. Era bello e lo sapeva molto bene.

Pensai a come sarei stata io se, appena sveglia, mi fossi messa una camicia e un paio di pantaloni, due orecchini e fossi uscita di casa. Per poco non scoppiai a ridere a questa idea, sicuramente non avrei mai avuto un aspetto del genere.

«Lo hai pulito il bagno?» la sua voce profonda interruppe i miei pensieri e mi fece trasalire.

«Mh?» alzai lo sguardo su di lui.

«Il bagno del Berry, lo hai pulito poi?»

Mi immobilizzai. Merda, mi aveva riconosciuta. Ci misi un attimo per decidere se negare oppure semplicemente ammetterlo e perdere il lavoro. Mi avrebbe licenziata oppure, ancora peggio, mi avrebbe reso la vita impossibile. O forse sarebbe stato abbastanza maturo da capire la situazione e da non farne una questione di stato.

«Eri tu, vero? Sei la ragazza che mi è venuta addosso.» alzò l'angolo delle labbra in un sorrisetto di sfida.

«Intanto sei stato tu a venire addosso a me, e poi sei stato anche molto maleducato.»

«Se per te invitare delle ragazze ad una festa è essere maleducati, allora sono colpevole.» mi mostrò i palmi delle mani.

«E di cattivo gusto.» aggiunsi puntualizzando con l'indice dall'unghia poco curata. Avevo smesso di guardarlo ed ero tornata a fingere di svolgere il mio lavoro, almeno finché ne avevo uno.

«Io, piuttosto, trovo di cattivo gusto il maglioncino da nonno che indossava il tuo fidanzato.»

«Il mio fidanzato?»

«Sì, il principe azzurro. Cazzo, quel tipo era vestito come mio nonno!» lo prese in giro e riuscì a rendermi più arrabbiata con lui di quanto non fossi.

Avrei potuto dirgli che Ian non era il mio ragazzo, ma non ne trovai il motivo.

«Zayn, sto cercando di lavorare.» chiesi il più educatamente possibile, indicandogli però la porta alle sue spalle.

«Scusa Astrea, non volevo offendere il tuo fidanzato.»

Perché continuava a chiamarmi così? «Mi chiamo Charlotte.» ricordai, lui mi ignorò.

Scosse la testa quasi incredulo, mantenendo il ghigno sulla sua bocca carnosa, «Cazzo, sapevo di averti già vista da qualche parte. Senza maglietta a pois non ti avevo proprio riconosciuta!»

«Oh, davvero?» alzai gli occhi al cielo, mordicchiando una matita dal nervoso. Quel ragazzo aveva una capacità che in pochi avevano: farmi saltare i nervi.

«Sì, ti ho riconosciuta ieri sera, mentre te ne andavi. Un culo come il tuo è difficile da dimenticare!»

Per poco non mi strozzai con la mia saliva. Rimasi immobile, incredula che avesse appena parlato del mio fondo schiena con quella schiettezza.

Non distolse neanche lo sguardo, i suoi occhi rimasero incollati ai miei per non so quanto tempo. Per la prima volta, notai il modo in cui le sue ciglia lunghe e scure contornavano ed abbellivano le sue iridi e, quando sbattevano, rendevano in qualche modo la sua espressione più dolce, più tenera, in netto contrasto con la sua personalità.

«Oh, io ti ho riconosciuto subito. La tua arroganza è inconfondibile.» sbottai quando, finalmente, riuscii a ritrovare la voce.

«Aspetto il mio caffè nell'ufficio di Patricia tra due minuti.»

Mi lanciò un'altra smorfia di duello, fece un occhiolino e se ne andò. 

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora