Capitolo 39

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Erano le prime ore del mattino e, decisamente, era troppo presto per andare a suonare a casa di qualcuno. Eppure, mi attaccai al campanello un paio di volte, sicura che Ian stesse ancora dormendo. Rimasi per un attimo ferma ad aspettarlo all'entrata, poi mi sedetti sugli scalini con le ginocchia al petto e il mento sulle mani. Non sentivo il bisogno di vedere Ian, ma ero decisa a far ritornare la mia vita com'era prima di conoscere Zayn. Monotona, noiosa, piatta ma giusta. Otto o nove ore di sonno a notte, nessun problema e nessuna paura.

Mi alzai, arrendendomi al fatto che non avrebbe aperto la porta, ma vidi la sua auto arrivare e parcheggiare nel vialetto. Scesi gli scalini e gli andai in contro.

«Ero passato a casa tua per portarti la colazione, ma non c'eri.» mi spiegò non appena scese dal Suv, ancora prima di trovarsi davanti a me. Sventolò in aria due sacchetti della mia pasticceria preferita, e io alzai in aria i miei, uguali ai suoi.

Scoppiammo entrambi a ridere e lui mi baciò la guancia distrattamente prima di accompagnarmi dentro casa.

«Quindi abbiamo due muffin al cioccolato, due ciambelle e quattro cappuccini?» domandò, portando la colazione in cucina e togliendosi la giacca leggera, rimanendo con una maglietta a maniche corte grigia e dei jeans slavati. Ian era sempre bello, ma quelle poche volte in cui si vestiva casual aveva un fascino diverso.

«Lo dici come se fosse una cosa negativa.» ridacchiai, sedendomi su una sedia ed appoggiando i gomiti sul tavolo rettangolare.

«Negativa? Una colazione meravigliosa e una ragazza meravigliosa... è così che mi immagino il paradiso.» scherzò sedendosi di fronte a me e scartando la sua ciambella.

Ancora una volta, potei immaginarmi a fare colazione con lui ogni giorno, vederlo uscire di casa presto al mattino per conquistarsi il mio muffin preferito e ricevere le sue attenzioni.

«Mi dispiace per essere scappata così ieri sera.» scavai nel mio muffin per prenderne un pezzo e portarlo alla bocca.

«Non importa, il film era quasi finito, non ti sei persa molto. Sembravi molto scossa, va tutto bene?»

«Sì... Una cosa di lavoro.» mi pentii subito di aver definito così quello che era successo e nascosi le mie labbra all'interno della bocca.

«Beh, il lavoro è lavoro, non ti preoccupare. E... a proposito di lavoro, dobbiamo parlare di una cosa.» ritornò serio, io stavo rigirando la tazza di cappuccino ancora caldo tra le mani, pensierosa.

«Dimmi.» esortai.

«So che tu mi hai chiesto di non aspettarti...» cominciò lui, appoggiando la sua colazione e pulendosi le mani in un tovagliolo per rivolgermi la sua completa attenzione, «Ma io non posso fare a meno di farlo perché mi piaci davvero, Charlie. Mi piace passare del tempo con te, mi piace immaginare il nostro futuro insieme e mi piacerebbe fare dei progetti.»

«Ian...» cercai di fermarlo, ero ancora troppo confusa per dargli delle risposte e non volevo illuderlo un'altra volta.

«Non ti sto chiedendo di decidere nulla-» si affrettò a dire, rincuorandomi quando prese la mia mano e la accarezzò, «è solo che mio padre mi ha offerto di lavorare con lui a New York. È una bella occasione, una posizione importante e-»

«Ma è meraviglioso!» mi congratulai, ma lui non fu esaltato com'ero io.

«Lo è.» fece di sì con la testa, anche se non ne sembrava convinto, poi continuò, «Ma sarei lontano da te.»

«Non devi pensare a me Ian, devi pensare a te e alla tua carriera.»

«Ma non ci riesco. Ho sempre immaginato che saremmo stati insieme, io e te. E anche riconquistarti è un'occasione che non posso perdere, quindi se ho anche solo un briciolo di possibilità di riuscirci, vorrei saperlo.»

Trattenni il respiro, fu talmente difficile rispondere a quella domanda che quasi non mi misi a piangere. Quella notte avevo provato le montagne russe, la paura, l'adrenalina e la destabilizzazione, e avevo capito che non facevano per me. E non volevo salirci più. Alla fine, le giostre lente e la brioche integrale non erano poi così male.

«Ci lavoreremo.» annuii appena. Non sapevo se avevo preso la decisione giusta, ma solo vedere i suoi occhi allargarsi ed illuminarsi ed il suo sorriso comparire sulle sue labbra sottili, mi fecero sentire più sicura.

Lui mi raggiunse, facendomi alzare per poi stringermi in un abbraccio caloroso, solleticò la mia schiena e poi spinse la mia testa contro alla sua spalla. Mi lasciai cullare, poi le sue labbra si stamparono sulle mie. Un bacio casto, nessuna farfalla a svolazzare nel mio stomaco, nessuna sensazione di paura, nessun bisogno di essere coraggiosa.

Poi, chiusi gli occhi ed immaginai di avere Zayn davanti a me. Non so perché lo feci e mi sentii in colpa per questo, ma appoggiai le mani al suo collo ed immaginai di accarezzare con i pollici i suoi disegni perfettamente scolpiti nella pelle. Illogicamente, sotto i miei polpastrelli ebbi la sensazione della sua barba ruvida, tra le mie labbra dischiuse le sue. Mi gettai contro al suo corpo con una veemenza tale da farlo indietreggiare, i capelli lunghi di Ian si trasformarono in quelli più corti del moro. Il ragazzo emise un gemito di sorpresa ed io immaginai la voce profonda e sensuale di Zayn. Ian mi prese delicatamente dai fianchi, ma fu come sentire una stretta potente, bramosa e passionale, le dita sotto alla stoffa leggera del vestito.

«Zayn...» piagnucolai, con la mia lingua a cercare disperatamente la sua e, poco dopo, la persi.

«Cosa?» fui immediatamente riportata alla realtà. Aprii gli occhi e trovai Ian, con la fronte corrugata in un misto di stupore, confusione e forse rabbia.

«Cosa?» ripetei io, cercando di riprendermi mentre sistemavo i capelli sulle mie spalle.

«Hai detto...» provò a dire, ma si bloccò.

«Ho detto che Zayn, il mio capo, mi aspetta in ufficio e devo muovermi.» mi affrettai a dire. Per non essere una di quelle persone brave a mentire e a trovare scuse, me l'ero cavata piuttosto bene.

Lui annuì appena, non so se l'era bevuta, ma mi sorrise e mi tirò di nuovo a sé per stampare un ultimo, casto bacio.

Presi il mio cappuccino e la mia borsa e cercai di uscire il più velocemente possibile, salutandolo con un veloce cenno della mano.

Non appena salii sul mio maggiolino, sospirai malinconicamente.

Passerà, pensai tra me e me, passerà ed io riuscirò ad essere felice nella mia villetta con Ian, con i bambini che scorrazzano ed il cane.

Non dormivo da troppo tempo, ero spossata, le mie palpebre erano pesanti e gli occhi mi bruciavano da quanto erano stanchi. Un'altra volta, Zayn era riuscito a togliermi completamente le energie.

Misi in moto il maggiolino e partii, guidando in strade che cominciavano a diventare più trafficate e caotiche. Era una bella giornata ed il sole brillava già in un cielo limpido.

Ero abbastanza in anticipo da potermi fermare a casa per cambiarmi e cercare di darmi una sistemata.

Corsi su per le scale con le ultime forze che avevo, lavai il mio viso con l'acqua fredda e raccolsi i miei capelli in una coda di cavallo improvvisata, solo per non lasciarli cadere disordinatamente sulle spalle.

Sfilai il vestito e gli stivaletti e li sostituii con leggins, maglietta e le mie scarpe da ginnastica. Mi guardai allo specchio, piegando la testa e storcendo il naso, sembrava che avessi appena corso una maratona ma quello era il massimo che potevo fare.

Arrivai al lavoro in orario, bevvi un altro sorso del mio cappuccino e salii.

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora