Capitolo 10

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Patricia entrò come una furia nel mio ufficio, spalancò la porta senza bussare e dal suo volto potei capire che era esausta, nonostante fossero solo le prime ore del mattino. Si trascinò fino alla mia scrivania e si lasciò cadere sulla sedia di fronte a me.

«Zayn ha un'intervista importantissima tra due ore.» esordì, anche la voce faceva intuire che qualcosa non andava. Non era autoritaria come al solito.

«E...?» incalzai con un sopracciglio sollevato.

«E probabilmente sta ancora dormendo!» scosse il capo, infilò le mani tra i capelli ricci e grattò la sua testa prima di appoggiare i palmi ai suoi pantaloni di alta sartoria.

«Hai provato a chiamarlo?» smisi di fare ciò che stavo facendo per rivolgerle la mia completa attenzione.

Lei alzò gli occhi al cielo sbuffando e mi lanciò un'occhiata inferocita, «No, Charlotte. Grazie, non ci avevo proprio pensato.» ribatté con sarcasmo.

Strinsi le mie labbra appiccicose in una linea.

«Ho bisogno che tu vada a prenderlo nella sua stanza e lo porti a questo indirizzo il prima possibile.» lasciò cadere un pezzo di carta sulla scrivania, lo presi tra le mani e lo rigirai.

«Patricia, con tutto il rispetto... Io non sono la sua baby sitter, sono la sua assistente.» commentai cautamente.

«E, secondo te, se il tuo lavoro fosse solo quello, non avremmo trovato un'assistente personale qualificata al posto di una ragazzina senza esperienza? C'è un auto che ti aspetta di sotto e che ti porterà da lui.» si alzò mentre io la guardavo dubbiosa, poi si voltò prima di uscire, «Cosa ci fai ancora seduta? Muoviti!» scandì bene e se ne andò.

Indossai la mia giacca estiva e raccolsi la mia borsa e il mio cellulare sbuffando tra me e me. Victoria mi rivolse un sorriso di incoraggiamento mentre le passavo davanti, ma io non lo ricambiai talmente ero innervosita dal comportamento di Zayn e della sua manager. Lui era poco professionale e lei mi trattava come se dovessi fare da balia, autista e assistente tutto insieme.

Salii su una grande auto nera, talmente lucida che ero sicura che avrei potuto specchiarmici, se ne avessi avuto il tempo. Mi misi comoda mentre l'uomo dal buffo cappello metteva in moto e si immetteva in una strada trafficata.

L'hotel in cui stava Zayn non era molto lontano, la receptionist controllò una lista prima di farmi passare e, ben presto, mi ritrovai davanti alla porta della 426.

La donna che avevo incontrato qualche sera prima mi sorrise, esattamente come quella volta, mi diede il benvenuto e se ne andò.

«Zayn?» provai a chiamare, ma non ricevetti risposta. Mi sentii quasi una ladra ad entrare di soppiatto, curiosando nelle varie stanze per vedere dove fosse.

La suite era ancora buia, le tende erano chiuse in soggiorno e questo mi fece intuire che, probabilmente, stava ancora dormendo.

Dovetti aprire un paio di porte prima di trovare la sua camera. Entrai. Era buia e solo qualche raggio di luce riusciva ad entrare dai minuscoli buchi delle tapparelle, facendomi distinguere i mobili, vestiti a terra e tre sagome sul letto. La stanza puzzava di fumo, erba e sesso.

Scossi la testa, a disagio e profondamente innervosita dalla situazione. Superai alcune bottiglie di vetro per terra, tirai la corda per alzare, di poco, le tapparelle ed illuminare un po' la camera, voltandomi poi per vedere Zayn che dormiva con a fianco due ragazze, all'apparenza gemelle. Una era completamente nuda, con la testa appoggiata al petto del ragazzo, l'altra indossava solo un perizoma blu e una coroncina sul capo.

Risi silenziosamente a quella situazione imbarazzante, mentre loro continuavano a dormire beatamente.

Mi schiarii la voce, una delle sorelle si svegliò, mi guardò confusa e appoggiò di nuovo la sua guancia al corpo scolpito del ragazzo. In quel momento, il mio sguardo cadde su quell'addome, inciso da inchiostro in vari punti e coperto, solo in parte, dal lenzuolo bianco.

PHILOFOBIA (finalista Wattys2021)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora